Maddalena e il dolore sottile
Maddalena usciva sempre dopo cena. Mentre il mondo tornava a casa e si chiudeva stanco, felice o impaurito davanti alla televisione, afflosciato su un materasso disteso per terra, seduto davanti a un tavolo, rannicchiato su un letto per cinque, accomodato in un salotto elegante o lacerato in una capanna fetida e maleodorante, proprio allora Maddalena usciva.àLa sentivo chiudere la porta sempre allo stesso modo: due mandate sotto e quattro mandate sopra. Poi i suoi sandali con il tacco alto saltellavano sul pavimento del corridoio, prima forti e secchi, poi sempre più in lontananza e infine più flebili che mai, mentre il passo svelto e veloce era quello di chi ha fretta e deve andare, perché non ha tempo da perdere. L’ascensore la portava via nel cuore del mondo.Quando Maddalena usciva, io indossavo il mio pigiamino blu con il disegnino di una vela sul davanti e assaporavo la notte. Accendevo il televisore, mettevo ordine nel portafoglio e nei documenti, piegavo la biancheria e prendevo la mia pastiglia verde contro la stipsi. Poi pensavo a Eugênia. Ma soltanto un pensiero e nulla di più. Mai osare davanti all’impossibile.
Le nostre notti cominciavano in questo modo tanto consueto, ordinario e ripetitivo. Si iniziava quasi sempre così e si finiva quasi sempre senza che la vita ci avesse cambiato più di tanto.
Affini e fraterni nel dolore sottile
Io e Maddalena abitavamo insieme, vicinissimi. Ci dividevano soltanto l’abbigliamento e una parete. Per due mesi io all’822 e lei all’821. Ci accomunavano un dolore sottile e inespresso, quasi pudico e misurato.
A volte mi sono chiesto come fosse sistemato il suo letto dall’altra parte. Mi divertivo a pensare che la sua testa stesse proprio dall’altro lato del muro, in corrispondenza della mia. Io guardavo il soffitto e pensavo alle mie cose. Lei guardava il soffitto e pensava alle sue e non è detto che noi pensassimo sempre a cose così tanto diverse. Forse ci separavano soltanto l’ostinato silenzio e la grigia barriera che io le ho steso attorno: mai uno sguardo, mai una parola, mai un gesto. Tutto questo è accaduto presumibilmente per paura o per timidezza o magari per il mio rifiuto tenace di riconoscere fino all’ultimo una nostra sostanziale affinità.
In fin dei conti è proprio così. Io e le puttane abbiamo un’affinità e una fraternità che mi sono sempre rifiutato di riconoscere. Entrambi abbiamo subìto e subiamo l’infamia delle mani.
Loro devono sopportare l’ingiuria delle mani che i clienti mettono quotidianamente loro addosso. Io devo sopportare il ricordo delle mani che alcuni mi hanno messo, anche solo simbolicamente, dentro. Urtati e vilipesi nella nostra interiorità. Frugati e saccheggiati nella nostra intimità.
Ecco perché finalmente ho capito la ragione di ciò che mi fa sentire verso di loro un’attrazione forte, dirompente, quasi veemente. Qualche sciocco potrebbe pensare che sia soltanto la compensazione psicologica di un desiderio sessuale inespresso e insoddisfatto, ma non è così. O meglio, non è soltanto così. Invece è la percezione di una condivisione viscerale della violazione delle cose più profonde: in fin dei conti ci hanno rubato l’amore. Ecco perché loro lo dichiarano con le parole e con il corpo e io lo dichiaro con i silenzi. I nostri sono dolori sottili, quasi senza spessore, in grado di essere visti solo in trasparenzaàe, in fin dei conti, le nostre sono dichiarazioni opposte nella forma, ma pressoché identiche nella sostanza, quasi in fotocopia.
Mani date e mani negate
Le puttane non potevano essere altro che persone amate da Gesù Cristo. Amate perché persone. «I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno dei cieli!». Il punto esclamativo, che nel testo originario non c’è, l’ho aggiunto io per dare un segno marcante a queste parole di fuoco. A volte mi sono chiesto se queste stesse parole fossero un paradosso o una provocazione e alla fine ho concluso che non sono l’uno né l’altro. Sono semplicemente la verità.
Le prostitute sono avanti a me e a noi perché sanno distinguere come nessun altro i desideri, le percezioni, le intuizioni, le sofferenze di tutti coloro che incontrano e non è, come molti credono, soltanto una questione di sesso. È una questione di felicità riconosciute o negate, di povertà accettate o respinte, di mani che, nonostante qualche volta cadano sulle loro tette, in realtà si protendono spesso verso altre mani. E le puttane queste mani le danno. Ecco perché sono spesso superiori ai preti: perché questi secondi le mani le ritraggono e si prendono gioco, nella loro infelice superbia, dell’amore cercato.
