Davide e Golia, ovvero la storia del contenzioso tra Cuba e Stati Uniti
“Saul fece indossare a Davide il suo abito da guerra,
gli mise in testa l’elmo di bronzo e addosso la corazza.
Davide si legò ai fianchi la spada e provò a camminare,
ma non ci riusciva perché non era abituato.
Allora disse a Saul:
“Così non riesco a camminare: non sono abituato”.
E si tolse tutto.
Prese il suo bastone e si scelse dal torrente cinque pietre ben levigate,
le mise dentro la tasca della sua sacca da pastore,
poi con la fionda in mano si diresse verso Golia.
Anche il Filisteo si avvicinava sempre più a Davide,
preceduto dallo scudiero. Squadrò Davide e ne provò disprezzo
perché era molto giovane, di bel colorito e di bell’aspetto.
Gli gridò: “Mi hai preso per un cane per venirmi incontro con un
bastone?”. Poi lo maledisse in nome di tutti i suoi dei”. (dal Primo libro di Samuele, 17,38-43)
Le notizie che ci giungono dall’America Latina hanno spesso il carattere dell’avvenimento straordinario. I nostri mass media gareggiano per riportarci la notizia dell’ultima rivoluzione, dell’ultimo intervento militare degli Stati Uniti nella regione, della nuova epidemia o dell’ultima strage di bambini. Ne risulta una visione della realtà del continente a “chiaro/scuro”, che coglie gli aspetti “macro”, una occhiata veloce, senza approfondimenti e pertanto definitiva, che elimina i dettagli, le sfumature e i contorni, spesso così importanti per cogliere il senso della complessità propria di ogni realtà sociale.
Ai pochi che non fanno dell’America Latina la bandiera della propria ideologia, il luogo messianico delle rivoluzioni, o il campo di battaglia per la conquista del Paradiso, può risultare di aiuto l’analisi storica. Tanto più che le trasformazioni sociali e le rivoluzioni sembrano essere i frutti di lenti mutamenti, silenziosamente in atto da decenni, e, quindi, delinearsi come il risultato, la fine, più che l’inizio di determinati processi economici, culturali, sociali e politici.
Le pagine che seguono vogliono essere un contributo in tale direzione e hanno l’obiettivo di sottolineare la necessità di inserire la analisi della società cubana all’interno del più ampio contesto latinoamericano.
Antecedenti del contenzioso tra i due paesi
Lungi dall’essere soltanto una illegittima presa di posizione del governo nordamericano contro la scelta socialista dell’isola di Fidel Castro – come dimostrato dalle recenti risoluzioni in materia della ONU e del parlamento europeo – la disputa tra i due paesi sembra assumere un carattere più ampio fino ad andare a minacciare la stessa sovranità nazionale e la indipendenza della piccola isola dei Caraibi.
Nel 1807 Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori della nazione nordamericana scrisse: “Confesso che ho sempre visto Cuba come l’aggiunta più interessante che si possa fare al nostro sistema statale”.
Alcuni anni dopo, il segretario di stato nordamericano Quincy Adams dichiarò che il mondo si doveva abituare all’idea che il continente americano era di proprietà degli Stati Uniti. Fu lo stesso segretario che, nel 1923, diffuse il concetto del fatalismo geografico cubano sorto dalla sua dottrina della “frutta matura”. “Così come la frutta staccata dall’albero dalla forza del vento, non può anche se volasse non cadere al suolo, così Cuba una volta separata dalla Spagna e interrotti i legami che ad essa la legano, incapace di mantenersi da sola, deve spingersi necessariamente verso l’unione nordamericana e ad essa esclusivamente…”.
Nel maggio del 1847 il giornale “The New York Sun” scriveva : “Cuba per la sua posizione geografica per necessità e per diritto deve appartenere agli Stati Uniti; può e deve essere nostra”.
Il 23 settembre 1897 Theodore Roosevelt, allora sottosegretario alla Marina degli Stati Uniti, dichiarò: “Se non ci impossessiamo di Cuba, l’isola continuerà in mano ad una nazione debole e decadente e la possibilità di avere Cuba si potrà considerare persa per sempre. Non credo che Cuba possa essere pacificata con l’autonomia e ho fiducia che in tempi non molto lontani si verificheranno fatti tali che dovremo intervenire”.
