Guardate i frutti del fico
La scena nella mia mente è piuttosto nitida: una domenica pomeriggio, nel giardino che circonda un’antica pieve toscana, sotto un albero, un sacerdote, due giovani genitori con un bimbetto in braccio, qualche invitato ad assistere e testimoniare l’evento. Ovvero, un battesimo. Un po’ informale, come da qualche anno sono le liturgie in quella pieve.
Il sacerdote parla ai genitori e spiega, più o meno così: «Nel crescere questo bimbo pensate ai fichi: più passa il tempo e più diventano dolci e morbidi. Non permettete che vostro figlio si indurisca o si inasprisca, ma fate in modo che diventi, col tempo, sempre più dolce e più tenero»… e poi: «Nel crescere questo bimbo, non esitate a togliere. Questo mondo vi esorterà a dare, dare, dare, e così lui perderà il senso del vero valore delle cose. Voi, invece, non abbiate paura di togliere, in modo che impari che cosa è essenziale, che cosa ha valore vero, che cosa è portatore di senso per la vita».
Corpi contratti, respiri affannati
Un linguaggio semplice e diretto. Queste parole resteranno nei loro cuori, è il mio primo pensiero. Questi due ragazzi, semplici all’apparenza, prenderanno le parole del loro amico sacerdote come un insegnamento da non dimenticare e ricorderanno questo momento del battesimo del loro figlio non come una cerimonia formale, fatta per espletare qualche pratica dettata da doveri sociali, ma come un evento solenne, che ha dato un indirizzo alla vita del loro bambino. Un evento in cui sul loro figlio sono scesi la forza del sacramento e quella della parola. Assegnando loro il compito di corrispondere a una parola-guida e di renderla realtà. «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10).
Nella mia attività di insegnante di yoga non sto molto a contatto con i bambini. Ma vedo tanti adulti. Cerco di amorevolmente osservarli e di amorevolmente guidarli. Vedo corpi contratti e induriti, vedo espressioni del volto inasprite e sofferenti, vedo respiri corti e affannati. Raramente vedo dei fichi dolci e teneri; raramente delle persone che hanno scoperto il Centro, l’Essenziale, il Necessario per la vita. Ogni volta mi rendo conto che devono impostare tutto un lavoro di rieducazione. Un duro e faticoso scavo, che li porti a smantellare condizionamenti e sovrapposizioni loro imposti, e a recuperare un sé più vero e più libero.
E allora è spesso inevitabile che ioàmi chieda: ma se certe cose fossero state loro insegnate da bambini? Non necessariamente delle vere e proprie pratiche di yoga, ma almeno un semplice lavoro di consapevolezza di sé, del proprio corpo, del proprio respiro, delle proprie emozioni, dei propri pensieri.
Un’educazione a «sentirsi», a «percepirsi» nella realtà di ciò che si è, nella verità di ciò che accade, e non nel «come dovrebbe essere», nel «come si vorrebbe che sia». Senza imporre da subito ruoli, identità, compiti…
Sentire e sentirsi
Ogni volta che su di una persona pesa un «come dovrebbe essere», si inserisce una rigidità, una contrattura spontanea del corpo e dell’anima, funzionale a renderla capace di corrispondere a quella legge. Se sento ripetermi di «dover stare con la schiena dritta», la mia schiena non farà altro che irrigidire una parte della sua muscolatura ogni volta che ricorderà, o gli verrà ricordato, quest’ordine. E l’attenzione sarà sempre sul risultato, mai sul processo. Per cui imparerò a credermi «in regola» con la schiena dritta, senza accorgermi dello sforzo che sono costretta a inserire per raggiungere questo risultato. E il risultato sarà falso, inautentico e, a lungo andare, dannoso.
Se, invece, imparerò a sentire la mia schiena, a percepirne i punti deboli, la struttura, il modo in cui è articolata – non tramite un libro di anatomia, ma attraverso la percezione della realtà del mio corpo – la consapevolezza mi insegnerà, a poco a poco, a sentirmi meglio con una schiena armoniosamente in asse, e a educarmi gradualmente alla posizione corretta, per conseguirla in maniera stabile e naturale: non in virtù di un irrigidimento forzato, ma in virtù di un’autentica trasformazione. E sempre più, da dentro di me, cercherò quella sensazione di benessere che mi deriva da una buona posizione. Corretta non in obbedienza a una legge esterna, ma in sintonia con la legge naturale della mia struttura psicofisica.