Maddalena vale di più
C’è qualcosa di indifeso e al tempo stesso di invincibile nelle puttane. Il giorno in cui sono partito da quella casa, ho incrociato Maddalena in portineria. Aveva una minigonna di quelle che a me scaldano la temperatura del sangue e le scappava da ridere. Scappava da ridere anche a me, ma ho finto di leggere con sussiego e con distacco la mia documentazione di viaggio, sistemato vicino ai miei bagagli. Maddalena comunicava la sua apparente sicurezza nel vedere un uomo in difficoltà, perché lei sapeva che io sapevo e che, in fin dei conti, la temevo. Aveva una disinvoltura esteriore che la portava a parlare un linguaggio di simpatia e di attenzione senza dirmi nemmeno una parola. A Copacabana molte prostitute parlano con i loro silenzi e sembrano mimetizzarsi in una città simile all’antica Torre di Babele. A differenza di quanto accade in Europa, quasi tutte camminano nascondendosi bene nell’ordinarietà e diventa molto difficile riconoscerle. È un segno di dignità.
Ma io no. Io le individuo all’istante, le sento, le annuso, le percepisco, le catturo con l’istinto. La mia è una similitudine provata da questa dote pressoché unica e irripetibile. I simili si trovano e si riconoscono come in un lampo. Una volta un cretino mi ha chiesto: «Egidio, che cosa vai a fare in Brasile?». Ho capito che si trattava di un cretino non tanto dalla domanda, peraltro legittima e comprensibile, ma dallo sguardo che aveva quando me la poneva. Gli si leggeva negli occhi l’immaginazione di un mio presunto desiderio di nascondere chissà quali trasgressioni erotiche e pareva che morisse dalla voglia di dare di gomito al vicino.
La risposta l’avete già con voi: in Brasile stavo a un passo dal Regno dei cieli. Ormai sono giunto a un profilo così trascendentale e così forzatamente ascetico da contemplare Maddalena. Non so se esaltare la verginità di un uomo, me stesso, che attraversa e taglia gelidamente l’apparente trasgressione di un mondo così ipocrita o se piuttosto compatirla. In fin dei conti ci viene sempre dato un messaggio duplice: si condanna un certo tipo di umanità con un disonore partorito dal moralismo più bieco e poi la si desidera e la si esalta soltanto attraverso un triste e idiota maschilismo. Questa è la ragione per la quale credo che le puttane si distinguano in questo mondo di infelici e Dio, che è buono e giusto, non poteva che riconoscerlo, quasi in un’affermazione di sfida e di provocazione all’uomo. Maddalena vale di più e Dio lo dichiara.
Mai osare davanti all’impossibile
Ho lasciato quel palazzo con nostalgia. Maddalena mi manca perché, vicino a lei, ero consapevole di trovarmi a un passo dal Regno dei cieli. Mica l’ho detto io. L’ha detto Gesù Cristo.
La sua vicinanza la rendeva umana e semplice e perfino le sue telefonate fatte in corridoio, che io ascoltavo, erano la sfida ai sepolcri imbiancati: «Ma dove siete? A Niterói? OK, vengo… Ma siete una coppia o sei singolo? Ah, una coppia… Sì, sì, faccio tutto… Allora va bene…».
Ho imparato molte cose vicino a Maddalena. Non certo a fare l’amore. Però ho imparato innanzitutto che il Regno dei cieli è a un passo. In secondo luogo che questo passo è breve. In terzo luogo che questo Regno ha il volto e il respiro dei rinnegati e che questi rinnegati sanno vivere meravigliosamente ed eroicamente da soli. D’altra parte, che cosa potrebbe aspettarsi una prostituta dal perbenismo dei benpensanti? Eppure tutte loro stanno in piedi, camminano, vivono, resistono. Il loro è un universo di resistenti. Resistono nel dolore sottile di un’ingiustizia quotidiana e di un amore dato e mai ricevuto. Resistono dietro un sorriso forzato e dietro una parola falsa. Resistono dietro l’ennesimo cliente infelice, povero e magari violento. Maddalena resiste.
Quando tornava nel cuore della notte, spesso mi svegliavo. Mi viene quasi da sorridere, ma era come se mi preoccupassi come un padre o un marito. Arrivava dall’ascensore e i sandali dal tacco alto saltellavano sul pavimento allo stesso modo di quando era uscita, ma più lentamente, a velocità dimezzata.
Poi quattro mandate sopra e due mandate sotto, poi la porta che si apriva e che si chiudeva, poi ancora le stesse mandate e poi la prima scarpa che si sfilava strisciando sul pavimento. Poi si sfilava anche la seconda e poi il colpo di entrambi i sandali che venivano buttati distrattamente in un angolo. A volte questo rito veniva seguito dalle voci del televisore appena acceso e a volte dal rumore della doccia appena aperta. A volte invece nulla. Maddalena era caduta sfinita sul letto. La resistenza era finita e il Regno dei cieli si era addormentato.
Dall’altra parte della parete io, che mi ero svegliato pigramente, la riconoscevo, ne ascoltavo tutti i battiti e poi cercavo di riaddormentarmi, risvegliandomi però quasi subito. Pensavo per un attimo a Eugênia, ma soltanto un pensiero e nulla di più, come il bacio tenero della buonanotte. Poi giù ancora per davvero.
Mai osare davanti all’impossibile.