La società orizzontale: sull’ultimo libro di Gherardo Colombo
Le regole e la società
Questa rubrica non può non dedicare parte della sua attenzione all’ultimo libro di Gherardo Colombo (Sulle regole, Feltrinelli, 2008).
La ragione di tale riguardo non deriva dalla diffusa notorietà dell’autore o dai suoi trascorsi di magistrato impegnato in indagini e processi tra i più difficili e delicati della storia della Repubblica italiana.
Il motivo dell’interesse è diverso, e forse più profondo, ed è direttamente collegato al contenuto del testo stesso, poiché Colombo affronta con linguaggio semplice e diretto molti dei temi discussi anche in questa sede, rilanciando una riflessione pubblica sul significato delle regole giuridiche, sul loro valore, sul diverso modo di concepirne funzione e obiettivi. Leggere questo libro, in altre parole, può servire per ‘ripassare’ utilmente molte delle riflessioni che sono state periodicamente proposte in questa rivista, nel tentativo di avvicinare ogni cittadino a una maggiore consapevolezza critica rispetto a ciò che il diritto comporta per la vita di ciascuno.
Le immagini e l’itinerario argomentativo scelti da Colombo sono già noti ai lettori di queste pagine. L’idea che ciascuno di noi ha comunemente delle regole giuridiche è filtrata dalla predominanza tradizionale degli schemi e delle declinazioni operative di quella che lo stesso autore definisce ‘società verticale’. In un contesto in cui il diritto diventa espressione di un rapporto strettamente gerarchico tra chi lo produce e chi deve osservarlo, esso risulta il più delle volte estraneo alla dimensione individuale, mero strumento impositore di sanzioni concepite come gradualmente più gravi a seconda del grado di strutturale ineffettività (non producono l’effetto desiderato, ndr) che ne mina la concreta applicazione.
In questo stesso contesto, il diritto stesso si spoglia di ogni legame con un livello predefinito e oggettivo di giustizia, restando ostaggio, per così dire, di regole procedurali tanto fondamentali (il principio maggioritario) quanto fallaci e deboli (è proprio vero che ciò che vuole la maggioranza è sempre e realmente ‘giusto’?). I diritti fondamentali, in questa prospettiva, appaiono talvolta ‘disponibili’, esposti naturalmente alla logica piramidale di questo tipo di società e potenzialmente travolti dal rischio di restare sospesi tra un ritorno al passato (l’unico modo per riaffermarli è riconoscerne un’asserita natura divina) e una negazione del presente (presunte contingenze storiche ne impongono la concreta limitazione). Èla ‘persona’, in sostanza, a cedere, e ciò di fronte alle regole delle istituzioni pubbliche e di fronte al bisogno che esse hanno di legittimarsi e di perpetuare il dominio di coloro che ne sono titolari, sia pure teoricamente temporanei.
La soluzione della società orizzontale
Se è vero che questo è il quadro offerto dalla ‘società verticale’, è altrettanto vero che esistono tipologie di società completamente diverse, ‘orizzontali’, fondate su una concezione funzionale delle regole giuridiche e dell’ordinamento giuridico nel suo complesso, concepiti, entrambi, come strumenti per lo sviluppo libero della personalità di ciascuno. Il carattere ‘orizzontale’ di tali società deriva dalla consapevolezza del carattere intrinsecamente diffuso dei diritti fondamentali, riconoscibili, sempre e comunque, in capo a ogni individuo, indipendentemente dalla sua concreta e materiale capacità di autoaffermazione.
Ogni scelta di ‘governo’, in tali società, è scelta necessariamente sostenibile, si direbbe oggi, ossia è opzione che non può trascurare la finalità ultima dell’ordinamento giuridico e l’indispensabile obiettivo della tutela dei diritti fondamentali di ciascuna persona. In ciò risiede la ‘giustizia’ di queste società.
Anche le scelte del legislatore penale, in questo panorama, sono strutturalmente diverse: le pene non possono avere una finalizzazione esclusivamente retributiva (hai sbagliato e dunque devi pagare!, ndr); esse richiedono la ricomposizione della frattura che si è creata nel godimento dei diritti fondamentali, e quindi, da un lato, non possono esistere se non concepite nel senso di rimediare a tali violazioni, dall’altro, devono essere eseguite nel senso di favorire un dialogo tra la società e colui che ne ha infranto le regole.
Ovviamente, un modello perfetto di società ‘orizzontale’ non esiste; né può dirsi esistente un modello altrettanto ‘puro’ di società ‘verticale’. La società italiana, attualmente, è un insieme di tali modelli, presentando simultaneamente elementi tipici delle due diverse ipotesi. Nel saggio di Colombo, però, si coglie un messaggio decisivo: la nostra Costituzione (che quest’anno festeggia il suo 60° anniversario) sembra costruire il progetto della ‘nuova’ società repubblicana come progetto di una ‘società orizzontale’. Essa riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e ne consente l’espressione in ogni sede (art. 2), afferma l’uguaglianza formale e sostanziale, impegnandosi a rimuovere ogni ostacolo materiale alla realizzazione personale di ogni individuo (art. 3), presuppone solidarietà e impegno da parte di tutti i cittadini (artt. 2 e 4), promuove la tutela di diritti ‘sociali’ senza i quali nessuna prospettiva ‘orizzontale’ potrebbe essere coltivata (l’istruzione, la salute, l’assistenza ecc.).
La chance per la promozione di un modello nel quale recuperare il senso autentico delle ‘regole’ viene quindi recuperata attraverso la valorizzazione dei principi costituzionali e dei valori culturali che a essi sono sottesi, che richiedono la consapevolezza di ciascun cittadino di essere titolare di diritti insopprimibili e la conseguente capacità di attivazione pubblica e sociale, al di là del ruolo delle istituzioni.
L’importanza del diritto
La ricostruzione operata da Colombo appare davvero persuasiva. In questa occasione, però, se ne deve sostenere ulteriormente l’importanza, in quanto, in ultima analisi, la ‘società orizzontale’, basata sul rispetto della persona e dei diritti fondamentali, è lo specchio della società autenticamente democratica, rispettosa delle prerogative delle minoranze e di ogni forma di civile dissenso, laica e capace di riproporre in ogni momento il principio (intrinsecamente costituzionale) della superiorità del diritto su qualsivoglia scelta pubblica contrastante con tali obiettivi.
Riscoprire questa interpretazione, del resto, conduce ognuno di noi a riscoprire il senso autentico del costituzionalismo moderno, tutto finalizzato a limitare il potere pubblico in funzione di spazi insopprimibili di libertà e di autonomia individuale. Le regole giuridiche, nella tradizione costituzionalistica, non sono fini a se stesse, e sono continuamente soggette a uno scrutinio di complessiva ragionevolezza, i cui poli dominanti non sono le autorità o i poteri (pubblici o privati), bensì i diritti e le libertà.
Si tratta, peraltro, di acquisizioni che non hanno nulla di puramente teorico.
Sia consentita, in chiusura, la posizione di un breve e provocatorio quesito esemplificativo: con quale logica i giudici della Corte di cassazione hanno acconsentito alla fine di ogni forma di alimentazione forzata a favore di Eluana Englaro? Hanno forse deciso in base alle regole di una società ‘verticale’? O hanno, invece, fatto applicazione del diritto, che, al di là di una qualsivoglia legge, i nostri principi costituzionali preservano e promuovono in ogni sede, garantendo dignità e libertà a ogni individuo di una ‘società orizzontale’?