Lettera dal Brasile

di Tosi Giuseppe

p>Per seguire la recente congiuntura del Brasile propongo di utilizzare una chiave di lettura che si sta rapidamente diffondendo fra gli analisti politici ed anche nel linguaggio comune. È la cosiddetta apartheid sociale, tradotta letteralmente in portoghese come apartacão o come exclusão social (1).

Il termine si ispira al sistema di apartheid sudafricana dove bianchi e negri vivono separati fisicamente, socialmente, economicamente ed anche – speriamo per poco tempo – politicamente.

Nel Brasile questa separazione non dipende principalmente dal colore (anche se la discriminazione razziale esiste), ma divide le persone in due categorie: gli inclusi e gli esclusi.
Anche se politicamente tutti godono degli stessi diritti, e il paese vive in una democrazia formale, socialmente si sono accentuate sempre più le differenze sociale, da qui il nome di apartheid sociale.

Negli ultimi anni si nota il sorgere di una vera e propria apartheid fisica, cioè una separazione spaziale tra ricchi e poveri: i ricchi nei quartieri eleganti e nei condomini chiusi, cintati come muri di protezione e vigilanti armati, che usufruiscono all’interno di servizi educazionali, sanitari e ricreativi, e i poveri nelle estreme periferie delle città e nelle favelas.

La storia del Brasile è sempre stata, fin dalle sue origini, una storia di esclusione, marcata profondamente da secoli di schiavitù, però – nonostante tutte le differenze e disuguaglianze – una classe aveva bisogno dell’altra, e entrambe convivevano, per mutua necessità, in uno stesso spazio fisico e sociale.

Quello che è successo di nuovo negli ultimi venti anni è che questa relazione di necessità mutua è diventata:

economicamente superflua, perché l’automazione riduce drasticamente la quantità di lavoratori necessari;

socialmente incomoda, a causa della degradazione urbana provocata dalla povertà;

politicamente pericolosa, per le possibili conseguenze della violenza subita dalle grandi masse escluse.

Per questo, invece della convivenza, si iniziò a montare l’esclusione: invece della disuguaglianza è sorta la differenza.

L’economia e la società si dividono, ciascuna, in gruppi appartati: gli INCLUSI e gli ESCLUSI.

PROCESSO DI SEPARAZIONE

Stanno fra gli INCLUSI:

a) i grandi capitalisti. Il Brasile è uno dei pochi paesi contemporanei dove la maggior parte dei grandi impresari non ha interesse economico nell’elevazione del potere di acquisto della maggioranza della popolazione. A loro basta elevare il potere di acquisto di una minoranza di lavoratori che comprano i prodotti;

b) i lavoratori incorporati alla modernità con qualificazione e salari che permettono un certo livello di consumo. Con la modernizzazione accelerata il sistema ha segregato i lavoratori in gruppi distinti: quelli con i salari compatibili con i costi di sopravvivenza e che sono relativamente protetti per la scala mobile e gli altri, esclusi e marginalizzati;

c) i lavoratori incorporati rotativamente alla modernità e che si mantengono nella povertà, con bassa qualificazione e bassi salari. Solo alcuni riescono a passare alla minoranza moderna, gli altri oscillano secondo l’impiego, alcune volte dentro il sistema, altre fuori, ma la maggioranza rimane permanentemente esclusa.

Stanno fra gli ESCLUSI la grande massa della popolazione che non trova posto nel mercato di lavoro dei beni di consumo, Le nuove tecniche dispensano i grandi contingenti di manodopera esigendo solo pochi e qualificati lavoratori che passano a ricevere salari che permettono di comperare i beni prodotti dal settore moderno.

Per esempio, i nordestini (che corrispondono ai meridionali in Italia) erano ben visti fino agli anni ’70, perché aiutavano a costruire il progresso – cioè abbassavano il costo della manodopera – oggi sono visti come indesiderabili perché vengono ad aumentare ancora di più l’immenso contingente di miserabili.

