Ethos e tecne. Le conseguenze della bassa marea

di Stoppiglia Giuseppe

“Credo nel sole, anche quando non splende,
credo nell’amore, anche quando non lo sento,
credo in Dio, anche quando tace”.
[Ebreo anonimo]

“Se la realtà moderna è di volgare successo,
e gli eroi pubblici sono quelli dello sport,
dello spettacolo e della TV, nobile e autentico
eroe è colui che a questo si rifiuta”.
[G. Barbieri Squarotti]



Solitudine e dolore
Il giovane camminava con circospezione davanti a me: e dal modo con cui tastava il terreno col bastone capii che era cieco. Solo. Entrò in chiesa precedendomi e sedette composto e assorto.
Non c’era nessuno, solo il duo di flauto e organo che provava un pezzo, bellissimo, di non so quale autore.
Dopo qualche minuto il giovane cieco si passò ripetutamente il fazzoletto sul volto. Ascoltava la musica e piangeva. Solo. Nel buio senza fine.
Avrei voluto almeno abbracciarlo un istante in silenzio, ma non osai avvicinarmi. Sentì egli forse, nell’acuita percettività dei non vedenti, la corrente del mio pensiero e del mio sguardo? Soavemente volse il capo verso di me e sulla stessa lunghezza d’onda, con dolorosa dolcezza, rispose.
Fuori i lillà sbocciavano a grappoli fitti nei giardini di Ferrara, gli studenti leggevano sulle panchine, i turisti cercavano il fantasma della poesia e della follia nel castello estense, sul canale scivolavano le barche, sulla piazza del mercato suonava una piccola banda musicale, i visitatori più dotti rievocavano i fasti universitari dei nomi grandi: Ariosto, Bassani, Antonioni…
Il sole dardeggiante nel cielo crudelmente azzurro fece mio il pianto del cieco: e nella carezza lieve del vento mi avvolse quel suo quasi impercettibile sorriso.

Pudore e consumo
La donna sull’autobus accompagnava due bambini, bellissimi, all’uscita dalla scuola.
Giovane, bruna, subito mi sorrise e cominciò a parlare. Non indossava il chador dei fondamentalisti, ma l’appartenenza all’Islam si rivelava nel lungo abito scuro che cancellava le forme del corpo e nel velo bianco posato su capelli, che lasciava scoperto il viso senza trucco, di un austero ma luminoso pallore.
Veniva da non ricordo più quale paese lontano. Il marito, italiano, aveva lavorato là alcuni anni e così si erano conosciuti e poi trasferiti in Italia con i figli piccoli.
Problemi per la differenza di religione? No, piuttosto per la mentalità, i costumi sociali, la maniera di guardare le donne. “Questa moda occidentale dei paesi sviluppati e cristiani – mi diceva – offende il corpo femminile oltre ogni pudore; esibito come quello delle prostitute, è una cosa penosa, degradata ad oggetto di pubblico consumo, deresponsabilizza l’altro sesso…”.

La perdita dell’ethos
La violenza, la criminalità, le droghe, il sesso sfrenato non sono i veri problemi, ma i segnali di un male più radicale e profondo: la perdita dell’ethos che sta alla base del consenso morale della società, conseguenza della rottura del patto sociale da parte delle nuove élites della società occidentale.
Per questo il problema non si risolve con più polizia, più leggi repressive, più carceri. In alcuni paesi la repressione ha generato maggiore violenza e disordine sociale, contribuendo a una distruzione ulteriore dell’ethos che sta alla base della società. Il reverendo Al Sharpton di Brooklyn riferisce infatti che “da quando R. Giuliani è sindaco di New York, la tensione razziale è aumentata e il clima generale si è fatto più ostile”.
Per la stessa ragione l’insegnamento morale delle chiese, degli educatori o delle autorità sociali si rivela inefficace. I discorsi moralisti non hanno alcun effetto, proprio perché non raggiungono il livello in cui si situa il problema.
Le nuove élites concentrano il potere e privano la democrazia di contenuto, dal momento che i governi sono obbligati ad applicare la politica dettata dagli organismi che rappresentano gli interessi della nuova classe: il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e le istituzioni che in ogni nazione rappresentano gli interessi della speculazione finanziaria.

