La nostra stupidità non è negoziabile
Stiamo vivendo un tempo di crisi (salta agli occhi di tutti). E di stupidità criminale.
Si pensi all’ecologia, alla situazione del pianeta: Bush non firma il trattato di Kyoto perché la crescita dell’America non è «negoziabile». L’Italia, con altri paesi, è terrorizzata dalla prospettiva di una bassa crescita economica. Eppure non è necessaria un’alta crescita; al contrario per la vita del pianeta è essenziale la de-crescita.
Altan con una vignetta – geniale come di consueto nella sua semplicità – dice che noi vogliamo il progresso anche se ci manderà a picco. La nave del pianeta (questo Titanic) collide, ma affonda abbastanza adagio da permettere ai passeggeri di prima classe di ascoltare l’orchestra che esegue Beethoven. Tutti noi collaboriamo tranquillamente all’affondamento, approfittando del fatto che la forza inerziale della natura rimanda la tragedia finale.
Si pensi all’evasione fiscale e alla mancanza di civismo. Oggi tutti mirano a passare per gente perbene e a essere, di fatto, i «furbetti del quartierino». È una strana combinazione di egoismo-avidità-narcisismo. L’opposto della responsabilità civica. Il fenomeno è diventato una piaga, nelle varie forme di corporativismo, evasione, leghismo, neofascismo, menefreghismo, trasformismo… Anche su questo non mancano immagini e storie. Si racconta di un paesino in zona vinicola che ha voluto aprire la sagra locale con un brindisi generale. Ogni capofamiglia s’è impegnato a portare una bottiglia di vino il cui contenuto è stato versato in una enorme botte in mezzo alla piazza. Ma agli organizzatori è sfuggito il pericolo che l’uno o l’altro dei capifamiglia avrebbe portato una bottiglia d’acqua, pensando che nessuno se ne sarebbe accorto: dopotutto cos’è un litro d’acqua su cento di vino? Riempita la botte, si passa a mescere il vino nei bicchieri e a brindare… con acqua (dicono ci fosse un litro di vino su cento di acqua).
C’è una storia più tragica: un’aquila a due teste aveva una testa buona e l’altra cattiva. La cattiva si prendeva tutto e aveva ridotto l’altra all’inedia. Stanca dei soprusi, la testa buona si vendicò, ingoiando delle bacche velenose. Col corpo avvelenato, morirono ambedue le teste.
Si pensi alla convivenza tra i popoli. Francis Fukuyama dice che la globalizzazione è buona, inevitabile e porta a una «megacultura» che è quella del pensiero unico, del mercato, delle scienze occidentali. Samuel Huntington discorda perché ci sono almeno nove culture irriducibili che, semmai, provocheranno uno scontro di civiltà. Fernando Savater parla di una tendenza alla resistenza fanatica da parte delle società più deboli. Chi ha ragione? Cosa fare per evitare lo scontro di civiltà e il fanatismo? Cosa fare per evitare il trionfo equivoco della megacultura della globalizzazione (che è ben diversa dalla mondialità da noi sognata)? La globalizzazione ha passato la spugna su secoli di cultura mediterranea; gli indios hanno chiesto invano di vivere su «isole franche» fuori della pazzia consumista globale; i cinesi si sono infine arresi davanti alla civiltà (?) occidentale (ma stanno mettendola in crisi). C’è da sperare che il mondo musulmano – forte e debole allo stesso tempo – riesca a resistere. Dobbiamo augurarcelo per il bene dell’umanità.
e la chiesa?
Potrei finire qui, ma voglio dire una parola in risposta agli amici che mi hanno chiesto a proposito di Verona e del convegno della chiesa italiana.
So che il discorso del papa è stato interrotto da decine di applausi (claque?). So che si è parlato della vita interna alle comunità cattoliche. Ma si è parlato dei temi accennati sopra? La chiesa che aveva mancato l’appuntamento ecologico al giubileo (nonostante dovesse essere l’obiettivo principale) ha preso in considerazione l’agonia del pianeta, correggendo la teologia dell’uomo signore del creato?
La chiesa ha pensato di rinunciare unilateralmente alla sua pur legale evasione fiscale, calcolata in sette miliardi di euro all’anno? O si è preoccupata a perfezionare ulteriormente la campagna dell’otto per mille?
Per favorire l’incontro e la convivialità delle differenze, la chiesa ha pensato di proporre l’insegnamento religioso che non sia quello esclusivo cattolico, rinunciando così a questo punto del concordato? Ha deciso di mettersi in dialogo senza prestabilire come base per tale dialogo la ragione greca (capace perfino di mostrare logica la guerra)? E senza stigmatizzare in partenza sviluppi altri della ragione? Accettando anche il pensiero relativo al bello, alla mistica, alla saggezza delle altre culture e/o religioni… Tante domande. Dice il canto (di Bob Dylan): The answer, my friend, is blowing in the wind, the answer is blowing in the wind. Risposta non c’è, o forse chi lo sa, caduta nel vento sarà.