Scorrendo le pagine di Madrugada
Caro lettore e cara lettrice,
arriva il tepore della primavera. C’è foschia nell’aria; e si vedono le montagne spuntare oltre i comignoli di fumo. Corre la macchina sull’asfalto bruno che si appanna. Corre verso la montagna, verso il Cermis.
E sorpassa l’auto verde con qualche fluorescenza e marcescenza di Sergio Tanzarella che ci invita a fare politica in prima persona, senza chiuderci negli apparati, ma rispondendo ai bisogni della frontiera dove il povero subisce violenza; le situazioni di ingiustizia non sono casuali: ad esse bisogna rispondere con la non violenza della politica; senza deleghe.
Sul piazzale di Alleghe intravedo al telefono Enrico Peyretti che tiene in mano un foglio giallo forse una mappa; c’è più bene che male nel mondo, afferma citando Gandhi; tra le mani dei petali violenza non violenza; c’è del dialogo tra le religioni, della resistenza alle guerre, e poi l’emancipazione della donna e la graduale conquista da parte degli ultimi del diritto alla vita. Ma non è tutto.
Al distributore sulla strada di Falcade incontro Menghi: sa qualcosa del Cermis, e mi racconta della sua permanenza in Svezia e dello Stato Sociale. Non è un dono della befana o di carnevale quello svedese, ma la conquista di un popolo che mette alla base del suo vivere i diritti fondamentali della persona e della democrazia.
Poco prima di Predazzo una macchinetta piccola mi sorpassa, e svicola veloce tra nuvole azzurre e trombetta una verità controversa sullo spartito di Diego Alberton, soldato non ancora eroe, grattando il pachiderma.
I benpensanti dicono che è contromano, e non controcorrente la macchina impetuosa di Giuseppe; certo ti investe anche sulle strade larghe, e non la ricerchi dopo le riparazioni.
Pare una macchina in ritardo quella di Mosé Mora Lazzarini, che sbuca sulla destra oltre il cartello arrivederci di Predazzo e vibra sull’asta dell’antenna parole italo spagnole. L’impatto coi grandi magazzini di Natale non gli copre la nostalgia del presepio caldo di Lima.
Al chilometro due da Predazzo sulla sua macchinetta Egidio Cardini ha caricato una mora prorompente, appassionata, voluttuosa: Rio de Janeiro, tragica, vitale, musicale, abissale, intelligente, misteriosa. Parole, pensieri e slanci e sentimenti corrono sul filo del carnevale e del samba e oltre.
Lo segue a ruota Adriano Sella sulla sua bici colorata di giallo e di rosso e mi lancia il volantino del convegno di Belem. Troppo tardi? Solo la morte è un ostacolo. E mi sovviene la lotta di don Pedro Casaldáliga, e la carta di Pedro F. Miguel, che ho sentito al cellulare con la sua voce allegra e galoppante. La strada è lunga, ma il viaggio è iniziato.
Ed ora corre il pulmino tra le montagne di Cavalese. Ed il presagio si fa scuro. Come le parole che Fulvia riporta nella lettera drammatica dal Chiapas, le parole di dom Samuel: “En esta Navidad nasciò un niÁ±o muerto”.
Nello spiazzo antistante l’urlo del Cermis si affollano le strisciate, e le immagini, e le parole del pulmino del cronista indesiderato, mal attrezzato, di Macondo e dintorni. Per favore, si faccia da parte! E scendono giù dal monte le paure di Eleonora, che Chiara Cucchini tenta di esorcizzare.
Sussulta e si spegne il motore e piange d’amore e di rabbia la folla livida ed il vento della montagna del Cermis.