Il mistero della morte innocente

di Cardini Egidio

La terra dei bambini crocifissi
Marino Benzi, uno scrittore romagnolo residente in Francia, ha scritto un romanzo ispirato ad un evento storico: il sacrificio rituale del Bimbo di Tzacalemel, che i Maya del Chiapas hanno crocifisso nel 1869 per avere un salvatore del loro popolo. La crocifissione di un bambino in età contemporanea, singolarmente paragonabile a quella di Gesù Cristo, porta con sé certamente una quantità elevata di efferatezza e di follia, ma è anche, a dispetto di ciò che si potrà credere, una follia quotidiana e ripetuta oggi più di ieri. La prima cosa da non fare La condizione dell’infanzia oggi in America Latina ha ormai assunto i connotati della tragedia. Nonostante ciò mi sono reso conto che la prima cosa da non fare in modo assoluto è piangere su questa disgrazia di proporzioni immani, sprofondando in una commiserazione falsa e ipocrita, in fondo fin troppo agevole e a basso prezzo. Al contrario, osservare questi bambini aggirarsi per le strade, mendicare con lo sguardo basso, dormire stravolti sui gradini delle chiese e agli angoli delle strade, sapere che la loro innocenza viene sistematicamente violata e disintegrata da forme sconcertanti di prostituzione, incontrarli ovunque mentre vendono fazzoletti, caramelle e noccioline, saperli con la mente cotta dopo avere sniffato un po’ di colla per dimenticare fame e fatica, vederli demoliti giorno per giorno nella loro dignità, suonando alle porte di casa o chiedendo semplicemente ­ «Oi, tio, me dá um troco?» ­ «Ciao, zio, mi dai un soldo?» ­, tutto questo è un esercizio di equilibrio interiore per ritrovare la lucidità necessaria così da poter capire come mai, alle soglie del XXI secolo, si crocifiggano ancora i bambini in questo modo.

La negazione dell’infanzia
E secondo me, al di là di qualsiasi analisi sociale, una spiegazione c’è ed è assolutamente razionale e spietata: usare i bambini è facile, perché non sanno e non possono difendersi, così come buttarli via o dimenticarsene è semplicissimo, è sufficiente farlo. In un contesto di miseria devastante, nessuno potrà mai dire come mai tutto questo accada; un bimbo in più è una bocca in più, uno in meno è un problema già risolto. Dentro questo rovesciamento spaventoso di valori umani si spiega il mistero della morte innocente, la quale diventa una realtà visibile, chiarissima, tremendamente storica. Non è possibile ignorare la negazione dell’infanzia in Brasile e negli altri Paesi del continente latino­americano. Molti minori non giungono nemmeno alla fine della scuola di primo grado (le elementari), moltissimi muoiono prematuramente di morbillo, di meningite, di disturbi gastrointestinali o semplicemente di denutrizione. Ma è soprattutto il contesto di violenza nel quale i bimbi crescono a fare paura: botte dalla più tenera età, alcoolismo dei genitori, lavoro schiavo dopo i dieci anni, fame, carenze igienico­sanitarie e alla fine l’esperienza esplosiva dell’abbandono e quindi della delinquenza per i ragazzi e della prostituzione per le ragazze.

I bambini si muovono sempre in branco
Se il cibo e i libri fossero così diffusi tra i minori così come lo sono le armi, non ci sarebbero più né povertà né ignoranza in Brasile. Spesso l’arma, anche solo un coltello, è la compagna più rassicurante per un minore abbandonato; la si usa per attaccare e per difendersi e non lo si fa mai da soli.
È troppo pericoloso.
Al contrario, i bambini si muovono sempre in branco, come gli animali della savana, attaccano insieme, si difendono insieme, giocano insieme, mangiano insieme, dormono insieme, proprio per proteggersi dagli assalti delle bande rivali e dagli squadroni di giustizieri neanche troppo clandestini della polizia militare. I poliziotti sono il terrore dei bambini: rapiscono, picchiano, torturano, stuprano e alla fine uccidono i meninos de rua, i bambini della strada, nel nome di un’ideologia allucinata che teorizza una società ripulita da tutto, dai poveri, dai deboli, dai disperati, secondo un malinteso senso del­ l’ordine.

Sarebbero diventati delinquenti
Tutta la città di Rio ricorda con angoscia la notte in cui alcuni poliziotti in abiti borghesi hanno assassinato a sangue freddo otto bambini davanti alla chiesa della Candelária. «Sarebbero diventati delinquenti», dicevano in molti dopo la strage. I colpevoli, dopo l’arresto, non si sono pentiti e sono vicini alla liberazione, mentre i bambini, e tra loro magari anche qualche sopravvissuto, sono sempre là, nello stesso punto, addormentati come piccoli animali sotto i cartoni. Li ho visti più volte, ma non mi sono mai fermato; confesso di avere provato paura per la loro povertà e forse anche per la loro rabbia inespressa. Mentre tutti piangono per loro, nessuno li difende.