E lo stesso sarà per ogni altra indicazione che mi verrà data. Se cercherò di corrispondere a un’immagine vincente, in qualsiasi campo, sarò costretta a recitare un ruolo a prezzo di un irrigidimento di qualche parte di me, che si sforzerà di contribuire a comporre un’identità il più perfettamente combaciante con l’idea che me ne sono fatta. E, ruolo su ruolo, immagine su immagine, finirò per «recitare» un’identità, sovrapponendola al mio sentire, che perderà sempre più di valore e di intensità.
E così imparerò a non saper discernere ciò che veramente sono e desidero. E di conseguenza a non osare per i miei desideri. Accontentandomi di ciò che gli altri, i genitori, la società, gli amici mi diranno che sono e che voglio. E, non osando, finirò per replicare i desideri che mi sembrano essere «comuni e leciti».
Da bambina non saprò se davvero mi piacciono le Winx, ma vedendole su ogni gadget per bambini imparerò a desiderarle. Da adolescente imparerò, senza farmi troppe domande, a prediligere pantaloni calati in vita, che mostrino l’elastico di mutandine rigorosamente firmate Calvin Klein. Da adulta, me ne starò per ore, in una domenica d’estate, incolonnata su una strada di mare…
Da replicanti a creativi
I nostri bambini vengono troppo educati a seguire leggi esterne. A corrispondere a dettami e regole che il più delle volte non trovano reale sintonia con il loro essere. Non sanno più distinguere tra le voci che sentono dentro e quelle che parlano loro dall’esterno. Non possono saperlo. E il più delle volte non lo sanno neanche gli adulti che li esortano a questo. Anche loro invischiati, a loro volta, nella stessa inautenticità. Che, certo, li preserva dalla fatica del dover cercare, per l’«originalità» propria e dei propri figli, accettazione, accoglienza, apprezzamento. Ma al prezzo di vedere sé e i propri figli privati di due elementi che sono fondamentali per lo sbocciare di un essere umano: verità e creatività.
A una vita creativa e autentica bisognerebbe educare questi bambini, non a una vita da «replicanti».
Si pensa di risparmiare loro dei «problemi di inserimento» se li si manda tutti a imparare a parlare fluentemente l’inglese e a usare internet; se si fanno fare loro scuole che aprano loro le porte di un lavoro sicuro e riconosciuto; se li si esorta ad acquisire delle abilità pratiche, che permettano loro di sapersela sempre cavare nella vita quotidiana; se si fanno fare loro tanti viaggi, e più lontano possibile, perché si aprano gli orizzonti della loro mente. Le regole sembrano essere le stesse per tutti, con piccole variazioni, che ci illudono di tener conto delle personalità particolari di ciascuno: imparino a essere produttivi; imparino a sostenere i ritmi che la società impone; imparino a non fermarsi; e a primeggiare, in modo da incontrare meno problemi possibile nella vita, visto che, si sa, i «primi» si trovano al di là dell’orizzonte delle difficoltà degli «ultimi». Li si vuole «come» tutti gli altri, ma possibilmente «migliori» di tutti gli altri, «davanti a» tutti gli altri. Legge disumana e disumanizzante. Che insegna il disprezzo del proprio reale sentire e del sentire altrui. Che crea degli esseri mediocri e cinici. Adatti, certo, per il mondo in cui viviamo. Ma non per un mondo che possa dirsi umano.
E allora facciamo un passo indietro: guardiamo i fichi. Guardiamo una qualche legge della natura e cerchiamo di recuperarla. Qualche legge che ancora non sia stata manomessa, manipolata dall’uomo. Qualche legge che ancora porti traccia del suo discendere direttamente dal divino. Il solo terreno in cui possiamo reimparare leggi dimenticate, capaci di rompere gli equilibri di questo mondo in corsa.
Prima di insegnare ai nostri bambini a parlare tante lingue, portiamoli ad ascoltare un fiume che scorre. Esercitiamoli a ritrovarsi in silenzio, al cospetto del movimento vitale di quell’acqua.
Prima di iscriverli a un corso di tennis, facciamoli sorprendere di fronte al miracolo di un braccio che si muove lentamente, provocando il dilatarsi di una parte della gabbia toracica e di un polmone.
Prima di metterli a dormire, facciamo sentire loro il respiro che entra ed esce, e lentamente muove la pancia, e ogni tanto si ferma, a polmoni vuoti e a polmoni pieni, in modo che imparino che anche il movimento ha delle pause, delle sospensioni, che la vita non è solo una corsa accelerata in funzione di un accumulo, ma che è anche svuotamento e riposo.