Per una civiltà della condivisione
Voglio riprendere sul Giubileo due idee suggerite con forza e chiarezza dal gesuita Jon Sobrino, teologo della liberazione, nel suo articolo per Concilium: «Dare speranza ai poveri e riceverla da loro». Un Giubileo dunque a due sensi, un Giubileo totale.
I.
Un Giubileo che non desse speranza ai poveri, con-donando tra l’altro il cosiddetto debito estero dei loro paesi, non risponderebbe all’annuncio e all’azione di Gesù. La buona notizia ch’egli porta al mondo è rivolta ai piccoli, a coloro che non hanno voce (piccolo nell’originale greco è népìos = in-fante, chi è senza parola) nella società degli intelligenti e dei furbi. Nella società del suo tempo ciò significa che Gesù annuncia che «il regno di Dio è vicino» (è lì, a portata di mano, presente) per le categorie di persone emarginate, oggetto di disprezzo: i poveri, i malati, i peccatori (pubblicani e prostitute, stranieri/pagani), le donne. Se le folle accorrono a Gesù da ogni parte è perché le sue parole e le sue azioni liberano dalle oppressioni, soprattutto quella religiosa («il mio giogo è dolce e il mio carico leggero»), restituiscono dignità e fiducia in se stessi («va’ in pace, la tua fede ti ha salvata»), semplificano la Legge (ama il Signore Dio tuo… ama il prossimo come te stesso), incoraggiano a dire a Dio quest’unica parola: «Abbà, Papà!». I cristiani sono chiamati ad attualizzare parole e azioni di Gesù nel mondo d’oggi, è questo lo spirito del Giubileo.
Ma c’è di più. Nella prospettiva di Gesù, i poveri sono realtà teologali: parlano di Dio, di un Dio che si mette dalla loro parte. È quanto ha riaffermato la Conferenza episcopale latinoamericana (CELAM) a Puebla nel ’79: «I poveri meritano un’attenzione preferenziale, qualunque sia la loro situazione morale o personale. Fatti a immagine e somiglianza di Dio, per essere suoi figli, questa immagine è stata offuscata e persino oltraggiata. Per questo motivo Dio prende le loro difese e li ama» (n.1142). Parole inaudite, che sarebbe davvero imperdonabile dimenticare nel Giubileo.
II.
Ma per essere totale, il Giubileo non può limitarsi a dare speranza ai poveri, in altre parole a con-donare il debito dei poveri (che è poi il debito dei ricchi nei paesi poveri); deve anche ricevere speranza da loro, sollecitando e accogliendo il perdono dei poveri per il debito contratto nei loro confronti dal mondo oppressore e ingiusto. Il problema fondamentale non è tanto che i poveri perdonino, ma piuttosto che i ricchi e gli oppressori si lascino perdonare, accettino il perdono offerto dalle vittime, «cosa che non hanno fatto oligarchi, generali, politici del terzo mondo, né l’economia, la banca e il militarismo mondiali» (art. cit.).
Il perdono dei poveri comprende anche l’aiuto che essi possono dare alla costruzione di una nuova civiltà della condivisione, in alternativa a quella dell’abbondanza che si traduce in accumulo di beni per i ricchi. È ancora Jon Sobrino, nel suo libro Gesù Cristo liberatore (Cittadella, Assisi 1995), a parlare dei popoli crocifissi e del loro potenziale di salvezza: «Per dirlo con linguaggio storico, i poveri hanno un potenziale umanizzatore perché offrono comunità contro individualismo, spirito di servizio contro egoismo, semplicità contro opulenza, creatività contro mimetismo culturale imposto, apertura alla trascendenza contro ottuso positivismo e crasso pragmatismo [tutto questo senza dimenticare che il mistero del male abita anche in loro, come dimostra la violenza raccapricciante con cui in tempi di guerra o di calamità sono capaci di distruggersi a vicenda]… Permettendo al mondo oppressore di avvicinarsi loro, gli danno la possibilità di riconoscersi peccatore ma di sapersi anche perdonato. In tal modo introducono anche nel mondo oppressore quella realtà così umanizzatrice e così assente da esso che è la grazia: arrivare a essere qualcuno, non solo attraverso quello che si riesce a lucrare, ma per quello che ci viene concesso in maniera inaspettata, immeritata e gratuita» (o.c., p.447-48).
La conclusione non può che essere quella dello stesso articolo già citato: «Il problema più urgente del Giubileo è rendere possibile la vita dei poveri. Ma il problema più profondo, quello di più difficile soluzione, è che il Nord si lasci accogliere e perdonare dal Sud… Utopia? Certamente, ma per tale utopia occorre lavorare, perché solo allora si celebrerà un Giubileo totale e sarà più possibile fare di questo mondo una tavola cui sedersi condividendone i beni».