Una élite egemone anonima
Le decisioni non vengono più prese dagli organi eletti dalla nazione, ma nei corridoi di questi organismi internazionali ed i rappresentanti eletti devono sottostare di fronte a presunte necessità economiche. La nuova classe ha imposto la priorità assoluta del fattore economico e di un unico sistema economico, che favorisce la sua ascesa sociale.
A differenza delle vecchie borghesie e aristocrazie, la nuova élite non si sente solidale con la comunità, non accetta i legami e le restrizioni che la solidarietà impone.
La rottura del patto sociale produce una società divisa, duale, dove non esiste contatto con la parte superiore e quella inferiore. Prima l’operaio poteva conoscere il padrone, la lotta era una forma di associazione, una forma di unione sociale. Oggi neppure la lotta di classe è possibile, perché il mondo “inferiore” non sa chi comanda, non sa come funziona la società, non capisce la società stessa nella quale è presente fisicamente, ma non integrato mentalmente. Ci sono due mondi che non si conoscono, né comunicano, salvo che per mezzo della televisione. Ma la TV non stabilisce una comunicazione personale tra ricchi e poveri, non è cioè uno strumento d’incontro.
La divisione della società in due mondi separati, che si allontanano sempre più, provoca appunto una crisi radicale dell’ethos nel mondo occidentale.

Famiglia e scuola
svuotate dall’economico

Nei primi duecento anni della società industriale, i valori tradizionali erano conservati nella vita privata, grazie alla famiglia. All’interno di questa era soprattutto la donna che tramandava l’eredità morale. Negli ultimi decenni i valori dell’economia sono penetrati nella vita privata e la condizionano.
Nel meccanismo dell’economia capitalistica è stata risucchiata pure la donna, che ne ha adottato i valori centrali, l’individualismo e il materialismo, diventati così i censori principali della vita privata.
L’ethos è l’organizzazione inconsapevole di un gruppo e di una società. È l’elemento basilare di una cultura, il fondamento da cui derivano le norme e i valori. L’insieme dei modi di agire che si trasmettono spontaneamente, attraverso detti, proverbi, simboli, miti: è ciò che si manifesta nella condotta sociale. Oggi la morale rimane teorica e suscita emozioni, ma non penetra nei comportamenti, obbedendo questi sempre più alla dinamica del mercato, quindi non sono più etici.
C’è istruzione, ma non educazione. L’obiettivo dell’educazione è sempre stato quello di trasmettere l’ethos della comunità d’appartenenza. In alcuni casi, essendo dissolto l’ethos antico, la famiglia ha smesso di educare. I genitori non sanno ciò che possono o debbono trasmettere ai figli. Danno loro beni materiali e istruzione, ma non danno valori e i loro comportamenti non comunicano ethos.
Nell’epoca borghese, l’educazione pubblica trasmetteva rispetto della nazione e del lavoro. Ora le scuole sono diventate sempre più centri di preparazione al mercato. Addestrano i giovani a vincere sul mercato, dove poi la maggior parte di essi risulterà perdente. È terribile a dirsi, ma la scuola aiuta solo i “vincenti” invece di educare alla relazione, all’assunzione di responsabilità nei confronti della comunità. Prepara ad usare le tecniche della comunicazione e a saper competere sul mercato, ma non insegna i valori che ne potrebbero turbare i giochi.

