Libertà
Nella Torà
Il sentiero dell’uomo libero
Dio ha concesso l’uso del libero arbitrio nel giardino dell’Eden. L’unico compito assegnato all’uomo era quello di salvaguardare la Creazione, l’unica proibizione pronunciata era quella di non mangiare dall’albero della conoscenza del bene e del male. I saggi spiegano che lo scopo di tale comandamento era il seguente: «L’Onnipresente ha posto dinanzi all’uomo due vie: la via della vita e la via della morte, ma egli scelse per sé quest’ultimo sentiero» (Genesi, Rabbà 21:5).
La scelta del sentiero sbagliato, l’errore, comporta conseguenze dolorose. Il libero arbitrio sfuma nell’incapacità di scelta o nella non volontà di scegliere e si trasforma in oppressione, ma quando finalmente si sceglie, i dubbi diventano compagni di strada e si rimpiange la via non intrapresa. Chi dà fiducia al proprio sentire procede sicuro anche quando il sentiero è tortuoso.
L’uomo che preferisce l’apparente sicurezza di quattro mura, che si conforma alle convinzioni sociali vive esiliato nella propria casa, isolato dal proprio cuore. Colui che accetta il destino di viandante, vive nella consapevolezza che l’unico giudizio a cui si deve rendere conto è quello di Dio e vive nella profonda libertà di vivere la propria vita seguendo le leggi dettate dal cuore. Quest’uomo sa che nelle restrizioni del mondo materiale e del corpo fisico, nessuno ha mai spiccato le ali nelle immensità del cielo, ma tanti uomini coraggiosi lo hanno fatto nella propria mente e hanno insegnato all’umanità il valore del pensiero originale e della libertà di parola.
La storia dell’umanità ci racconta di individui, popoli e nazioni alla ricerca della propria indipendenza e libertà di essere e di pensare. La Torà ne menziona alcuni, ma evidenzia sopratutto l’evento che segna più di tutti la storia del popolo d’Israele: l’uscita dalla schiavitù d’Egitto. Non tutti seguirono Mosè e questo c’insegna che la libertà è un concetto relativo.
La libertà: un dono a doppio taglio
La Torà ci insegna che l’uomo è pienamente responsabile delle proprie azioni e trova ciò che semina. Colui che vuole cambiare destino non si nasconda «fra gli alberi del giardino» come Adamo, e non vada a interrogare le stelle ma prenda nelle mani le redini della propria vita. Il nostro carattere traccia il disegno della nostra vita ed è influenzato dalle nostre scelte; un uomo libero è colui che sa riconoscere le proprie inclinazioni. L’impulso egoistico serve per autorealizzarci, ma diventa male quando opprime l’altro. L’eredità genetica non determina ciò che siamo, come spiega il Talmud: «Siamo tutti figli di Adamo, così i giusti non possano dire: «Noi siamo i discendenti di un antenato giusto» e i malvagi: «Noi siamo i discendenti di un antenato malvagio»» (Sanhedrìn 38a).
La libertà è l’espansione totale del nostro essere, è l’ignoto, è il divenire, mentre la struttura o il limite (la legge) è quello che c’è, il conosciuto, il rifugio dove si nasconde il nostro sé. Per arrivare alla libertà è necessaria la ricerca, percorrere tanti sentieri che ci portano a denudare l’ego e svelare il nostro Io.
Una storia chassidica racconta di un grande maestro che, stanco di insegnare, si rivolse al suo Rabbi che gli rispose insegnandogli il senso profondo della frase citata in Genesi: «Questa è la storia di Noè. Noè era uomo giusto, integro tra i suoi contemporanei. Procedeva con Dio» (6:9). Cosa significa che Noè procedeva con Dio? Ognuno ha il suo sentiero personale verso Dio attraverso il lavoro quotidiano che compie, sia questo l’insegnamento o la coltivazione della terra, l’importante è rimanere integri con la propria via e non idolatrare quella degli altri, ritenendola più preziosa e fortunata della nostra.
Yarona Pinhas, esegeta, scrittrice
Nel Corano
Il modo di intendere la libertà è legato strettamente alla visione di ciò che è l’essere umano e alla felicità, perché la libertà è come un andare per raggiungere ciò che ci soddisfa, che ci dà piacere, che ci dà pienezza e placa le ansie del desiderare.
Nella cultura contemporanea, questo andare verso la realizzazione del proprio desiderio, al massimo può trovare un limite nella libertà dell’altro, e così nascono i valori negoziabili storicamente e situazionalmente.
«Questo modo di vedere il rapporto tra etica – valori professati individualmente purché non a scapito della pari libertà altrui; valori condivisi in base ad argomentazioni storico-culturali, etica della responsabilità – e politica non ha bisogno di fondamenti assoluti…» (G. Vattimo).
L’uomo appare come gettato nel mondo, senza un progetto normativo, per cui il senso della vita è tutto da inventare: «non abbiamo né dietro a noi, né davanti a noi, nel luminoso regno dei valori, giustificazioni o scuse. Siamo soli e senza scuse…» (Sartre).
Nella visione islamica l’uomo è descritto come un essere creato, quindi la sua origine è in un Altro, dipende da un Creatore.
«… Crede forse l’uomo che sarà lasciato libero? Già non fu che una goccia di sperma eiaculata, quindi un’aderenza, poi [Allah] lo creò e gli diede forma armoniosa» (LXXV,3640).
La libertà umana è relativa non solo in rapporto all’altro, ma anche al Creatore, a un’impronta creaturale che ci portiamo dentro da sempre.