ANELLO DI CONGIUNZIONE: I RIFIUTI

Come drammaticamente e acutamente mostra Cristovam Buarque, uno dei pochi punti di contatto fra questa massa esclusa e il settore di moderno, sono i rifiuti, i resti (lixo): i resti di impiego temporaneo, i resti dell’alimentazione delle case dei ricchi, dei ristoranti, dei supermercati, i resti monetari: l’elemosina, la mancia per chi guarda la macchina o trasporta la spesa del supermercato fino al posteggio ecc.

Nell’economia dualista anteriore, dove c’era un settore moderno e un settore arretrato – in gran parte ancora rurale -, le persone avevano accesso agli alimenti. Nell’economia di apartheid il settore arretrato tende alla estinzione: i poveri si trasformano in miserabili, chi viveva nel mercato informale passa a vivere dei rifiuti. Col passare del tempo non gli resteranno neanche i rifiuti perché il settore moderno li riciclerà con tecniche che riducono manodopera.

Se vogliamo quantificare questi dati possiamo utilizzare la piramide dei salari:

Solamente il 3% della popolazione occupata guadagna più di 20 salari minimi (cioè più di 1500 dollari), il 26.5% guadagna da 2 a 20 salari minimi (da 150 a 1500 dollari) mentre la maggioranza della popolazione (52.9%) guadagna meno di due salari minimi, cioè meno di 150 dollari (il 17.8% restante non dichiara ecc.).

Gli inclusi rappresenterebbero circa il 30% della popolazione, cioè 45 milioni di persone: un mercato grande quasi come quello italiano e che può da solo sostenere un grande parco industriale. Bisogna però precisare che esistono fra gli inclusi grandissime differenze di rendita e di potere (economico e politico) che non possono essere dimenticate: la principale è quella fra capitalista e salariato.

Apartaìção

Circa il 50% della popolazione resta fuori o ai margini di questo mercato: sono gli esclusi, cioè più di 70 milioni di persone. E anche fra di loro ci sono grandi differenze, fra chi guadagna poco, ma riesce a mantenere un impiego permanente, anche se con rotazione e bassi salari (che sono qui lavoratori intermedi tra i due gruppi) e quelli che vivono permanentemente fuori dal sistema, sotto la fascia della povertà assoluta, che oggi sono calcolati in circa 32 milioni di persone.

L’analisi di Cristovam Buarque sull’apartheid sociale è più complessa di quanto sommariamente presentato qui, perché include gli aspetti culturali e propone anche una lettura delle relazioni internazionali in termini di apartheid. Consiglio a tutti di leggere il libro, se possibile prima di partire per il Brasile, perché può essere una chiave di lettura preziosa per capire le varie realtà che si visitano.

Solo per dare un esempio: in João Pessoa – capitale di uno degli Stati più poveri della Federazione, con un parco industriale inespressivo, che produce meno del 3% del PIL brasiliano – sono state aperte negli ultimi due anni 6 concessionarie di automobili importate, il cui prezzo più basso è 20.000 dollari (equivalenti a 266 salari minimi). La compagnia telefonica ha iniziato le iscrizioni per i telefoni cellulari e già 1000 persone si sono iscritte, ecc.

Ma sono sicuro che molti lettori di Madrugada, soprattutto chi proviene dalla cultura marxista, si stanno facendo la domanda fatale: e la centralità del conflitto fra capitale e lavoro dove la mettiamo?

Per ora la lasciamo in sospeso per ulteriori approfondimenti: io credo che non abbia perso la sua validità, ma che deve essere reinterpretata in questo nuovo contesto sociale.