I veri obiettivi che determinarono l’intervento degli Stati Uniti nella guerra tra Cuba e Spagna alla fine del secolo scorso sono espressi nel comunicato del 24 dicembre 1897 del sottosegretario alla Guerra degli Stati Uniti al tenente generale dell’esercito nordamericano N.S.Miles, nominato comandante in capo delle forze destinate a mettere in atto l’intervento: “Risulta evidente che l’annessione immediata alla nostra federazione di elementi così numerosi e perturbatori sarebbe una follia e prima di richiederla dobbiamo ripulire quel paese applicando i metodi che la Divina Provvidenza applicò a Sodoma e Gomorra. Bisognerebbe distruggere tutto ciò che sia a portata dei nostri cannoni, con il ferro e con il fuoco si stringerà il blocco affinché la fame e la peste, sue costanti accompagnatrici, possano decimare la pacifica popolazione e indeboliscano l’esercito… In sintesi: la nostra politica si concretizza in appoggiare sempre il più debole contro il più forte fino alla completa distruzione di ambedue (cubani e spagnoli) con la finalità di annetterci la Perla delle Antille”.
Verificatosi l’intervento, il generale Leonard Wood, governatore militare di Cuba, scriveva al segretario alla Difesa degli Stati Uniti E.Root : “Tutti gli americani e tutti i cubani che puntano al futuro sanno che l’isola formerà parte degli Stati Uniti…”.
Nel febbraio del 1901 il segretario alla difesa E.Root, in una lettera indirizzata a Wood, specificò le cinque condizioni che dovevano essere applicate alla base delle relazioni tra i due paesi:
1. riconoscere il diritto degli Stati Uniti ad intervenire negli affari interni di Cuba;
2. limitare i diritti di Cuba a firmare accordi o trattati con potenze straniere o a concedere alle stesse privilegi senza la preventiva approvazione degli Stati Uniti;
3. limitare i diritti di Cuba di ottenere prestiti all’estero;
4. riconoscere il diritto degli Stati Uniti ad acquistare terreni e ottenere basi navali a Cuba;
5. riconoscimento ad applicazioni da parte di Cuba di tutte le leggi, promulgate dalle autorità militari nordamericane e i diritti derivanti da queste leggi.
Questi cinque punti furono la base del disegno di legge presentato al congresso nordamericano dal senatore Orville H.Platt che insieme ad altri aspetti si convertì nel tristemente noto “Emendamento Platt”.
Alcuni giorni dopo l’approvazione dell’emendamento, la interventista Wood scrisse a Theodore Roosevelt, allora vice presidente degli Stati Uniti: “é evidente che con l’Emendamento Platt Cuba vede ridotta al minimo o meglio cancellata la sua indipendenza… La cosa migliore è ottenere ora l’annessione. Ciò richiederebbe tempi brevi… Con il controllo che abbiamo su Cuba e che in poco tempo si convertirà in possesso, molto presto controlleremo tutto il commercio dello zucchero nel mondo. Credo che Cuba è un acquisto tra i più vantaggiosi per gli Stati Uniti”.
Questa mentalità ha caratterizzato le relazioni tra Cuba e Stati Uniti fino al 1959 quando trionfò la Rivoluzione Cubana, fino a questa data gli ambasciatori statunitensi a La Habana agivano come pro consoli e veri e propri presidenti.
La rivoluzione del 1959
Con l’avvento della rivoluzione del 1959 e la proclamazione di Cuba “Primo Territorio Libero Della America Latina” le misure adottate dagli Stati Uniti contro gli scomodi vicini aumentarono, andando dal taglio delle importazioni di zucchero (1960), alla rottura delle relazioni diplomatiche (1961), al tentativo di invasione (nell’aprile dello stesso anno), al blocco navale (1962), fino alla guerra batteriologica, al blocco economico e alla campagna denigratoria effettuata attraverso i mezzi di comunicazione internazionali.
Con l’avvento della rivoluzione le relazioni tra i due paesi peggiorarono progressivamente. Di fatto, conquistato il potere, i rivoluzionari si trovarono a dover iniziare una seconda lotta: non più contro la dittatura di Batista ma contro gli Stati Uniti e i loro alleati nel paese.
Il governo degli Stati Uniti avendo visto minacciati i propri interessi sull’isola e la propria egemonia geopolitica nel continente, intraprese tutte le strade possibili per impedire lo sviluppo del processo rivoluzionario. Va sottolineato a riguardo come mediamente negli anni 1954-58 circa il 64,5% delle esportazioni e il 73,5% delle importazioni dell’isola venivano effettuati con i potenti vicini. Sempre nello stesso periodo, secondo una dichiarazione del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, il capitale nordamericano superava il 90% nei servizi elettrici e telefonici ed il 50% nelle ferrovie. “La piccola isola caraibica era in effetti al terzo posto fra tutti i paesi latino-americani, superata sola dal Venezuela e dal Brasile rispettivamente 8 e 75 volte più grandi, per il valore degli investimenti diretti degli Stati Uniti” (U.Melotti, La rivoluzione cubana, Ed. Dall’Oglio, Varese, 1967). Oltre a ciò i grandi proprietari (creoli e stranieri) erano circa l’1,46% della popolazione e possedevano quasi la metà delle terre nazionali, ovvero circa il 46,85%.
