Sfiducia è democrazia
L’erosione della fiducia dei cittadini nei loro dirigenti e nelle istituzioni politiche che li rappresentano è uno dei fenomeni più studiati dalla scienza politica negli ultimi vent’anni. Il sistema democratico contemporaneo è attraversato da profonde trasformazioni, tuttora in atto, che stravolgono molte certezze acquisite: crollo degli steccati ideologici in favore di un approccio pragmatico ai problemi; passaggio da un sistema economico industriale nazionale a uno post-industriale globale; crisi della «forma partito» e del sindacato; progressi tecnologici e in special modo sviluppo dei mezzi di comunicazione. Eventi che fanno parlare di crisi della rappresentanza e che portano con sé il rischio di alimentare sentimenti negativi quali antipolitica, giustizialismo e populismo. Tale negatività viene solitamente ricondotta a una sfiducia generalizzata dei cittadini nei confronti di una politica sempre più distaccata dalle reali esigenze dei cittadini. La sfiducia verso il sistema è associata alla passività o alla negatività di cui sono accusati i cittadini. Ma è davvero così? Chi si allontana nauseato dalla politica attuale, chi si eccita per i processi che vedono coinvolte personalità pubbliche, chi partecipa a forum, comitati civici e blog vari… in sostanza il cittadino sfiduciato è davvero passivo e pericoloso?
Se si guarda alla storia della democrazia si capisce che non è così. Per quanto possa sembrare paradossale, le tre grandi rivoluzioni da cui è nata la democrazia così come la concepiamo, quella inglese, francese e americana, davano una grande importanza alla sfiducia dei cittadini nei confronti dei governanti.
Non calunniate la sfiducia
Troppo fresco era il ricordo delle storture e dei privilegi dell’ancien regime. Sia dal punto di vista liberale che democratico s’imponeva perciò la necessità di garantire un reale controllo dei cittadini nei confronti dei rappresentanti eletti. Altrimenti i governanti rischiavano di trasformarsi a loro volta in un’élite distaccata dal popolo. Così Robespierre si rivolgeva ai politici infastiditi dalla partecipazione popolare: «Legislatori patrioti, non calunniate la sfiducia. La sfiducia, checché possiate dirne, è custode dei diritti del popolo; sta al sentimento profondo della libertà come la gelosia all’amore» (Lucine Jaume, Le Discours jacobin et la Démocratie, Fayard, Parigi, 1989, p. 197).
La partecipazione sporadica a un processo elettorale non bastava a legittimare un governo, che deve poter essere messo costantemente alla prova. Una democrazia viva quindi, anche partendo dal presupposto che non esiste un unico modello democratico poiché assume forme diverse secondo la storia di ogni singolo paese, deve presupporre la partecipazione di un «cittadino vigile». Per tutelare questa funzione di controllo e partecipazione ci sono stati diversi tentativi di istituzionalizzare la sfiducia: l’istituzione del giurì e il ruolo dei giurati popolari, il Tribunato, l’impeachment e il recall-richiamo (nel mondo anglosassone) corrispondono al tentativo di istituzionalizzare forme di controllo dal basso. Ancor oggi l’impeachment è uno strumento di revoca del mandato per politici considerati corrotti che conserva un’importanza rilevante; per fare un esempio recente, l’attuale governatore della California Arnold Schwarzenegger è stato eletto in seguito alla revoca del mandato tramite impeachment del suo predecessore. La sfiducia dei cittadini si esprime così anche attraverso forme simili a quelle giudiziarie, tanto che si può parlare di un «cittadino-giudice» che si affianca a un «cittadino-elettore». Si spera di ottenere per altre vie quel che non si è riusciti a ottenere per via elettorale.
In società sempre più complesse e parcellizzate, Internet e lo sviluppo dei media sono strumenti che hanno potenziato la possibilità di un controllo sulla politica. Certo il pendolo estremo della sfiducia rimane una deriva populista, ma non è certo biasimandola paurosamente che la si vince. La democrazia per arginarla deve dotarsi di sistemi di controllo interni, di autorità terze che svolgano attività di vigilanza sui diversi settori della vita politica, economica e sociale. Un governo democratico compiuto deve essere in grado di criticare se stesso, di correggersi, di essere trasparente e intelligibile, fornendo così ai cittadini validi strumenti per orientarsi e partecipare attivamente.