Questo mondo è anche il nostro. La partecipazione dei popoli per una nuova società mondiale
Uno spirito ottimista
In una sua celebre conferenza, tenuta a Madrid nel 1930, J.M. Keynes sosteneva la possibilità reale per l’umanità di poter superare, nel corso di un secolo, i suoi principali problemi economici: “Giungo alla conclusione che, scartando la eventualità di guerre e di incrementi demografici eccezionali, il problema economico può essere risolto o per lo meno giungere in vista di soluzione, nel giro di un secolo; ciò significa che il problema economico non è, se guardiamo al futuro, il problema permanente della razza umana”.
Circa trent’anni dopo, obbedendo allo stesso spirito ottimistico, venne elaborata dalla ONU una strategia per lo sviluppo con l’obiettivo di annullare nel corso di un decennio (1961-1971) il divario esistente tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo e di eliminare la sproporzione tra i redditi pro capite dei diversi paesi.
Euforismo sviluppista
Ottimismo, quest’ultimo, che senza dubbio trovava fondamento nella ripresa economica e nello sviluppo fatto registrare dai paesi distrutti, materialmente ed economicamente, dalla seconda guerra mondiale e ricostruiti attraverso politiche di aiuti esterni sia bilaterali che multilaterali. Al primo decennio di strategia per lo sviluppo ne fecero seguito altri due: quello dal 1971 al 1980 dove, visti gli scarsi risultati ottenuti dalla prima decade, venne data una maggior enfasi ai processi che avrebbero dovuto innescare processi di sviluppo endogeni nei paesi poveri, e quello dal 1981 al 1990 durante il quale si diffuse definitivamente il concetto di auto-sviluppo.
Senza dubbio, osservando la seconda metà del secolo che ormai volge al termine, non si può certo dire che non si siano prese misure o attuati piani per lo sviluppo. Di tanto euforismo sviluppista sono esempi l’istituzione di meccanismi multilaterali predisposti alla tutela della posizione delle aree più povere, come ad esempio la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), quale foro permanente di discussione e di elaborazione di analisi per il commercio internazionale, i negoziati commerciali e tariffari avviati nei Round dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT).
Si allarga il fossato
Analizzando freddamente la realtà odierna, tuttavia, non si può non constatare come l’impatto di tante iniziative sia stato vano. Non solo il divario tra i paesi ricchi e i paesi poveri non si è ridotto negli scorsi decenni, ma è andato aumentando, come si evince dai dati forniti dalle Nazioni Unite dove si sottolinea come le differenze di reddito pro capite tra i paesi in via di sviluppo e i paesi sviluppati, già elevate negli anni Sessanta, siano aumentate notevolmente tra il 1960 e il 1990 sia in termini assoluti che in termini relativi. Di tale sconcertante realtà ce ne dà un’ulteriore testimonianza Giovanni Paolo II laddove, nella enciclica Sollicitudo rei socialis, afferma: “… Non si può negare che la presente situazione del mondo, sotto questo profilo dello sviluppo, offra un’impressione piuttosto negativa…Tralasciando l’analisi di cifre o statistiche… sono molti milioni coloro che sono privi di speranza per il fatto che, in molte parti della Terra, la loro situazione si è sensibilmente aggravata… La prima constatazione negativa da fare è la persistenza, e spesso l’allargamento del fossato tra l’area del cosiddetto Nord sviluppato e quella del Sud in via di sviluppo”.
Che cosa succede ?
Il libro
In questo tempo che ci vede tutti affetti da una sorta di “miopia cerebrale”, in cui è più facile pensare ai livelli di inquinamento delle nostre città che non a quelli del pianeta, alla distribuzione di derrate alimentari per i profughi di guerra piuttosto che bloccare le esportazioni delle nostre armi verso i loro paesi, in cui si mettono in atto severe politiche di confine per limitare i flussi migratori lasciando intatti i meccanismi di espulsione che determinano l’emigrazione forzata di milioni di essere umani dal Sud povero al Nord del pianeta, risulterà estremamente utile la lettura del libro Questo mondo è anche il nostro, edito dalle Edizioni Lavoro.
