Fraternità è essere fratelli

di Cavallini Stefano

Punto e basta

Abituato a correre e a leggere correndo, provo una certa fatica a fermarmi per scrivere di come possa scoprirsi nella storia personale e nell’impegno di amministratore pubblico una vocazione alla fraternità. Richiede una dote di analisi che non mi si confà.

C’è un modo di affrontare il proprio tempo che si addice a un giornalista, che osserva in modo orizzontale gli avvenimenti e li descrive; il suo approccio è aderente ai fatti, li sorvola perché gli interessa coglierne i legami e le manifestazioni. All’opposto si pone chi si ferma sul fatto, e non si sposta finché non ne ha visitato ogni piega, la sua è una ricerca verticale, profonda e pignola.

Il tempo, per una ricerca in profondità, è un privilegio che la politica pare non possa concedersi perché è giudicata dai suoi atti, quelli che cambiano e quelli che conservano. Dentro gli atti si legge lo spirito e la vocazione. Non occorrono complicati sistemi per misurare fraternità. Sta in piccole cose di cui sovente non si coglie la gloria. Non si impone, è restia, timida e modesta come una suora, non si presta a paramenti luminosi e divise.

Forse per questo è emarginata, scompare di fronte alla spudorata magnificenza di uguaglianza, alla speranzosa baldanza di libertà. L’umana fatica di camminare da Perugia ad Assisi confrontata all’imbarazzante bellezza della basilica. A dire il vero non so esattamente cosa significhi per un credente riconoscersiànel Padre comune, nella Sua generosità e trovare in questo ragioni e allo stesso tempo la radice della condivisione; mi sembra incredibile e vano, sia detto con tutto il rispetto che è dovuto a un’esperienza di vita e di fede che per molti è esaltante sino al sacrificio di sé, e la confondo con la lucida, irrefrenabile e messianica pazzia di uomini come Gino Strada, la cui scelta estrema, che non ammette repliche, appare una religione senza religione.

Radici della fraternità

«Sì, io sono un ateo. Non ho una fede positiva, penso però che la storia umana sia stata assolutamente investita e illuminata dalla convinzione dell’esistenza del divino e tutti noi facciamo i conti con questa eredità» (Adriano Sofri, Il miscredente, Ed. Piemme).

Questa viene definita l’inquietudine della coerenza.

Il garbo e la profonda capacità di analisi di Adriano Sofri, che amo profondamente, mi riportano alla mente un’altra lettura. Era un momento di dolore che il tempo e la vita non avevano ancora sopito: «Il lavoro di Maria era fare da filtro tra mondi diversi, tra culture altre, senza esaltazioni e senza recriminazioni, senza farne un proposito fisso, solo cercando di fare ascoltare la propria interiorità e costruire rapporti veri» (G. Farinelli, Attraversare il deserto, Città Aperta Edizioni, MacondoLibri).

Forse qui è il mistero. C’è un solo sud e un solo nord nel mondo o in ognuno di noi; ogni decisione, ogni atto, anche il più piccolo, deve fare i conti con questo.

In mezzo hai un bel deserto, di quelli tosti.

Se hai il privilegio di poter scegliere o ti è concesso scegliere, lo devi fare: o ci stai o non ci stai. La neutralità nonàesiste; o sei in Brasile o sei a Washington.

Ricordo un vecchio aforisma che diceva: «Se due si picchiano e uno dei due ha il bastone, se non intervieni stai con lui». Forse un po’ manicheo, di quel manicheismo che nel III secolo d.c. divideva in due il mondo ed era considerato eresia, e ancora oggi mantiene una valenza negativa, ma contiene in sé la centralità della scelta e la forza dell’autodeterminazione.

Nell’interiorità di Maria c’era la scelta forte, risoluta e sofferente, il «costo empatico», si sarebbe detto un tempo di «fare filtro», e bene rende la sensazione della scelta vera, fatta di carne e sangue.

Un amministratore locale di fronte alla perentoria grandezza di chi «è in missione per conto di Dio» come i John Belushi e Dan Aykroyd, ineffabili Blues Brothers, rischia di avere gravi problemi di identità e di senso della proporzione. Però ti consola il fatto che tante piccole cose ne fanno una più grande; provi a ragionare in grande ma ti misuri nel piccolo.

L’importante è non prendersi troppo sul serio: non farsi domande troppo impegnative, perché non sopporteresti le risposte.

Il fratello te lo trovi in casa, un bel giorno, non ti chiedi da dove viene, non sai da dove viene, in fondo non ti importa.

Ma succede anche che tu lo trovi in giro, per strade o per riunioni, non ti frega dove era un attimo prima perché succede che vai dalla stessa parte ed è una bella notizia.

Fratelli è un buon approdo, non ha bisogno di tante spiegazioni, come il corpo e il sangue, trasfigurati.

Stefano Cavallini,
Assessore al Comune di Ferrara