La libertà quindi si configura come possibilità di intraprendere il cammino verso la realizzazione di se stessi o di allontanarsene, negando la propria verità creaturale, non c’è una via di mezzo: «O uomini, invero la vostra ribellione è contro voi stessi, [avrete] gioia effimera nella vita terrena e poi sarete ricondotti verso di Noi, e allora vi informeremo circa il vostro operato» (X,23-30).
Esiste una fitra (natura) che suggerisce il bene, che è orientata intimamente verso il Creatore e una Via, illuminata dalle Scritture, la felicità si ottiene percorrendola, però è l’uomo che sceglie, con la grazia di Dio: «Coloro che amano l’effimero trascurano un giorno grave. Chi vuole, intraprenda dunque la via che conduce al suo Signore» (LXXVI,2729). «Non c’è costrizione nella religione. La retta via ben si distingue dall’errore. Chi dunque rifiuta l’idolo e crede in Allah, si aggrappa all’impugnatura più salda senza rischio di cedimenti» (II,256).
L’uomo, da solo, si perde, non sa desiderare le cose giuste… È creato nell’argilla (fretta): «L’uomo invoca il male come invoca il bene. In verità l’uomo è frettoloso» (XVII,11).
Allontanandosi da Dio l’uomo non è libero: «Ma l’uomo preferisce piuttosto il libertinaggio!» (LXXV,5).
La libertà umana si realizza non tanto nell’ebbrezza della trasgressione delle regole, o in un «posso fare ciò che mi pare», ma nel paziente camminare nella Via rivelata da Dio, che è la Via che porta al cuore dell’umanità, dei suoi desideri, alla loro realizzazione, anzi al di più, poiché Egli è Colui che dà in abbondanza: «Coloro che fanno il bene avranno il bene in questa vita, ma la dimora dell’altra vita è certo migliore! Quanto deliziosa sarà la dimora dei timorati» (XVI,30-31).
Patrizia Khadija Dal Monte, teologa, scrittrice
Nel Nuovo Testamento
Gesù, uomo libero
In tutti e quattro i Vangeli messi insieme non ricorre mai il sostantivo «libertà»; solo tre volte l’aggettivo «libero» e due il verbo «rendere liberi». Questi vocaboli popolano le lettere di Paolo, che in più di un’occasione riflette sul senso e sulle implicazioni della libertà; i Vangeli invece non propongono una riflessione sul tema, ma un racconto, la storia coinvolgente di un uomo libero: Gesù.
A prima vista, la grande libertà di Gesù potremmo definirla così: non si lascia condizionare. Attenzione, perché non è come alcuni suoi contemporanei, che facevano dell’insensibilità il loro ideale di vita: quando vede una donna che accompagna il cadavere del figlio alla sepoltura, Gesù si commuove profondamente; e quando poi si trova davanti alla tomba dell’amico Lazzaro, e tutti attorno a lui piangono, scoppia in lacrime pure lui.
Non è un uomo insensibile; è «incondizionabile»: va in casa dei peccatori e mangia con loro (ma è vietato!), si lascia coccolare da una peccatrice (è sconveniente!), guarisce di sabato (proibito!), perdona chi lo sta uccidendo (sciocco…). Non guarda in faccia i potenti e non si lascia condizionare da quello che dice la gente. È libero.
I Vangeli sottolineano così tanto questo aspetto che si ha quasi l’impressione che una tale libertà per Gesù sia «facile»: sceglie sempre la cosa giusta, senza mai un dubbio o un’esitazione. In realtà, se proviamo a scendere in profondità, scopriamo un altro volto della libertà di Gesù.
Subito dopo il Battesimo al fiume Giordano, Gesù va nel deserto e per quaranta giorni è tentato da satana; Luca racconta così: gli si avvicina il maligno e gli dice: Scegli! Hai davanti il bene e il male, decidi da che parte stare (cf. Lc 4,1-13). Come ogni uomo, Gesù è stato posto dinnanzi alla necessità di scegliere: la sua libertà non è stata una finzione, era veramente libero di scegliere.
Ma non è finita: scrive l’evangelista Luca che satana «dopo aver esaurito ogni specie di tentazione si allontanò da lui, per ritornare al tempo fissato» (Lc 4,13). Le tentazioni nel deserto sono solo una prima battaglia; la guerra vera e propria scoppierà alla fine. È ancora Luca che ci racconta di come, prima dell’ultima cena, il maligno, attraverso Giuda, ha fatto precipitare gli eventi, portando in breve Gesù di fronte a una scelta drammatica: rinnegare tutto o morire.
Siamo nell’orto degli ulivi, un podere fuori città, è notte e Gesù è solo; ci sono anche i discepoli, poco più in là, ma dormono beatamente (cf. Lc 22,39-46). Gesù invece, «in preda all’angoscia, pregava più intensamente e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra». Lui che ha sempre portato avanti la sua scelta con libertà sovrana; lui che non ha arretrato mai di fronte a nessuno; proprio lui ora, solo e di fronte alla morte, è in preda all’angoscia e dice: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice». Gesù dice a Dio: come vorrei non morire…
Sono parole pesanti, che ci portano al cuore della fede cristiana: Gesù era veramente uomo, la sua libertà non è stata una messa in scena; ha sempre avuto la possibilità reale di scegliere tra bene e male. Le ultime parole di quella preghiera, laggiù nell’orto degli ulivi, sono: «Padre, non sia fatta la mia, ma la tua volontà»; sono parole che esprimono una fiducia grande, ma non ingenua! Parole pronunciate dopo il gelo dell’inverno, come i fiori che spuntano a primavera bucando l’ultima neve.
Carlo Broccardo, docente di Sacra Scrittura