La finanza
La finanza occupa ormai un ruolo fondamentale nel funzionamento del sistema economico mondiale e della società nel suo complesso. Oggi il volume delle attività finanziarie supera di parecchie volte la ricchezza prodotta in un anno da tutti i paesi del mondo e risulta spesso difficile capire quale effetto possa avere questa «finanziarizzazione» dell’economia.
La finanza, come la conosciamo oggi, nasce intorno al 1600 a opera degli Olandesi i quali iniziarono a cercare finanziamenti per affrontare imprese di vario genere, comprese quelle coloniali, con lo scopo di dividere i profitti o le perdite con chi avrebbe accettato di condividerne il rischio. Lo scopo originario di un investitore era quello di guadagnare scegliendo accuratamente l’impresa su cui «puntare», essendo infatti un investimento di lungo periodo. Gli effetti di questo tipo di finanza sono, in fin dei conti, abbastanza positivi: un’impresa ha un’idea su cui investire ma non ha abbastanza denaro. Cerca allora persone che condividano il progetto, che credano nella sua riuscita e lo finanzino e come premio riceveranno parte dei profitti.
Subito però la volontà di guadagno immediato fece capolino tra gli investitori grazie a una scoperta: per finanziare un’impresa non è necessario impiegare il denaro per tutto il tempo, ma persone diverse si possono avvicendare nell’investire sull’impresa in tempi diversi, uno oggi, un altro domani e così via, potendo però realizzare guadagni più veloci. In termini economici, vuol dire che mentre l’impresa ha (dovrebbe avere) un’ottica di lungo periodo, gli investitori possono averne una di breve periodo (un obiettivo speculativo). L’effetto però può essere anche molto negativo: se a fronte di imprese che richiedono investimenti pluriennali gli investitori concedono prestiti annuali rinnovabili in nome della maggiore mobilità dei capitali, può succedere che, per un qualsiasi motivo, gli investitori decidano, a un certo punto, di non rinnovare il prestito e l’impresa fallisca. Questo è, in parte, ciò che è accaduto nel Sud-Est Asiatico durante la crisiàdi fine anni ’90. L’unico paese meno colpito fu la Malesia: invece di seguire i consigli del Fondo Monetario Internazionale di considerare i capitali assolutamente liberi di entrare e uscire da un paese senza considerazione delle esigenze dell’economia materiale, capì che per imprese di lungo periodo sono più sicuri finanziamenti di lungo periodo, limitò la fuga di capitali e la povertà e la disoccupazione conseguenti.
Sempre sui mercati finanziari si incontrano persone che scambiano quantità di beni che verranno prodotte in futuro (per esempio il caffè) e ne decidono il prezzo: i cosiddetti futures. Comprare un future significa impegnarsi ad acquistare, per il prezzo fissato, a una determinata data, un prodotto. Queste operazioni hanno una ripercussione sul mondo dell’economia reale. Al momento della vendita del caffè il produttore si vedrà attribuito un prezzo deciso sui mercati finanziari con poca considerazione dei costi sopportati per la produzione. In questo modo si determina il prezzo di prodotti coloniali, del grano, degli animali da macello fino alla spremuta d’arancia e ai metalli preziosi. Molte delle variazioni dei loro prezzi saranno dunque determinate da operazioni con scopo speculativo.
I mercati finanziari sono anche il posto in cui le responsabilità individuali si perdono e si mescolano. Milioni di piccoli investitori che lasciano nei propri conti correnti o in fondi di investimento i propri risparmi permettono di finanziare, tramite le banche, le imprese che creano i beni materiali di cui abbiamo bisogno, ma anche di investire in operazioni a carattere speculativo le quali, grazie all’anonimato e ai mille passaggi di mano, hanno permesso coperture a operazioni con conseguenze disastrose, senza possibilità di accertare le responsabilità, nemmeno quelle, inconsapevoli, dei piccoli risparmiatori.
Fabrizio Panebianco
laureato in Economia politica a Milano,
sta svolgendo il dottorato in economia
all’Università Ca’ Foscari di Venezia