I mercati delle monete
Nel precedente numero di Madrugada abbiamo parlato di Protezionismo e
delle nuove modalità organizzative del commercio internazionale.
Veniva rimandato al presente numero l’analisi di come i Paesi in Via di
Sviluppo (PVS) si stiano attrezzando per essere nel mercato in modo
significativo.
Nel frattempo lo scenario economico internazionale ha subito uno scossone
profondo. Si è verificato un fenomeno che è stato battezzato
“tempesta valutaria”.
Riservandoci di ritornare quanto prima sull’argomento “commercio
internazionale”, riteniamo preferibile affrontare nel presente
numero l’argomento che sta caratterizzando in modo profondo le
vicende economiche interne ed internazionali.
SORPRESI DALLA TEMPESTA
I mercati delle monete, pur con alcune proprie specificità, funzionano
come un qualsiasi altro mercato. La moneta, oltre ad avere proprie
funzioni peculiari (mezzo di pagamento, valore numerario, riserva di
valore…) è una merce, alla stregua di tutte le altre merci.
In quanto tale, ha un prezzo. Tale prezzo si chiama tasso
di cambio
quando viene espresso in termini di un’altra moneta (1 dollaro USA
costa 1100-1200 lire).
Si chiama invece tasso di interesse il prezzo a cui la moneta viene offerta o domandata sui mercati dei
capitali.
Così,
comunemente si dice che richiedere moneta (indebitarsi) costa un
tanto per cento: mentre offrire moneta (investire in titoli, od
effettuare un deposito in banca) rende un altro tasso percentuale.
Il
valore di una moneta viene determinato da un insieme di innumerevoli
fattori (l’andamento dell’economia nazionale, la quantità di moneta
in circolazione, la speculazione, le politiche economico-monetarie,
le aspettative degli operatori economici…) ed è sintetizzato nei
due indicatori sopra richiamati (tasso di cambio e tasso di
interesse).
E’
successo (succede) che i mercati delle monete fossero regolamentati
da tassi di cambio fissi, non modificabili se non previo accordo tra
i diversi stati. Ed è pure successo che i cambi siano stati liberi
di fluttuare senza alcuna rigidità. Esiste anche una via di mezzo:
tassi di cambio che oscillano, ma entro i limiti stabiliti. E’ il
caso dello SME (sistema monetario europeo).
Che
cosa sta succedendo in questo periodo? Si è verificato che il marco
tedesco ha palesemente messo in mostra i propri poderosi muscoli,
segnali innanzitutto di una economia (quella tedesca) non di certo
completamente libera da problemi, ma sicuramente dotata di una
(fondamentalmente) sana e robusta costituzione fisica.
Conseguentemente
il marco ha potuto mettere in bella evidenza (qualora ce ne fosse
stato bisogno) quale sia l’economia ( e di conseguenza la moneta)
dominante in Europa.
LA
CRISI DEI GIGANTI
Ciò,
in un contesto internazionale in cui il Giappone incomincia ad avere
qualche problema, e gli Stati Uniti (altro punto di riferimento)
esprimono al momento attuale (per motivi legati alle ormai prossime
elezioni presidenziali, ma anche per altre ragioni) un dollaro
debole.
Di
fronte all’onnipotenza della moneta tedesca, per un certo periodo le
Banche Centrali hanno tentato di far fronte facendo ricorso
all’immissione nel mercato di parte delle proprie riserve.
Quando
si è constatato che tale manovra non era più praticabile, dapprima
si è ricorsi alla svalutazione della lira con contestuale
rivalutazione delle altre monete dello SME (sono stati spostati verso
l’alto i margini di possibile oscillazione) e poi, visto che neanche
questo era sufficiente, si è passati all’esclusione transitoria
della lira e della sterlina dal meccanismo di funzionamento dello
SME.
Da
quanto sta accadendo, possiamo dedurre alcune riflessioni.
PER
UN’EUROPA DEI POPOLI
Se
ci si limita a considerare l’Europa un semplice insieme di economie,
qualsiasi progetto di unificazione è destinato a fallire se non
guidato con coraggio e coerenza, perché troppo notevoli sono le
differenze in termini di performance tra le economie forti e quelle
deboli.
Bisogna
veramente puntare ad un’unione dell’Europa dei popoli, che è cosa
diversa rispetto al semplice abbattimento al semplice abbattimento
delle frontiere.
Per
quanto concerne l’Italia, una volta di più, ma in questa occasione
in toni più drammatici, si è resa manifesta la necessità di un
governo che indirizzi l’economia verso il risanamento, con scelte
coraggiose, ma non più differibili (recupero dell’evasione fiscale,
stop allo spreco di pubbliche risorse, progettazione di accorte
politiche industriali, maggiore equità del sistema fiscale…).
COME
IN UNA SPIRALE
Una
riflessione va fatta anche per quanto riguarda le conseguenze della
tempesta valutaria sulle economie dei PVS. Il notevole incremento dei
tassi di interesse, graverà pesantemente sulla situazione debitoria
che come è noto affligge tali paesi. C’è inoltre il pericolo che si
avvii una pericolosa spirale: tassi di interesse più elevati,
pericolo di recessione, diminuzione del reddito complessivamente
disponibile. Se ciò si verificasse, è ormai provato che nei
momenti di crisi, a farne le spese sono innanzitutto i paesi già di
per sé in difficoltà.
Ma
penso sia necessaria una riflessione che accomuna e che va oltre le
tre precedenti. Il sistema economico internazionale ha
intrinsecamente bisogno di un maggior sistema di cooperazione a
livello inter-statuale.
Non
solo a livello nord-sud, ma anche a livello nord-nord e sud-sud. E
questo non tanto per un sentimento di pietà o commiserazione. Ma
per un motivo freddamente razionale. O ci sarà maggiore
coordinamento nelle politiche di ciascuno stato. O il sistema si
scioglierà come neve al sole. Per andare verso dove nessuno è in
grado di prevedere.
Un
maggior coordinamento nelle politiche economico-monetarie anche solo
a livello delle sette grandi potenze, avrebbe potuto evitare la
tempesta che si è verificata. Peraltro da tempo annunciata (anche
se non nella specificità) da più di qualche analista.
La
responsabilità nella solidarietà, si pone come chiave, ancor prima
di essere scelta etica, in grado di riordinare il “non sistema
economico internazionale”.