La congiuntura politica del Brasile negli ultimi anni
Dopo l’impeachement del presidente Collor (novembre 1992), ha assunto il governo il Vicepresidente Itamar Franco, un politico tradizionale dello stato di Minas Gerais che non faceva parte dello stretto circolo di collaboratori di Collor e che non era coinvolto negli scandali per corruzione.
Il governo Itamar ha potuto contare all’inizio su di un arco di forze molto ampio, formato da quasi tutti i partiti che avevano contribuito all’impeachement, il che però ha dato una composizione molto eterogenea al suo ministero. Questo, unito alla fragilità e mediocrità personale del presidente, ne fa un governo debole e instabile.
Il fatto nuovo che ha migliorato notevolmente l’immagine del governo è stata la nomina del sociologo Fernando Henrique Cardoso come “Ministro da fazenda”, cioè ministro dell’economia con ampi poteri. Fernando Henrique Cardoso appartiene al partito socialdemocratico (PSDB), è senatore dello Stato di Sao Paulo, è conosciuto internazionalmente come uno degli intellettuali brasiliani più influenti e rispettati: negli anni settanta le sue analisi socioeconomiche sono state decisive per la formazione della famosa “teoria della dipendenza”. Però dal punto di vista della politica economica, poco è cambiato. Analizziamo brevemente alcuni settori:
– il piano economico di Fernando Henrique Cardoso non contiene grandi misure di impatto, a differenza di quattro piani anteriori che utilizzavano misure drastiche e eterodosse (congelamento di prezzi e salari, blocco dei risparmi bancari…).
Assume la diagnosi “neo-liberale” che l’inflazione è causata principalmente dall’enorme deficit pubblico e che il governo deve spendere solo quello che raccoglie, senza emissione di moneta o di titoli pubblici per coprire il deficit. Per cui: contenimento drastico della spesa, accelerazione del processo di privatizzazione delle imprese statali, combattere evasione fiscale e corruzione.
L’inflazione dovrebbe cadere a medio termine in seguito alla diminuzione dei tassi di interesse che il debito pubblico oggi spinge in alto.
– L’inflazione mensile si aggira attorno al 30%, il che significa circa 1400/1500% all’anno, con la paura che scoppi l'”iperinflazione” (ma sarà che già ci siamo dentro?).
Dobbiamo anche pensare che livelli simili di inflazione esistono ormai da decenni, cioè l’inflazione galoppante è cronica, fa parte del quotidiano dell’economia.
Due osservazioni sull’inflazione:
a) il deficit pubblico è davvero la causa principale dell’inflazione? Perché in Italia, dove il deficit pubblico è ben superiore a quello brasiliano, l’inflazione si mantiene sul 4-5% l’anno?
Le cause dell’inflazione devono essere cercate principalmente nel settore privato, dominato dagli oligopoli economici che impongono i prezzi che vogliono: i grandi complessi industriali, commerciali e finanziari, soprattutto le banche. Si continua a ripetere da decenni che l’inflazione non interessa a nessuno e pregiudica tutti. Falso! Gli unici pregiudicati sono i salariati e le persone che vivono nel mercato “informale”, “marginale”. Ma l’inflazione interessa a molti gruppi forti: altrimenti sarebbe già finita da un pezzo;
b) il deficit pubblico non è causato, come si vuol far credere, dagli stipendi dei funzionari pubblici e dalle spese sociali dello Stato: più del 60% del bilancio pubblico serve per pagare il debito interno ed estero, cioè gli interessi alle banche nazionali e internazionali.
– La politica salariale è attualmente in discussione al Congresso: i deputati e i senatori hanno votato per una scala mobile mensile, il governo accetta che sia mensile ma propone che solo il 40% dell’inflazione sia recuperata dai salari mensilmente, e che la ricomposizione totale dell’inflazione si dia ogni 4 mesi. Si sta cercando un accordo. Di fatto nessuna politica salariale riesce a garantire il salario di fronte ad un’inflazione così alta.
– Bisogna però riconoscere l’urgenza di una riforma dello Stato, non nel senso della sua “distruzione” o dello “Stato minimo” come vuole la teoria neo liberale, ma di un riscatto della sua funzione pubblica.
Dò solo un piccolo esempio: le mie figlie studiano in una scuola pubblica. Cosa rarissima fra le persone di “classe media”, che mettono i figli in scuole private perché la scuola pubblica è stata letteralmente distrutta dal regime militare negli ultimi 20 anni e la grande parte dell’educazione basica è in mano a gruppi economici privati che gestiscono le scuole come se l’educazione fosse una merce, e siccome il sistema statale è fallimentare, possono far pagare tasse mensili altissime. Di fronte a questa situazione un gruppo di genitori si è organizzato in cooperativa e ha firmato un contratto con lo Stato per gestire, assieme ai professori, una scuola: il consiglio della scuola, formato da professori, funzionari, amministrativi, genitori e alunni al di sopra dei 14 anni, si responsabilizza su tutto; dall’amministrazione alla linea pedagogica ecc. Rimane allo Stato il finanziamento e il controllo del rispetto delle norme. Alcuni genitori pagano una quota mensile non obbligatoria per migliorare la infrastruttura e la formazione dei professori.
Iniziative come questa si stanno diffondendo in tutto il Brasile e indicano un cammino possibile e alternativo: con la “autogestione” (o “cogestione”) della cosa pubblica da parte dei beneficiari del servizio pubblico, si riducono gli sprechi, si aumenta l’efficienza e si acquista progressivamente il senso che “pubblico” non significa solo “statale” ma “nostro“, “di tutti noi“.