Il testo riunisce una serie di interventi di personalità di spicco all’interno dell’analisi delle problematiche internazionali, raccolti durante il convegno omonimo promosso da Mani Tese e svoltosi a Firenze nel novembre 1993.
L’introduzione, curata dal prof. A. Papisca, chiarisce bene il senso degli interventi raggruppati con il seguente sottotitolo: La partecipazione dei popoli per una nuova società mondiale. Scrive Papisca: “L’economia e l’informazione operano mondialmente influenzando anzi, condizionando, la politica mondiale. Anche la solidarietà di società civile opera mondialmente, ma non influisce ancora, in maniera determinante, sulla politica mondiale. È venuto il momento, per ONG e gruppi di volontariato, di fare insieme il grande passo e di confrontarsi con la politica mondiale della sicurezza, dell’economia, dell’ambiente, dello sviluppo”.
La sfida è lanciata, siamo agli inizi di una nuova cultura politica della cittadinanza mondiale che ci vede tutti, uomini e donne dei popoli del pianeta, investiti del potere e della responsabilità planetaria di “intervenire sulla struttura statocentrica e belligera del sistema della politica mondiale: per far rispettare la Carta delle Nazioni Unite e le convenzioni giuridiche sui diritti umani; per far cessare le guerre e disarmare; per fermare quel rullo compressore che è la mondializzazione dell’economia operante non in risposta ai bisogni reali delle comunità umane ma in ossequio agli automatismi del mercato osannati dalle ristrette cerchie di coloro che ne traggono profitto…”.
Tanto più che come ricorda S. George nel suo intervento, Il debito dei paesi in via di sviluppo: aspetti e conseguenze, vista la caduta del blocco socialista, “oggi regna sul mondo un unico sistema, quello dei G7, dei padroni della terra, che confonde volentieri la democrazia con l’economia di mercato e che impone l’economia di mercato a livello planetario”.
La caduta dei modelli
La nostra epoca sembra assistere alla crisi di una forma di modernità, la “modernità mondo” per usare le parole di J. Chesneaux, professore emerito di storia all’Università di Parigi VII, ossia di quella forma di modernità “che pretende di essere valida senza eccezione per tutto il pianeta”. È questo forse uno degli aspetti che sembrano caratterizzare di più la realtà odierna e le pagine del libro. Alla caduta del muro di Berlino succede la consapevolezza dei limiti dei modelli storici e della loro inadeguatezza dovuta proprio al loro intrinseco carattere omologante e imperialista.
Oltre alla drammatica e coraggiosa testimonianza di Augusto Alves Da Rocha – vescovo della diocesi di Picos in Brasile e dal 1987 presidente nazionale della Commissione Pastorale della Terra – sui conflitti per il possesso della terra e il diritto all’esistenza dei contadini brasiliani, spicca tra gli altri il contributo di Franìçois Rigaux, presidente del Tribunale Permanente dei Popoli.
Diritti civili e diritti economici assieme
Nel suo intervento Uguaglianza di diritti per popoli diversi, dopo aver sottolineato l’inadeguatezza teorica, vista la loro interdipendenza, della convenzionale suddivisione dei diritti umani in tre generazioni (i diritti civili e politici tradizionali, i diritti economici, sociali e culturali; il diritto alla pace, all’ambiente sano e allo sviluppo), sostiene la necessità di una visone globale che includa all’interno delle posizioni di rivendicazione sul rispetto dei diritti civili, quelle relative ai diritti economici: “Per essere coerente, il discorso dei diritti dell’uomo deve abbandonare le distinzioni dogmatiche fra libertà civili e diritti economici, sociali e culturali, deve riconoscere le loro necessarie interrelazioni e, se veramente accetta l’idea di un eguale accesso di tutti i popoli alle istituzioni dello Stato democratico di diritto, deve adottare i mezzi necessari per raggiungere questo obiettivo”.
Oltre all’analisi puntuale delle nuova realtà internazionale, il testo costituisce un tentativo finalizzato a stimolare la partecipazione della società civile e dei popoli alla edificazione di una nuova società mondiale, la “città planetaria dei popoli e per i popoli”.