Bisogno di cultura e di spiritualità
Tempo fa ebbi l’opportunità di incontrare Richard Normann, consulente delle grandi organizzazioni del lavoro, che svolge la sua attività in diversi paesi sparsi nel mondo.
Colsi l’occasione per domandargli quali sono i bisogni che, in questo mercato globale, gli uomini di oggi prevalentemente esprimono in forma chiara e pressante. La sua risposta mi sorprese piacevolmente. “Gli uomini d’oggi – mi disse – hanno bisogno di cultura, di spiritualità e di testimonianze”.
Quale spiritualità? La tecnica avanza ad un ritmo che minaccia il nostro equilibrio psichico, e quasi per una riproduzione spontanea, senza dipendere dalla fatica di pensare.
Il metodo della tecnica mi rimanda all’immagine di un giocatore di scacchi che, sedotto dalla magia del gioco, trova sempre nuove combinazioni, che lo legano al tavolo verde. Hans Jonas nel suo libro Il principio responsabilità cerca come disincantare questi ubriachi, come ottenere che distolgano lo sguardo dai loro prodotti e si guardino attorno, che si rendano conto che esiste ancora il mondo reale, che sta fuori dei laboratori, che esistono persone che amano, che soffrono e difendono questa vita che palpita intorno a loro. Vorrebbe far giungere dentro questi laboratori il gemito vero di uomini veri, portare là dentro una persona viva che porta scritto sulla fronte “non uccidermi”.
È difficile capire come persone religiose che dichiarano di aver dato alla loro vita il senso che le ha dato Gesù: “Sono venuto perché il mondo abbia la vita, e vita abbondante” si perdano nel ritoccare, riformare i riti e non si uniscano a quanti vedono gli attentati quotidiani alla vita, e non si sentano offesi e feriti nel più profondo della loro sensibilità.
Nessuna filosofia o rivoluzione politica, nessuna dichiarazione apertamente atea ha attaccato nei secoli così direttamente il progetto cristiano, come gli ultimi progetti della tecnica e i processi di globalizzazione.
E questi progetti e processi saranno realizzati, perché le voci che vi si oppongono sono sempre più flebili e scarse. L’occidente cristiano – almeno nella zona geografica definita in altro tempo primo mondo – pare entrato in dolce agonia, e la tecnica s’incarica di allontanare il dolore.
Distrutta la persona che senso resta al mondo, e non è svuotato anche il senso di Dio? Come onorare il Padre quando si è complici della distruzione dei figli?

Capolinea o catastrofe?
È impossibile fondare un’etica che possa arrestare la corsa verso la fine, con un procedimento di ragione, perché questa società è il risultato di pensieri staccati dalla realtà.
In questi due mesi e mezzo la violenza omicida, mai assente, è tornata in Europa, in primo piano come mezzo di azione politica. La guerra, se non ha motivazioni, trova sempre giustificazioni, naturalmente razionali.
Attribuirsi il diritto di guerra è attribuirsi l’assoluta, divina decisione sulla vita altrui. Il diritto di uccidere è suprema bestemmia. Non c’è dio più antiumano e orribile del dio della guerra.
Il soldato servo e sacerdote della guerra è un essere sacralizzato, investito di un diritto unico e superiore, diverso da quello di ogni persona. Uccidere è vietato a tutti, per lui è un dovere e una gloria. A lui mentire è essenziale come uccidere. Il pilota del Cermis è stato giudicato da una corte di alti militari, giudici. La sentenza è senza appello, appunto divina. È spiegabile unicamente col carattere divino della guerra, che giudica e decide tutto e non può essere giudicata. Tutto ciò fa orrore e ogni persona libera deve insorgere contro questa divinità omicida.

Perplessità e domande
Come rielaborare un ethos pubblico e condiviso, capace di far da regolatore al disordine mondiale, alle spinte devastanti dei fondamentalismi, all’anarchia fuori controllo dei mercati?
Questa bassa marea che investe il cristianesimo mi addolora.
Rischia di lasciare asfittiche e culturalmente aride le stesse radici della nostra civiltà.
Mi sembra di cogliere una situazione di buona accoglienza della chiesa nella società, e non ci accorgiamo così di un persecutore molto insidioso, che lusinga, che non colpisce alla schiena, ma accarezza il ventre… Non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro. In un mondo popolato di miti, di dei, di modelli in contraddizione con la fede cristiana, i cristiani sono blanditi finché evitano di indicare le cause della mancanza di etica. Al posto di una profezia autentica procurano alla società un vademecum morale, un supplemento d’anima… ma questo è un tradimento del Vangelo, perché gli impediscono di liberare la sua Forza tra gli uomini.

Pove del Grappa, giugno 1999