Il popolo bambino
È possibile restare per anni in Brasile senza capire nulla di nulla ed è altrettanto possibile visitare questo Paese immenso e dolcissimo, commiserando una povertà che si scorge sempre e solo da lontano e illudendosi di avere capito molto, senza rendersi conto di essere rimasti di fatto nell’atrio di ingresso. Certamente una cosa, una soltanto, si capisce subito: che l’ingiustizia può raggiungere un grado di perversione così sottile da porre a chiunque il dubbio del male che si impone sul bene, nel momento in cui si constata che la vittoria e la sconfitta toccano sempre agli stessi.
Non esiste la mediazione
L’impatto con la società brasiliana rivela e mantiene sempre una sua forza intrinseca. Da una parte i colori, i rumori, gli odori, le immagini e tutto quanto può stimolare le emozioni e la fantasia; da un’altra parte quest’apparente atmosfera di sogno e di poesia si infrange subito contro le legioni di bimbi abbandonati, di lustrascarpe piegàti in due, di venditori ambulanti vocianti, di mendicanti ormai consumati e sudici, di prostitute tristi e senza denti che popolano strade e quartieri. È in questo contesto di incontro e di scontro tra la bellezza sconfinata delle persone e l’orrore della loro povertà che maturano le contraddizioni del Brasile.
In questo paese non esiste la mediazione: c’è il bene o c’è il male, la ricchezza o la povertà, la passione o la disperazione, il piacere più intenso o il dolore più profondo. La storia passata e presente del Brasile è un itinerario di sfruttamento, di miseria e di stravolgimenti umani che ne hanno scosso le fondamenta, lasciando campo libero alla costruzione di una società apparentemente lasciata alla libera iniziativa di tutti, ma di fatto imprigionata da uno sviluppo capitalistico selvaggio e violento che ha consentito alle élites locali e straniere di affermarsi sopra una massa di poveri e di esclusi.
Fino a quando pochissimi ricchi
Oggi l’esclusione sociale è il problema numero uno e tutte le questioni aperte conducono inesorabilmente al nodo cruciale che prima o poi si dovrà sciogliere: la necessità di un’evoluzione strutturale del sistema sociale latino-americano.
Fino a quando pochissimi ricchi saranno detentori di tutto il potere economico, sarà del tutto illusorio pensare di cambiare alcunché in Brasile. L’economia di sussistenza si sta impadronendo di ogni strada o vicolo: si vende di tutto e a qualsiasi prezzo, dalle ciabatte alle collane, dai pezzi di ricambio ai gettoni telefonici, dalle immagini sacre alle finestre di casa.
In questo mercato sfrenato e ininterrotto si diffonde a macchia d’olio una disperazione silenziosa e rassegnata, quella di chi si rende conto (e sono decine di milioni) che non ci sarà mai un futuro per sé e per i propri figli fino a quando la ricchezza non sarà distribuita con equità e giustizia. La crescita esponenziale del tasso di violenza nelle città brasiliane non è determinata da un collettivo colpo di follia di chi le abita, bensì dalla pressione angosciata di chi non sa più come ricreare un’esistenza dignitosa e si affida disperatamente alla lama di un coltello o alla canna di una pistola.
Una società ordinata in gabbie
Questo ha consentito la costruzione di una società ordinata in gabbie. I ricchi hanno le loro gabbie dalle quali non escono mai: palazzi splendenti e fortificati, difesi ovunque da guardiani di ogni specie e provenienza, centri commerciali giganteschi, ricolmi di ogni ben di Dio a prezzi impossibili, spiagge e club privati dove il mondo sembra essersi fermato come in una favola felliniana.
Anche i poveri hanno le loro gabbie dalle quali uscirebbero volentieri se non vi venissero ricacciati ogni volta di più. La favela ha un fascino sepolcrale, dove la vita e la morte si incrociano senza riguardo. La miseria, la fame, la malattia e la morte violenta fanno parte di una quotidianità rituale che si ripete noiosamente.
