Stanno cambiando i mercati, i lavori, i consumi: per difendersi e vivere meglio bisogna conoscere i giochi
Dopo cinque anni ho cambiato le scarpe da jogging e mi sono accorto che sono made in Vietnam (Lotto); la Superga ha comunicato in marzo ’96 che si trasferisce in oriente (forse Vietnam). Il gruppo Sopaf, che tre anni fa rilevò la Superga dalla Pirelli, ha deciso di spostare produzione in oriente. Rischiano il posto i duecento produttivi mentre dovrebbero conservarlo i cento impiegati. Jody Vender, amministratore delegato della Superga, scrive al sindaco di Torino: “La collezione di oggetti che Superga vende si è spostata, da tempo e interamente, in termini di produzione nei paesi dell’estremo oriente; si tratta di un trend irreversibile”.
Ironia della storia
Due piccoli esempi della nuova fase di competizione internazionale apertasi dopo il crollo del muro di Berlino che, con la crisi dei paesi a regime pianificato comunista, ha spostato sul mercato mondiale ben sessanta nuovi paesi poveri. Se consideriamo solo giganti come Cina, India ed ex Urss si tratta di un miliardo di lavoratori (su 2,7 miliardi di occupati nel mondo), che producono merci ora scambiate sui mercati di tutto il mondo. Se guardiamo il “made in…” delle merci che compriamo ce ne rendiamo ben conto. Ironia della storia, i nostri commercianti, artigiani e piccole imprese, mai sono stati così in crisi da quando il comunismo è crollato. Adesso che i redditi calano ci si accorge che il debito pubblico è troppo, le imposte sono troppe e ci si vuole chiudere in casa senza pagare i debiti passati.
O chiudersi
o fare gioco di squadra
È questa la ragione della crisi politica italiana e del leghismo al nord.
Dopo cinquant’anni in cui due terzi degli italiani sono diventati ricchi come gli inglesi (che hanno impiegato invece 120 anni per raggiungere gli stessi livelli), dal 1991 quasi tutti i redditi (sia dei lavoratori autonomi che dei dipendenti) calano perché i paesi poveri (specie gli asiatici) crescono a tassi annui di 8-10%.
La tentazione di chi perde reddito è chiudersi (da qui il leghismo), sperando così di pagare meno. Ma si tratta di una scorciatoia che non porta lontano perché dopo il duemila i paesi vincenti saranno quelli che creeranno grandi “reti” a sostegno delle imprese stesse (trasporti, infrastrutture, formazione, sanità, tutela ambientale, controlli pubblici e di qualità sulle produzioni – vedi mucche pazze -, poca criminalità, qualità delle comunità periferiche, ecc.). Cose possibili, se esiste una solidarietà tra i cittadini, un “gioco di squadra”, disponibilità ad aiutare il vicino perché prima o poi sarà lui ad aiutare te. Non a caso la teoria dei giochi insegna che, tra due gruppi in lotta per guadagnare di più, sia come gruppo che come singolo all’interno del gruppo, la strategia migliore è quella di cooperare all’inizio, per poi solo alla fine giocarsi il posto migliore. Se invece si compete sin dall’inizio, il risultato finale è che in questo gruppo, pur essendoci un “vincitore”, tutti avranno (anche il migliore) posizioni peggiori degli altri membri del gruppo che all’inizio ha cooperato. È la sindrome del “funzionario bulgaro”.
Meno lavoro
e più occupazione
In futuro, per l’innovazione tecnologica ed organizzativa della produzione snella, ci sarà sempre meno lavoro (leggere J. Rifkin, La fine del lavoro, Edizioni Baldini & Castoldi, lire 38mila).
Una vera risposta alla crisi occupazionale non potrà che venire da una nuova riduzione dell’orario e da una sua diversa distribuzione nell’arco di una vita lavorativa che si annuncia più lunga per motivi previdenziali e successi nella longevità delle persone. Se ciò avverrà, si eviterà una polarizzazione tra chi si ubriaca di lavoro e disoccupati.
Piccoli successi (anche se timidi) sono, per esempio, quelli di far pagare di più le ore di straordinario (provvedimento della nuova legge finanziaria). Se parte degli incrementi di produttività sono destinati alla riduzione di orario, non c’è alcuna perdita di competitività. Questo significa anche accettare, nei prossimi anni, che i salari crescano come l’inflazione o poco più. Dovremo “rifarci” in due modi: acquistando meno merci o beni che costano meno in quanto prodotte dai paesi poveri (è un incremento indiretto del salario) e inaugurare un nuovo stile di vita in cui si dia più importanza a tutto ciò che fa vivere senza consumare (o almeno spendendo poco): relazioni umane, cura del corpo non con creme ma con ginnastiche varie e meditazione, scambiarsi le case in vacanza (ci sono molte associazioni che lo fanno), guardare meno la televisione, leggere di più (ormai anche i libri costano poco), consumare di meno, rivalorizzare le periferie, ricostruire a livello locale le comunità e quelle relazioni che la globalizzazione del mercato spazza via.
Il Vietnam volta pagina (due passi avanti e uno indietro) Lavoro e dopo lavoro 80 milioni di abitanti (di cui il 50% sotto i 24 anni) che vogliono, a tappe forzate, raggiungere gli standards di benessere che fa intravedere, con spot mirabolanti, la tv di Hong Kong. I miti del mercato Quegli anni sono definitivamente archiviati e tutti (dai dirigenti del partito al popolo) sperano ora (un po’ acriticamente) nel mercato per uscire dalla miseria. Gli americani, l’occidente ricco e gli affari sono i nuovi miti. Tempo per riflettere e divertirsi non ce n’è; l’importante è non perdere il “tram degli affari”. Il volo di Icaro, Il maggior handicap del Vietnam è il sistema educativo: staliniano e degradato; l’impegno prevalente dei governanti è nel favorire gli investimenti stranieri e la crescita economica, ma trascurando l’educazione, la sanità, la cultura e la libera discussione politica il Vietnam rischia di privarsi delle condizioni di base per un vero e durevole sviluppo umano. Libro consigliato: Quando cielo e terra cambiarono posto di Le Ly Hayslip. |