Per ora è importante capire che questa categoria ci permette di fare un esercizio di interpretazione di alcuni fatti della congiuntura. Per esempio cito alcuni dei fatti più rilevanti a partire da luglio/agosto di quest’anno:

– massacri (chacinas) della Candelaria (Rio de Janeiro), degli indios Yanomami, della favela di Vigàrio Geral (Rio de Janeiro): in quasi tutti, gli esecutori sono poliziotti e operano con la connivenza delle forze di polizia;

– scandalo della commissione di bilancio del Congresso nazionale: un alto funzionario della commissione ha confessato il sistema di corruzione fra alcuni deputati; i grandi impresari – soprattutto le grandi imprese di costruzione – ministri del governo e altre autorità pubbliche: cifre di varie centinaia di milioni di dollari, che erano divise fra le persone interessate in uno schema molto simile alla Tangentopoli italiana;

– accordo tra il Sindacato dei metalmeccanici, le fabbriche di automobili e il governo che ha permesso l’aumento della produzione di veicoli, dove il punto centrale è stata la diminuzione delle tasse sulle macchine;

– revisione costituzionale, cioè apertura del processo di riforma della Costituzione del 1988, promossa dai gruppi di pressione dominanti, con l’obiettivo di aumentare ancor di più il suo controllo sullo Stato e di sgravarsi delle obbligazioni verso la società. Vogliono in sostanza ampliare le privatizzazioni per comprare a prezzi infimi il patrimonio pubblico e creare nuovi monopoli privati e allo stesso tempo vogliono diminuire la presenza dello Stato nella previdenza sociale e altri servizi…

Possiamo inserire tutti questi fatti in un unico discorso che mostra la ferrea logica della apartaìção.

I massacri sono contro le popolazioni escluse dal sistema sociale: bambini di strada, considerati marginali, cioè delinquenti, indios, che disturbano l’occupazione predatoria delle risorse dell’Amazzonia e per questo destinati allo sterminio e i miserabili delle favelas che non hanno più nessuna utilità economica.

PRIVATIZZARE LO STATO

La corruzione nel Congresso mostra come il sistema politico funziona a servizio di una élite dominante, che sta nell’alto della piramide degli incluidos: è un clamoroso esempio di fino a dove arriva la privatizzazione dello Stato cioè l’appropriazione della cosa pubblica per fini privati con la conseguente degradazione del sistema politico.

Quanto alla revisione costituzionale, che si iscrive in questa stessa logica, possiamo chiederci che cosa stanno facendo il movimento sindacale e popolare. Non ci sono più le grandi mobilitazioni popolari del 1988, nell’occasione dell’Assemblea Costituente; si nota invece una difficoltà generalizzata di mobilitazione e una reazione di tipo corporativo. I settori sindacali più forti e organizzati, per esempio quello dei petrolieri, che stanno dentro al sistema, fanno lobby presso i mezzi di comunicazione e i deputati, perché hanno soldi e potere e vogliono mantenere i diritti conquistati (non sempre legittimi, a volte dei puri privilegi di una aristocrazia operaia).

La parola lobby, sempre più usata, mostra il modello di democrazia corporativista di tipo nordamericano verso il quale il Brasile sta camminando, dove le categorie più forti riescono a proteggersi e gli altri rimangono fuori.

Il negoziato dei metalmeccanici mostra quello che Buarque chiama il neo-peleguismo: «Nel sistema di apartheid sociale, i gruppi sindacali sono impegnati con i lavoratori che rappresentano, ma sono estranei ai problemi delle grandi masse escluse. In tempo breve, ciò può trasformarsi in un nuovo peleguismo (sindacato giallo). Non sarà più il peleguismo tradizionale dei leaders sindacali allineati corrottamente agli interessi dei padroni, ma un tipo di sindacalista che, nonostante sia fedele ai suoi compagni e intransigente con i padroni, fa parte del sistema sociale ed economico e rimane sottomesso al modello e alle priorità nazionali» (pag. 68).

Vi lascio per ora con queste poche indicazioni, provocazioni e con un interrogativo da sviluppare non solo per il Brasile, ma anche per l’Italia e il mondo: non sarà che il sistema mondiale è già una grande apartheid sociale?

(1) Mi riferisco qui al libro di Cristovam Buarque, economista, già Rettore dell’Università di Brasilia e membro del Governo Parallelo del Partito dei Lavoratori (PT), Apartaìção. O Apartheid Social no Brasil, São Paulo, Brasiliense, Coleìção Primeiros Passos.

João Pessoa, Paraiba, Brasile, 4 novembre 1993