Inflazione

di Panebianco Fabrizio

L’inflazione è definita come il fenomeno di aumento persistente del livello generale dei prezzi. Non è possibile osservare e prendere nota di tutti i prezzi in un paese, ragion per cui gli istituti adibiti alle ricerche sui prezzi identificano un paniere di beni rappresentativo dei consumi di una famiglia media, svolgono indagini sui prezzi di questi beni nei luoghi di distribuzione e infine elaborano, mensilmente, l’indice di inflazione. Il paniere di beni usato per calcolare l’inflazione è una scelta arbitraria e vorrebbe essere una buona approssimazione dei beni mediamente consumati da una famiglia. Dal momento che ogni famiglia ha un proprio standard di consumi, l’inflazione registrata è una media dell’inflazione percepita dalla totalità delle famiglie e dunque nessuna di esse percepisce esattamente l’inflazione calcolata.

Per far fronte a questo problema l’Istat ha elaborato una nuova disaggregazione dei dati relativi all’inflazione, la quale permette di distinguere 3 diversi panieri a seconda della frequenza nell’acquisto di beni (alta, media e bassa frequenza). I dati rivelano che, per le tre categorie di prodotti, l’inflazione nel gennaio 2008, calcolata su base annuale, è stata rispettivamente del 4,8%, 1,8% e 1,7%. I beni ad alta frequenza di consumo risultano dunque quelli con più alta crescita dei prezzi. Questi beni (principalmente alimentari) rappresentano una quota di spesa molto alta per le famiglie a basso reddito rispetto a quelle di classe media o medio-alta. Come conseguenza immediata, le famiglie più povere percepiscono un’inflazione maggiore. Più generalmente le famiglie a basso reddito consumano una quota maggiore delle loro entrate rispetto a quanto facciano famiglie più ricche, con la conseguenza che l’inflazione agisce come una tassa regressiva, cioè ha un impatto crescente al diminuire del reddito delle famiglie. Questo impatto, anche se indiretto e non immediatamente osservabile, sta avendo conseguenze importanti sulla distribuzione sempre più ineguale della ricchezza.

Dobbiamo però indagare quali sono le cause dell’inflazione, e possiamo classificarle in 3 gruppi:

– inflazione da domanda: avviene quando si ha un eccesso di domanda rispetto all’offerta. In particolare quando i consumatori richiedono quantità di beni superiori rispetto a quelle prodotte e questo porta i produttori ad aumentare i prezzi;

– inflazione da costo: quando i costi di produzione aumentano e dunque aumentano i prezzi dei beni. Pensiamo a un aumento del costo delle materie prime o un aumento dei salari. Quest’ultimo era il caso della cosiddetta spirale prezzi-salari ai tempi del dibattito sulla scala mobile, ossia dell’indicizzazione costante e immediata dei salari all’inflazione;

– inflazione importata: quando i beni importati aumentano il loro costo.

Sono principalmente due i grandi imputati per l’inflazione odierna: l’aumento del prezzo del petrolio (circa +20% in un anno) e dei beni alimentari (circa +15% in un anno). Per quanto riguarda il petrolio si osserva una combinazione di tensioni internazionali, possibile esaurimento dei giacimenti e dunque maggiori costi di estrazione, speculazione finanziaria, politiche di contenimento della produzione da parte dell’Opec (il cartello dei paesi produttori di petrolio) a fronte di un aumento importante della domanda da parte di paesi come Cina e India che hanno bisogno di energia per sostenere la crescita economica. L’Italia, essendo un paese largamente dipendente dal petrolio, ne risente in misura maggiore.

Ugualmente internazionali sono le ragioni dell’aumento dei prezzi dei beni alimentari: forte incremento della domanda anche a causa di alcuni milioni di cinesi e indiani sempre meno poveri, con una dieta più ricca, sostituzione di coltivazioni per produrre carburante vegetale, uso di crescenti quantità di derrate agricole per mangime per animali. Tutto questo, che da noi pesa sull’inflazione provocando problemi al ceto più povero, sta creando fortissime tensioni e vere e proprie rivolte per il pane con assalti ai forni in paesi come Burkina Faso, Costa D’Avorio o in Camerun dove, solo a febbraio, sono morte 40 persone in queste sommosse. Da notare che esse non avvengono nei paesi la cui domanda di alimentari sta crescendo di pari passo con l’aumento del reddito, e dunque con la capacità di acquisto di tali beni, bensì nei paesi più poveri, che vedono i prezzi crescere senza un aumento parallelo della ricchezza disponibile, o dove la distribuzione della ricchezza aggiuntiva è diseguale.

In un mondo sempre più interdipendente, l’inflazione è in misura sempre maggiore «inflazione importata» con la conseguenza che politiche a livello nazionale di contenimento dei prezzi hanno effetti sempre più residuali e funzionano solo da cerotto, non potendo, da sole, agire sulle cause strutturali.

Ecco dunque che l’inflazione, un fenomeno normale e non peculiare delle economie capitalistiche, se analizzato nelle sue cause contemporanee, ci porta a ragionare sui limiti fisici della crescita economica e sulla regola base della domanda-offerta: in un mondo dalle risorse limitate non è possibile un’abbondanza diffusa senza pagare un prezzo. Nel contesto della crescita economica dell’ultimo secolo si era cominciato a pensare che l’uomo avrebbe potuto far fronte alla scarsità di risorse e superarla, promettendo benessere materiale a tutti, mentre oggi vari segnali ci riportano a pensare all’uomo, all’economia e ai suoi naturali limiti.