La solidarietà in diretta
A dar retta alla televisione – e come non darle retta, visto che rimane accesa nelle case degli italiani più di 10 ore al giorno – il nostro non è solo il paese delle lotterie (totocalcio, lotto, corsa tris, gratta e vinci e tutto il resto) ma è anche “il paese della solidarietà”.
Fateci caso: non passa giorno che non venga lanciata una qualche campagna di raccolta fondi per questa o quella iniziativa umanitaria. Sempre più spesso, ogni programma televisivo ci presenta, accanto al sempre mai abbastanza riverito “signor sponsor” (chissà, forse per pareggiare i conti), una bella sottoscrizione con tanto di numero di conto corrente in sovrimpressione. L’imperativo è sempre lo stesso: spillar soldi ai teleutenti. A fin di bene, naturalmente.
Gli esempi si sprecano: una volta bisogna ricostruire il ponte che l’alluvione si è portato via, un’altra è il finanziamento per il centro di ricerca sulla tal malattia incurabile, un’altra ancora è il Telefono azzurro che rischia di chiudere i battenti.
Il fine
giustifica i mezzi
Ma insomma, qualcuno potrebbe obiettare, che male c’è a far del bene? In fondo, da Machiavelli in poi, il fine giustifica i mezzi.
Eppure c’è qualcosa che non mi convince. Non contesto la nobiltà di questa o quella iniziativa umanitaria. Sono anche pronto ad ammettere, con beneficio di inventario, che tutti i miliardi raccolti, fino all’ultimo soldino, vadano a destinazione senza far tappa in qualche banca o in qualche tasca interessata. Ma provate a scavare un po’ a fondo. Forse i fini sono ottimi, ma il meccanismo è diabolico.
Tutti sanno che tra Rai e Fininvest si combatte una epica battaglia per l’audience. Senza esclusione di colpi, e con effetti disastrosi sulla qualità dei programmi. Ebbene, anche sulla solidarietà non poteva non scatenarsi una “sana rivalità” aziendale. Ogni anno, al di là delle mille sottoscrizioni di routine, Rai e Fininvest si affrontano, l’una contro l’altra armate, in due maratone televisive a cui difficilmente sarete riusciti a scampare. Comincia la Fininvest con la leggendaria impresa denominata “Trenta ore per la vita”. Risponde la Rai e rilancia: 48 ore di “Telethon”.
Ancora un
piccolo sforzo e…
E qui siamo all’apoteosi. Al centro dello studio, ossessivamente inquadrato e incessantemente evocato, campeggia un enorme display: è lui il vero protagonista, il termometro della solidarietà degli italiani. I quali italiani vengono incitati, vezzeggiati, fustigati dai vari divi della televisione, trasformatisi in eroici paladini. Ci sono tutti – Magalli, Frizzi, Columbro, la Cuccarini e il resto della compagnia -, la voce roca dopo ore e ore di trasmissione, tutti compresi nella parte, tutti rigorosamente gratis (facendosi i complimenti a vicenda), e tutti alla caccia del record: “Ancora un piccolo sforzo!, coraggio!, dimostriamo di cosa sono capaci gli italiani!, bastano appena cinquemila lire!, potete usare la vostra carta Sìì…’!, ecco… (suspance)… abbiamo superato i 38 miliardi!!!”.
E per miracolo, passando per il tubo catodico, l’Italia diventa il paese della solidarietà. Partecipando al grande rito televisivo, siamo emendati da ogni colpa, ci siamo alleggeriti la coscienza, anzi, ci sentiamo crescere due alucce sulla schiena.
Ma cosa c’entra la solidarietà con la fiera televisiva della bontà in diretta?
E buttiamo
a mare gli albanesi
E dove è finita l’Italia dei sei milioni di poveri, l’Italia che ributta a mare gli albanesi, caccia dal quartiere gli zingari, sfrutta selvaggiamente il lavoro degli extracomunitari, l’Italia dei mille episodi di indifferenza e intolleranza che riempiono le cronache dei giornali?
La solidarietà televisiva l’ha fatta scomparire con un colpo di prestigio, ma si tratta di un imbroglio. Una edizione, riveduta e corretta, dello scandalo della vendita delle indulgenze contro cui tuonava il monaco Martin Lutero.
Allora erano la chiesa, il papa, i principi-cardinali, a vendere la salvezza delle anime del purgatorio, dietro un corrispettivo in denaro. Oggi per salvarsi, per pacificare la coscienza, basta partecipare al Telethon. E pagare il canone televisivo.