Un recinto di maiali
Ecco perché ho assunto con me stesso l’impegno di non piangere. Così come non è possibile piangere quando si sa che turisti tedeschi e italiani apparentemente rispettabili, e forse anche con moglie e figli, comprano e usano bimbe di dodici anni per quindici dollari al giorno. La città di Recife ne è piena e si va trasformando velocemente in un recinto di maiali.
Ogni venerdì arriva un aereo Lufthansa da Francoforte; ne scarica trecento e ne carica altrettanti. Per la gente è «o avião da sexta­feira», l’aereo del venerdì, e, per molte famiglie di favelados, questi individui voraci come coccodrilli sono come la manna caduta dal cielo, perché con i loro soldi si potrà mangiare qualcosa di più e comperare qualche vestito o paio di ciabatte.
A Rio l’alba è il momento del cambio della guardia; dai quartieri prossimi al mare, eleganti e turistici, le ragazzine risalgono verso le loro case miserande, nelle favelas aggrappate sui morros, le colline dalle forme più strane, dopo una notte di lavoro negli alberghi, nei viali e negli inferninhos, gli squallidi locali notturni della città, mentre dalle stesse case discendono genitori e fratelli per vendere o semplicemente per rubacchiare qualcosa. La notte è delle ragazze, il giorno è dei ragazzi.

Un angelo a San Paolo
Ma non è soltanto la mancanza delle possibilità economiche la prima nemica della dignità dei minori. Lo è anche la malattia, specie se incurabile o temuta. A San Paolo ho incontrato un angelo, il vero angelo custode dei bambini, che risponde al nome di Jìúlio Lancellotti. Sacerdote cattolico delegato dall’arcivescovo Arns per i problemi del popolo della strada, Jìúlio è papà di ventotto bimbi aidetici, cioè sieropositivi o malati di AIDS e per questo abbandonati da chiunque. Li ha accolti in due comunità e spende lì tutta la sua paternità mancata. Ogni volta che un bimbo sta male, Jìúlio sta male con lui, ogni volta che un bimbo sta meglio, anche Jìúlio sta meglio. I bambini, dal canto loro, manifestano tutta la loro dolcissima incoscienza: «Qui eravamo in dieci, poi Fabiana è morta e siamo rimasti in nove». E quando Manuel sta male, nessuno fa una piega, nemmeno lui, che esce silenziosamente dai giochi, vomita e poi torna, accolto di nuovo nello stesso punto, come se non fosse successo nulla.

Un muro alto sei metri
Ai più le case di Jìúlio possono sem­brare i bracci della morte, perché molti sono destinati a ritornare alla casa del Padre da lì a qualche anno, mentre chi si negativizzerà sarà destinato all’adozione internazionale e sarà libero, come un condannato a morte miracolosamente graziato.
I vicini di casa invece non hanno conosciuto la grazia né la misericordia; hanno costruito un muro alto sei, (dicasi sei metri) e lo hanno sormontato pure con una recinzione. Forse avranno temuto l’altissima pericolosità per la salute pubblica di una bimba di tre mesi o di una bimba che, a sei anni, pesa otto chili e non si regge in piedi perché nessuno si è più occu­pato di lei.

Una società schizofrenica
Non ho mai avuto l’abitudine di prendere in braccio i bimbi, ma, una volta travolto e sotterrato dall’abbraccio di bambini pronti ad avvinghiarsi sul primo estraneo, ho capito che cosa significa non avere una madre, né un padre e che cosa vuol dire non contare nulla agli occhi degli uomini e ho pensato che una società che violenta quotidianamente i bimbi nel corpo e nello spirito è una società che in verità qualche problema lo ha, anzi ne ha molti. È una società schizofrenica, che protegge con la polizia l’infanzia ricca in collegi maestosi e scintillanti, educandola a volgere lo sguardo dall’altra parte quando passa un favelado e poi tollera l’intolleranza verso i più piccoli e spegne gradualmente il diritto alla vita dei più deboli.

Le colline brasiliane
L’immagine della crocifissione di un bambino non è un espediente studiato per colpire l’attenzione e la sensibilità di chi legge e l’ultima crocifissione non è quella del Bimbo di Tzacalemel. Oggi si crocifigge ancora e lo si fa sempre di più, ma c’è una differenza tra Gesù Cristo, giusto e innocente, e questi bimbi. I bimbi non sono responsabili nemmeno di se stessi; fare loro del male è il peggiore insulto alla creazione di Dio. Se qualcuno avrà la fortuna di atterrare in qualche aeroporto del Brasile, osservi con attenzione le colline circostanti. Ognuna di esse è un Gòlgota.