Se io fossi Abdel

di Monini Francesco

Alla televisione sono rimasto a bocca aperta. Ma com’è possibile?
L’onda di fango di Sarno me la ricorderò tutta la vita, tornerà nei miei sogni come un grande blob.
Prima del fango, ignoravo l’esistenza di un paese di nome Sarno. Un paese dimenticato del Sud dimenticato. Come il Belice, come l’Irpinia. Anche i morti di Sarno non trovano pace. Anche i sopravvissuti di Sarno aspettano. Aspettano, aspettano, aspettano la ricostruzione, e intanto arrostiscono dentro i container roventi.


Gabriele Albertini è il sindaco di Milano. Probabilmente non passerà alla storia, ma la storia recente di Milano lo aiuta parecchio. Dopo Pillitteri, cognato di Craxi e ladro patentato, dopo Formentini, leghista ruspante con la faccia da mastro birraio, Albertini riesce a fare la sua figura. Ma non si accontenta, vuole passare per “uomo di mondo”, soprattutto vuole “apparire”, apparire il più possibile. Perciò, si è fatto fotografare in mutande, ancorché di Valentino.
A parte le mutande, Albertini ha pensato di dare una ripulita alla capitale del Nord. Non nel senso di tangentopoli – che invece è venuto il momento di metterci una pietra sopra – ma sbarazzandosi delle migliaia di barboni, vagabondi, tossici e terzomondiali che infestano i parchi della città. Così ha telefonato alla questura. E la questura di Milano, forse per celebrare degnamente il centenario delle malefatte del Comandante Bava Beccaris, ha preso la cosa serissimamente. La sera stessa, folte squadre di agenti accompagnati dai famosi rottweiler, i cani addestrati a colpire alla gola, hanno sgombrato i parchi dalla feccia cosmopolita.
Questa volta, però, Albertini non s’è fatto fare una foto ricordo.


Una pietra sopra, un colpo di spugna, una amnistia: chiamatela come volete, ma il concetto non cambia. Quello che conta è che i ladri di ieri sono diventati i perseguitati di oggi. Basta un po’ di esilio (esilio?!) e anche Craxi può sognare un ritorno da eroe.
Berlusconi vuole una commissione d’inchiesta contro gli abusi di tangentopoli. Ci riuscirà, perché i sondaggi sono con lui. Perché gli italiani, gli stessi che hanno incoronato Di Pietro, trasformandolo da Pubblico Ministero in Angelo Sterminatore, hanno voglia di cambiar disco.
Altro giro, altra corsa.


Fede è un leccapiedi di Berlusconi? Liguori è fazioso? Il TG3 è peggio di TeleKabul? A quanti si lamentano del decadimento del “giornalismo televisivo” andrebbe rinfrescata la memoria. C’è stato di peggio. Sembra impossibile, ma è così. Negli anni Settanta ed Ottanta, il giornaleradio di Gustavo Selva non era solo becera propaganda, ma cinismo allo stato puro. Da qui il nomignolo di Gustavo Belva.
Ho rivisto Gustavo Belva – ora fa il deputato per Alleanza Nazionale – ospite di uno speciale televisivo sull’emergenza clandestini. La belva non solo non ha perso il vizio del cinismo, ma l’ha talmente coltivato dentro di sé, che alla fine si è mangiato la belva. Parlava di cosa gli avrebbe fatto lui ai clandestini, di come avrebbe mandato l’esercito a presidiare i nostri 4.000 chilometri di spiagge (l’idea delle baionette sul bagnasciuga l’aveva già avuta il Duce).
Guardavo Gustavo Belva e a poco a poco la sua faccia si è come liquefatta per lasciar posto solo all’odio. Un’ondata di odio usciva dal televisore e puntava dritto contro di me.
Giuro che ho avuto paura.


Io, se fossi Abdel. Tu, se fossi Abdel.
Abdel è morto. Aveva forse 25 anni. Era algerino, forse però era tunisino. Lascia una famiglia, perché si immagina che anche uno come Abdel debba aver avuto un padre e una madre, ma non sappiamo dove.
Il Ministro dell’Interno ha promesso di fare piena luce sulla vicenda.
L’avevano portato in carcere dopo la “battaglia di Lampedusa”, dove l’esercito e la polizia italiana avevano duramente combattuto l’invasore.
Strani invasori, armati solo della loro disperazione. Arrivati dopo un viaggio allucinante, soffocati dentro una bagnarola, affamati, ammalati, distrutti.
Sì, va bene, ma insomma!: “L’Italia deve pur difendersi da questa invasione!”.
Ma che invasione d’Egitto!
Ma se io, ma se tu fossi al posto di Abdel.


Pino Daniele quest’anno ha fatto solo un concerto. Nella sua Napoli.
Volevo andarci, ma ho pensato che forse ero di troppo. Era quasi un fatto privato, un incontro speciale tra una città che cerca di risorgere e un suo figlio musicista che ha trovato nei suoni di Napoli i suoni di un intero mondo, di un Sud sotterraneo e universale. Lui sì, Pino Daniele, è “Anima mundi”, non quella furbetta di Susanna Tamaro.
Sono però andato a sentire a Perugia il concerto di Caetano Veloso ed è stato come farsi cullare da un lunghissimo sogno.
C’erano sul palco quattro ragazzi giovanissimi. Quattro ragazzi raccolti dalle strade di Salvador Bahia. Suonavano tutte le percussioni possibili ed immaginabili. E altre ancora. E ridevano tra loro. Ballavano. Giocavano.
La musica di Napoli, la musica di Salvador, la musica del Mondo. C’è un suono universale, fatto di mille suoni che si incrociano, si toccano, si rincorrono, si scambiano le parti, vivono in pace.
Gli uomini invece no.


Pantani ha un cuore antico.
Io, come tutti – qualche volta è proprio bello sentire dentro di sé esattamente quello che sentono tutti gli altri – mi sono emozionato nel vedere questo omino pelato alzarsi sui pedali e volare via.
Pantani è la fatica, è la montagna che ammazza il respiro. È la giusta rivincita contro una sorte che ti ha riservato solo incidenti e ruzzoloni. È il ciclismo vero contro lo sport del doping e del computer. Un uomo solo sulla vetta – “solo” un uomo – contro i superuomini costruiti in laboratorio.
Pantani è anche simpatico. È modesto, semplice, sincero. Generoso e leale. Sfortunato ma ostinato. “Uno di noi”, o, piuttosto, la parte migliore di noi: quella parte di cui spesso ci dimentichiamo.
No, Pantani non assomiglierà mai alla incultura, alla ignoranza, alla vanagloria, al consumismo immemore di un altro grande campione, Alberto Tomba. Ma quanto ci metterà la televisione a uccidere il Pantani che c’è in Pantani? Sei mesi, un anno? Quando lo vedremo a braccetto con Pippo Baudo, ospite d’onore al concorso di Miss Italia, a cena con l’onorevole tal dei tali?
Dai, Pantani, stringi i denti, è qui che comincia il vero Tour!

Francesco Monini
Direttore responsabile
di Madrugada.
Vive a Ferrara.
Lavora in una cooperativa libraria.