La fecondità del processo conciliare
Donde comincia la mia filastrocca: dal mondo o dalle scarpe? Piccola cosa è Madrugada, che resta alla finestra a guardare la notte che dilegua. Metto le ciabatte e scrivo.
Giuseppe Stoppiglia parte dalle parole del ministro: Se il futuro è in vendita. I giovani sono bambole di pezza e constata da una parte lo smarrimento dei giovani, e dall’altra che gli adulti che perdono il bastone della responsabilità e il timone dell’etica.
In strada passa una musichetta allegra e sul computer slitta il monografico: Quel che resta del Concilio Vaticano Secondo. Giancarlo Zizola in L’eredità del Concilio Vaticano II scrive che la Chiesa, con il concilio, andò incontro al mondo, ma la storia non rimase ferma e creò sconcerto nella curia e un senso di speranza e di inadeguatezza tra coloro che desideravano il cambiamento.
José Comblin scrive in Concilio Vaticano II: e adesso? che la Chiesa era arrivata in ritardo rispetto alla modernità e il suo linguaggio nel 1968 era già superato; gli ultimi due papi hanno ripreso la strada chiusa della cristianità, affossato le comunità di base, ma resta il segno impresso dai profeti.
Conclude Arturo Paoli, La pazienza dell’attesa, a colloquio con Egidio Cardini. Nell’intervista afferma che la Chiesa del dopo concilio, anziché puntare l’attenzione e la voce contro gli idoli che opprimono gran parte dell’umanità, è ritornata a difendere i dogmi e l’eterna dottrina.
Il cielo è coperto di grigio, sullo schermo appare scritture a confronto, che svolge il tema della libertà e interviene Yarona Pinhas con Il sentiero dell’uomo libero. Tutto è previsto da Dio, ma si dà libertà di scelta. Seguono Patrizia Khadija Dal Monte che ci racconta come la libertà dell’uomo sta nella dimensione di creatura di Allah; conclude Carlo Broccardo con Gesù, uomo libero.
Per i bibliofili ecco la pagina dei libri: L’epoca del postumano, I sessanta nomi dell’amore e Ho incontrato il dragone (nessun riferimento a San Giorgio).
Con un occhio guardo Nino che raccoglie i cachi, in bilico sulla scala, e con la mano destra scandisco le rubriche. Mario Bertin in esodi, scrive che La grande vecchiaia rappresenta una nuova sfida per la politica.
Mentre nelle piazze qualcuno grida: ergastolo! a morte! buttiamo la chiave!, Fulvio Cortese affronta il tema critico della funzione della pena detentiva in Ancora sui delitti e sulle pene.
Novità nella continuità: per economia Fabrizio Panebianco, giovane economista, ci parla in breve de La finanza.
Vedo qualcuno che lento arriva: Alessandro Bresolin tratteggia la recente tempesta giacobina sui politici con una riflessione provocatoria nel titolo: Sfiducia è democrazia, pacata nel contenuto, che affronta la crisi di identità dei partiti e delle istituzioni di rappresentanza.
Chiude la rassegna Sara Deganello: Vi riconosceranno dai frutti. Appunti per un futuro possibile dove affronta il tema dell’identità, che non può essere solo legame con il passato (le radici), ma anche il tenore delle scelte fatte dalla comunità (i frutti).
Segue, di Gaetano Farinelli, la cronaca di Macondo e dintorni, non sempre in sintonia con le date e i segni zodiacali.
La pagina finale di Paola Pezzotta: One nation, more nations (una nazione, più nazioni) illustra ed esalta il significato delle foto di questo numero dedicate agli Stati Uniti d’America, uscite dall’obiettivo di Stefano Martellucci.