La situazione politica.
Ci si aspettava, dopo il grande movimento civico per l’impeachement un’onda “moralizzatrice” dei costumi politici, invece sembra che il movimento sia rimasto circoscritto a quell’episodio. Niente di comparabile con l’operazione “mani pulite” italiana che qui è molto commentata negli ambienti politici e citata come esempio di quello che si dovrebbe fare.
Però a tutt’oggi, nessuno dei coinvolti nello scandalo è stato messo in prigione: né Collor, né il suo tesoriere Paulo Cesar Farias, né i suoi complici, e non si parla nemmeno di investigare gli impresari che così generosamente hanno pagato fondi illeciti per la campagna elettorale, o enormi tangenti per ottenere gli appalti pubblici. È difficile fare un calcolo della fortuna che lo schema Collor è riuscito a racimolare in pochi anni, ma le stime sono di centinaia di milioni di dollari. Collor stesso ha ammesso di aver ricevuto per lo meno 100 milioni di dollari per battere il candidato delle sinistre Luis Ignacio Lula Da Silva.
I giornali di questi giorni annunciano che finalmente è stato emesso il mandato di cattura per i principali protagonisti (meno l’ex presidente), i quali però sono sfuggiti alla Polizia federale. In questi giorni è in corso una gigantesca quanto infruttuosa caccia all’uomo.
Bisogna ricordare che questa “tangentopoli” brasiliana è stata costruita da un uomo che ha vinto le elezioni con il discorso della caccia ai “marajììás” e ai corrotti, in nome dell’austerità e di una nuova maniera di fare politica, più onesta, per vendere la cui immagine è stata montata una enorme campagna pubblicitaria televisiva.
Come ha detto il sociologo Betinho dell’Ibase, “la democrazia non è compatibile con la rede Globo”, la principale rete televisiva privata brasiliana, che detiene ancora oggi circa il 70% dell’audienza.
La campagna contro la fame.
Un movimento che sta emergendo sulla scena politica nazionale è quello contro la fame. Sorto da una proposta che il Lula, come presidente del PT, aveva presentato a Itamar subito dopo la sua nomina, è stato accettato dal Presidente che ha indicato come coordinatori della campagna il sociologo Herbet de Souza, direttore dell’Ibase e il Vescovo di Nova Iguaìçu (Rio de Janeiro), Dom Mauro Morelli.
È un movimento che si situa fra la società civile e lo Stato: fanno parte della commissione coordinatrice vari ministri e uomini politici, assieme a entità e personalità della società civile, fra cui le Chiese.
Si sta strutturando in tutti gli Stati, ricevendo e distribuendo donativi in natura e in moneta, e promuovendo una campagna con i mezzi di comunicazione, soprattutto televisione, sulla necessità che tutti facciano qualcosa per mettere fine alla vergogna della fame.
È difficile fare una valutazione di questo movimento che si trova ancora agli inizi; per i suoi critici esso fa parte delle politiche sociali compensatorie che si suole affiancare alle politiche neo-liberali che comportano altissimi costi sociali, cioè è una forma di assistenzialismo senza maggiori conseguenze. Per gli organizzatori, e soprattutto per Betinho – figura molto rispettata per la sua lunga attività in difesa dei diritti umani – si tratta di un movimento che vuole soprattutto scuotere la coscienza nazionale e sensibilizzare contro lo scandalo della fame.
Io penso che sia qui il suo valore più importante: evitare che la barbarie quotidiana in cui siamo immersi si banalizzi, al punto che non fa più sensazione, non suscita più sdegno, indignazione.
Ad ogni modo è già un buon segnale che per la prima volta – ad eccezione dei programmi televisivi dei partiti – le reti televisive stanno trasmettendo un messaggio che va controcorrente.
La situazione della Chiesa cattolica.
La preoccupazione principale di ampi settori della Chiesa sembra essere la crescita delle sette protestanti, soprattutto nord americane, che stanno “portando via” circa 600 mila fedeli all’anno e i cui seguaci si contano oggi a decine di milioni.
Sono sette organizzate come vere imprese, che usano con abilità i mezzi di comunicazione (la più ricca ha comperato una rete televisiva), che fanno una preghiera centrata sulla salvezza personale e sulla cura delle malattie e di tutti i problemi, con rituali fondati sulla ripetizione ossessiva di cantici, di gesti, di lamenti a voce alta diretti dalla prediche monocordi dei pastori.
Sono presenti un po’ dappertutto, ma soprattutto nelle periferie urbane, fra le persone più povere e, utilizzando con rigore la legge del “decimo”, riescono a raccogliere enormi fortune finanziarie e a riempire stadi di calcio.
Non so se per reazione a questi movimenti o per ispirazione dello Spirito Santo (e le due cose non stanno in contraddizione) nella Chiesa cattolica i movimenti in ascensione, che si stanno più diffondendo, sono quelli carismatici, che si manifestano soprattutto attraverso il canto e la gestualità, con un messaggio religioso più diretto alle relazioni personali e meno ad un impegno sociale (che d’altra parte non è escluso).
Il che non vuol dire che la Chiesa abbia lasciato la pastorale delle Comunità Ecclesiali di Base, che è tuttora viva e presente, ma che non costituisce più il movimento in ascensione fino ad alcuni anni fa.
João Pessoa, 7 luglio 1993