Sulla disciplina costituzionale della famiglia
Brevi osservazioni
Uno statuto giuridico complesso
In una stagione particolarmente «calda», in cui, come è noto, si discute lungamente, anche se spesso superficialmente, sulla legittimità e sui contenuti di un possibile intervento legislativo in materia di coppie di fatto, sembra opportuno proporre alcune rapide annotazioni preliminari, in quanto funzionali a una migliore comprensione della materia e alla formazione diffusa di uno sperabile approccio critico.
Inevitabile punto di partenza per un’analisi di questo tipo è, naturalmente, il testo della carta costituzionale, tanto invocato nel pubblico dibattito quanto erroneamente indicato come fonte certa di limiti o prescrizioni ipoteticamente invalicabili.
Si deve subito rammentare, infatti, che lo statuto costituzionale della famiglia, lungi dall’essere considerabile quale riferimento univoco e incontestabile, si presenta piuttosto come sintesi difficile di principi apparentemente dissonanti ovvero di opzioni pluralistiche assai spiccate.
Se è vero, da un lato, che per l’art. 29 della Carta «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», è altrettanto vero che già il successivo art. 30, sancendo che «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio», pare alludere vistosamente alla piena legittimità della coesistenza di famiglie di diversa natura.
Né si può dimenticare, del resto, che, per quanto concerne il diritto di famiglia, l’evoluzione legislativa, da un lato, e la costante interpretazione giurisprudenziale, dall’altro, hanno da tempo confermato proprio quest’ultimo orientamento.
Non solo. Si è progressivamente riconosciuta la titolarità, in capo a «padri», «figli» o «madri» naturalmente definibili come tali, di diritti e libertà «familiari» di varia natura senza il pregiudiziale accertamento dell’esistenza di un vincolo matrimoniale. Nel corsoàdel tempo si è conseguentemente consolidata anche una communis opinio, sia interpretativa sia applicativa, favorevole ad asseverare la rilevanza giuridica, in determinate ma significative fattispecie, di vere e proprie «famiglie di fatto», spesso qualificate come «formazioni sociali» tutelate in base all’art. 2 della costituzione, ossia in quanto funzionali al libero sviluppo della personalità individuale.
Sicché, a ben vedere, quando si discute sulla possibilità di regolare con legge determinate «unioni civili», ci si deve innanzitutto riferire alla circostanza che esse, in linea di principio, presentano una particolare rilevanza costituzionale non tanto, o non solo, con riguardo all’inesistenza, nella Carta, di un’unica e cogente definizione di «famiglia», quanto, soprattutto, in relazione al fatto che esse hanno rilevanza, sul piano giuridico, anche al di là del modello familiare comunque considerato, pur se inteso in senso lato.
La disciplina vigente
Questa veloce premessa sul carattere particolarmente indefinito e frastagliato della situazione attuale dovrebbe suggerire ai protagonisti del summenzionato dibattito pubblico anche la necessità di procedere alla preliminare e consapevole acquisizione della disciplina attualmente vigente e dei traguardi che la stessa ha ormai raggiunto.
Sul punto si possono fare alcuni esempi sintomatici, in primo luogo prendendo a riferimento alcune interessanti disposizioni di legge, che, a certi fini e/o per certi effetti, attribuiscono, a forme variabili di convivenza, facoltà e poteri simili o coincidenti con quelli riconosciuti alle famiglie matrimoniali.
L’art. 317 bis del codice civile disciplina l’esercizio della potestà da parte dei genitori naturali conviventi, attribuendo in tal modo rilevanza a questa peculiare forma familiare. L’art. 342 bis dello stesso codice riguarda gli ordini di protezione che il giudice può adottare contro gli abusi familiari, menzionandosi in quella sede anche il convivente. L’art. 417 del codice civile estende la possibilità di chiedere l’interdizione, ovvero la nomina di un amministratore di sostegno per il proprio partner, anche alla persona stabilmente convivente. L’art. 199 del codice di procedura penale, invece, consente di astenersi dalla testimonianza nel processo penale a chi «pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale convive o come tale abbia convissuto con esso». Anche il convivente può presentare domanda di grazia al presidente della repubblica (art. 681 dello stesso codice di procedura penale). Recentemente, poi, l’art. 5 della legge sulla procreazione medicalmente assistita (n. 40/2004) consente di ricorrere alla fecondazione artificiale anche alla coppia convivente.
Dinanzi alla ricorrenza di tali estremi, i giudici civili tendono a riconoscere significativi diritti ai conviventi, quali: il diritto a ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza del decesso del partner a causa del fatto illecito di un terzo, il diritto a godere comunque della casa familiare, subentrando anche nel contratto di locazione stipulato dal compagno premorto, la contitolarità dei beni acquistati con gli incrementi patrimoniali maturati dopoàl’inizio della convivenza e il diritto di rivolgersi al giudice per risolvere un’eventuale controversia su di un punto essenziale della convivenza.
Senza dimenticare, infine, che è altrettanto condivisa l’opinione favorevole al riconoscimento della piena legittimità, in capo ai conviventi, della possibilità di stipulare liberamente negozi giuridici volti a regolare i reciproci impegni, soprattutto per quanto riguarda i profili patrimoniali.
Le prospettive
In un quadro siffatto, nel quale, come è evidente, ogni tesi «esclusivista» risulta inverosimile, in quanto basata sul preteso valore onnicomprensivo della sola «famiglia» fondata sul matrimonio, lo spazio dell’intervento legislativo è assai ampio, specialmente dandosi atto della circostanza che l’ordinamento giuridico non accoglie una visione giusnaturalistica della famiglia e dei diritti di cui sono titolari i suoi membri.
Se da una parte appare molto difficile, se non controverso, ipotizzare che il parlamento possa cancellare gli sviluppi positivi sopra rapidamente sunteggiati, soprattutto in quanto parzialmente riconducibili a principi costituzionali di necessaria realizzazione (quale quello di uguaglianza), dall’altra appare altrettanto rischioso che una futura legge sulle coppie di fatto o sulla previsione specifica di forme precise di «accordi» particolari e nominati per la regolazione delle convivenze stabilisca, al fine del riconoscimento di effetti giuridici determinati, un obbligo generale di formalizzazione dei vincoli affettivi.
Su quest’ultimo punto, si potrebbe ricordare che la Corte costituzionale, con una nota pronuncia (n. 166/1998), ha escluso una simile opzione, poiché «la convivenza more uxorio rappresenta l’espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza del matrimonio» e l’applicazione alle unioni di fatto di una disciplina normativa «potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti».
Non sembrerebbe poi possibile, per il legislatore, optare per una totale parificazione tra i diritti dei soggetti della famiglia di cui all’art. 29 della costituzione e i diritti dei soggetti delle varie forme familiari: queste ultime, anche se rilevanti e meritevoli di una tutela comunque più sistematica di quella finora apprestata, non godono della medesima posizione privilegiata di cui gode la prima.
Contemporaneamente, però, nulla esclude che la legge permetta l’ingresso, nell’ambito della tutela delle «famiglie di fatto», alle stabili convivenze di matrice omosessuale; allo stato dell’arte, e nonostante qualche pronuncia giurisprudenziale e qualche parere dottrinale già positivi in base alla disciplina vigente, non sembra che un simile risultato sia immediatamente realizzabile. Tuttavia, non pare nemmeno incostituzionale la scelta del legislatore che promuova a «formazioni sociali» riconosciute e tutelate (art. 2 della costituzione) anche quei legami sentimentali e di vita non caratterizzati dalla natura eterosessuale dei rapporti affettivi che ne costituiscono espressione.