Uomini e donne sempre stracarichi di valigie
Mi hanno lasciato un’impressione profonda questi viaggi interminabili in autobus nella periferia di San Paolo in compagnia di questi uomini e donne sempre stracarichi di valigie, come se stessero partendo per un lungo viaggio. Andavano invece solo nel centro della città per vendere le loro quattro cianfrusaglie e tornare poi di sera, sfiniti e addormentati a bocca aperta fino al capolinea di Itaim. Ogni giorno sempre la stessa lotta per quattro reais, ogni notte sempre le solite sparatorie per la merce, ogni fine settimana sempre le solite sbronze per dimenticarsi un po’.
Dentro queste contraddizioni c’è tutto il Brasile, un Paese dove il valore della vita è direttamente proporzionale alle condizioni socioeconomiche di chi vive; chi ha molto vale molto, chi non ha nulla scompare in fretta dagli occhi e dal cuore.
La povertà, semplicemente una colpa
I colpi di arma da fuoco che sentono regolarmente ogni notte risuonare nell’aria la dicono lunga sulla ferita ormai aperta e sanguinante di una società dove, per comprendere veramente che cosa sia mai l’esclusione sociale, è sufficiente calcolare come sia possibile sopravvivere (e non vivere) in cinque con mezzo milione di lire al mese, dove non ci sono antibiotici e antipiretici per chi non può pagare, dove la maggioranza dei bimbi arriva a malapena alla quarta elementare, dove la prostituzione infantile ormai è endemica, dove non c’è uno straccio di garanzie sociali che consenta a chiunque di guardare al futuro con la testa un po’ alta.
Tutto questo i poveri lo capiscono molto bene, ma la stratificazione sociale è ormai un meccanismo così perfetto e collaudato da svuotare di significato ogni possibile protesta. Lo squilibrio nella ripartizione delle ricchezze genera dipendenza su ogni cosa e favorisce la convinzione che il lavoro non sia un diritto, ma una concessione benevola dei ricchi, e che la povertà sia semplicemente una colpa.
Esseri umani dolcissimi e teneri
In un contesto simile una società di esseri umani dolcissimi e teneri si trasforma in modo quasi innaturale in un campo di battaglia dove, in mancanza di regole e di tutele, vale solo la legge del più forte, del più abile e del più fortunato. Ecco perché, secondo me, l’esplosione sociale tanto temuta dai potenti è già in atto.
Ma nonostante tutto noi non saremo mai nella condizione di capire perché questo popolo inginocchiato e umiliato da uno sfruttamento plurisecolare non assuma l’iniziativa di rovesciare le parti, assumendosi la responsabilità del proprio destino. A molti interessa mantenerlo in una condizione infantile, così da poterlo controllare meglio. Però, come tutti i bambini, l’esplosione delle contraddizioni e dei drammi più profondi può costituire anche una ricchezza.
Questo è un popolo che sa trovare momenti di umanità intensissima, di gioia irrefrenabile e di trasparenza interiore e tutto ciò può costituire alla lunga un’arma vincente contro ogni apparente logica di potere.
Un popolo giovane
È un popolo giovane che ha tutta la vita davanti, potendo fare leva soprattutto sulla sua vivacità culturale e sulle sue potenzialità creative. Dentro l’orrore della miseria e dello sfruttamento c’è già un seme di liberazione di quest’infanzia difficile vissuta senza madri e senza padri.
Ecco perché il Brasile è come i suoi bambini, quotidianamente violentati nel corpo e nello spirito, ma pur sempre bambini, con la loro voglia di giocare e di passare oltre ogni conflitto e ogni rabbia. Resta il dubbio sulla reale possibilità di cambiamenti sociali a breve termine, considerata l’assoluta marginalità economica e politica di questo Paese, di fatto colonizzato dagli Stati Uniti e dall’Europa.
La sfida è aperta e lo sarà ancora di più quando la moltitudine dei poveri e degli esclusi prenderà coscienza del proprio valore e del proprio ruolo. Queste sono le vere rivoluzioni che ci attendono.