La crisi dello stato di diritto
C’è una giustizia e io la troverò
Lo stato di diritto è una delle maggiori conquiste della modernità, frutto di due grandi movimenti culturali e spirituali, il giusnaturalismo e l’illuminismo. Nel giusnaturalismo c’era molto di cristiano, nell’illuminismo c’era molto di laico, ma le due ispirazioni si sono intrecciate, spesso nelle stesse persone, sicché non si possono usare le nostre categorie di oggi per distinguere quanto c’era di «laico» e di «cristiano» nelle radici dello Stato moderno europeo.
Lo stato di diritto è fondato su due grandi presupposti. Il primo è che la giustizia c’è e può essere trovata: aveva ragione la povera moglie di Marmeladov in Delitto e castigo di Dostoevskij che, pur vivendo in uno squallore al limite dell’immaginazione, scesa sulla strada urlava: «C’è una giustizia e io la troverò». Il secondo presupposto è che per avere una società giusta non si può aspettare che vengano uomini giusti a «instaurare il diritto» (era questa l’attesa messianica) né ci si può affidare a giudici che giudichino giustamente secondo propri personali criteri, ma occorre che la giustizia sia incorporata nelle leggi (nel diritto «positivo») e da tutti sia osservata, compresi i governanti, e che dai giudici sia «detta» (giurisdizione), cioè sia applicata ai casi concreti; tutti, cittadini, autorità e giudici soggetti unicamente alla legge.
Nel suo sviluppo più maturo lo stato di diritto prevede altresì una gerarchia di leggi, al cui vertice sono le costituzioni, in cui sono sanciti principi e diritti fondamentali che una volta entrati in costituzione non possono essere soppressi né sminuiti, neanche se ciò corrispondesse alla volontà di esorbitanti maggioranze parlamentari e popolari: vi è cioè una zona dell’«indecidibile» che corrisponde ai diritti fondamentali e ai principi supremi dello stato democratico e di diritto, una volta che tali diritti e principi siano entrati in costituzione.
La costituzione, patrimonio della coscienza collettiva
Ciò vuol dire riconoscere che c’è un processo storico per il quale gli ideali di giustizia, di eguaglianza e di libertà, astrattamente configurabili (come faceva il diritto naturale), a un certo punto divengono patrimonio della coscienza collettiva e perciò trasformati in diritto positivo; ma sebbene il diritto positivo sia relativo e possa essere modificato dalle autorità che hanno il potere di porlo, vi sono diritti e principi che una volta acquisiti e messi a fondamento degli ordinamenti, non possono più essere revocati in quanto sono riconosciuti come frutto di una maturazione ormai acquisita e di una fase ormai compiuta della storia dell’umanità.
È chiaro poi che, col succedersi dei tempi, altri diritti e principi anche più avanzati possono entrare nelle legislazioni e diventare egualmente irrevocabili; così è accaduto nella progressione che c’è stata dai diritti personali, civili e politici, ai diritti economico-sociali, a quelli culturali e sociali, a quelli ecologici, come è avvenuto in molte costituzioni e nello stesso diritto internazionale.
Questo processo di incivilimento, che non è stato né indolore né lineare, ha subito un brusco arresto se non un rovesciamento negli ultimi decenni del Novecento quando, con la fine dei blocchi, si è riaperta una brutale partita per il dominio politico mondiale e per l’estensione universale del sistema economico liberista, facente capo a pochi grandi poteri. È evidente che uno stato di diritto e una comunità internazionale di diritto sono di ostacolo e anzi di per sé sono incompatibili con ambedue queste spinte. Da un lato l’effettività dei diritti fondamentali non può essere promossa dalle leggi dell’economia, e viene del tutto meno se la soddisfazione dei diritti dipende dal potere d’acquisto di ciascuno e dalle variabili di mercato; dall’altro il sistema delle libertà interne, l’autodeterminazione dei popoli e l’esclusione della guerra non possono che essere travolti dalle politiche volte a istituire un unico potere mondiale.
L’attacco allo stato di diritto
È in questo scenario che si è sviluppato l’attacco al diritto e allo stato di diritto. La deregulation ne è stato il primo obiettivo: le norme tendenti a salvaguardare la funzione sociale dell’economia e a garantire i beni primari non assicurati dal mercato sono state contestate come «lacci e laccioli» imposti al libero arbitrio delle forze economiche e via via abbattute in nome del potere del denaro e della libertà di concorrenza. Il ruolo della politica e dell’iniziativa pubblica è stato ridotto fino ai limiti dell’impotenza; e il divieto dell’uso della forza e della guerra è stato di fatto abrogato, e non solo la guerra è stata rilegittimata ma adottata come principale strumento di dominio e resa perpetua. A essa, di conseguenza, non è stato più applicato il diritto umanitario di guerra, in palese violazione del quale sono state praticate azioni di guerra indiscriminate, stragi di civili, uccisioni mirate (ciò in particolare da parte di Israele), torture e detenzioni illegali Ma anche il diritto interno ne è stato investito: negli Stati Uniti sono state intaccate le norme fondamentali del diritto penale, le garanzie processuali, i diritti di difesa, l’habeas corpus. In nome della sicurezza nazionale, scorporata dal bene comune e innalzata ad assoluto religioso, sono stati sospesi o negati i diritti fondamentali delle persone, l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la parità razziale e i diritti degli stranieri. La stessa libertà di stampa è stata condizionata e coartata dalla concentrazione dei poteri editoriali e dagli abusi del potere politico; l’informazione di guerra è stata impedita e il travisamento della verità è stato ufficialmente rivendicato e praticato come irrinunciabile per una buona condotta della guerra.
Ciò che è entrato in crisi è dunque il costituzionalismo interno e internazionale, una crisi che si contagia dall’uno all’altro Stato, più che mai interdipendenti nella società globale, e dall’ordinamento internazionale agli ordinamenti interni, complice e alibi il terrorismo, nella cui fattispecie viene annoverato qualsiasi nemico. La crisi è tanto più grave in quanto il diritto non solo è violato in via di fatto, ma ripudiato in via di principio. Per l’Occidente, e per l’Europa in particolare, è un tradimento della sua vocazione storica. Ed è chiaro che per riprendere la strada e ristabilire il primato del diritto, non bastano i giuristi e nemmeno i politici, ci vogliono i popoli.
Raniero La Valle giornalista, già deputato della Repubblica