Furono 5 le principali “mete” socioeconomiche che si pose la rivoluzione:
1. la crescita economica;
2. diversificazione della produzione;
3. relativa indipendenza economica;
4. piena occupazione;
5. distribuzione egualitaria dei servizi sociali.
Tali scelte comportarono la riduzione dello strapotere economico degli USA sull’isola e la pregiudicazione dei suoi interessi economici. Come ebbe a sottolineare Fidel Castro in un celebre discorso dell’epoca: “Se seminiamo riso, pregiudichiamo interessi stranieri; se produciamo grassi, pregiudichiamo interessi stranieri; se produciamo cotone, pregiudichiamo interessi stranieri; se ribassiamo le tariffe telefoniche, pregiudichiamo interessi stranieri; se realizziamo una riforma agraria, pregiudichiamo interessi stranieri; se promulghiamo una legge sul petrolio, pregiudichiamo interessi stranieri; se facciamo una legge mineraria, pregiudichiamo interessi stranieri; se costruiamo una marina mercantile, pregiudichiamo interessi stranieri; se costruiamo una marina mercantile, pregiudichiamo interessi stranieri; se cerchiamo nuovi mercati per il nostro paese, pregiudichiamo interessi stranieri; se domandiamo che almeno ci si compri tanto quanto noi acquistiamo, pregiudichiamo interessi stranieri. E questo spiega perché abbiamo fatto leggi rivoluzionarie che pregiudicano privilegi stranieri”.
L’anomalia cubana nel continente
Da parte loro gli Stati Uniti diedero inizio ad una serie di provvedimenti ed azioni contro il governo e il popolo cubano che iniziarono con il taglio delle importazioni. Nel luglio del 1960 il governo di Washington tagliò le forniture di petrolio a Cuba e cancellò l’acquisto di 700.000 tonnellate di zucchero, che costituiva il rimanente della quota di zucchero destinata in quell’anno al mercato nordamericano. In settembre iniziarono le pressioni per cancellare i crediti concessi alle banche dell’isola e in ottobre furono proibite le esportazioni a Cuba, con l’eccezione degli alimenti e delle medicine.
Nella stessa direzione va la decisione del 3 gennaio del 1961 della Casa Bianca di rompere le relazioni diplomatiche con Cuba e tredici giorni dopo quella di sospendere le autorizzazioni ai cittadini nordamericani di viaggiare verso l’isola. Ma soprattutto il tentativo di invasione dell’aprile di questo anno a Playa Giron (Baia dei porci) che ebbe l’effetto di incrementare l’unione della popolazione attorno agli ideali della rivoluzione e di elevare il già alto spirito patriottico dei cubani, facendolo coincidere con “l’anti-nordamericanismo”.
Va notato come tali misure, prese dagli Stati Unite contro l’isola caraibica, siano precedenti alla dichiarazione del carattere socialista della rivoluzione che sancì l’entrata di Cuba all’interno del blocco socialista e che venne dichiarato soltanto il 1á maggio del 1961.
Nel febbraio del 1962 l’esecutivo statunitense promulga il proclama 3447 che impone l’embargo economico totale a Cuba e sempre nello stesso anno viene effettuato il blocco navale attorno all’isola. In tale contesto, come è noto si sviluppò la crisi dei missili nota come “crisi di ottobre”.
Mai gli Stati Uniti si rassegnarono all’esistenza dell’anomalia cubana nel continente e continuarono in tutti i modi e con tutti i mezzi, anche quando la rivoluzione si era ormai consolidata, a minacciare e ad effettuare azioni di vario genere contro l’insubordinato vicino. Si pensi alla decisione del maggio del 1964 di interrompere tutte le forniture di alimenti, medicine ed equipaggiamenti medici, alle numerose azioni di sabotaggio che arrivarono fino alla guerra batteriologica contro le principali piantagioni dell’isola che vennero infestate da agenti fitofagi in vari periodi. Particolarmente famoso fu il caso del moho azul che nel 1980 distrusse circa il 27% dei raccolti di tabacco.
Il crollo del Comecon e la fine della contrapposizione dei blocchi videro i politologi e gli espertissimi del pentagono gareggiare per indovinare la data della ormai prossima caduta dell'”ultimo baluardo del socialismo”. Vennero intraprese ulteriori e più gravi sanzioni che avrebbero avuto il semplice effetto di accelerare i tempi della morte naturale e così agli inizi degli anni ì’90, la Casa Bianca e il congresso degli Stati Uniti iniziarono le procedure per rafforzare l’embargo attraverso il denominato “Emendamento Mack”, che aveva l’obiettivo di eliminare le disposizioni legali che permettevano alle sussidiarie di società nord-americane situate in altri paesi di realizzare transazioni economiche con Cuba. Tale obiettivo venne ripreso e definitivamente attuato dall'”Emendamento Torricelli”.
Recenti calcoli realizzati da esperti cubani indicano che le perdite occasionate a Cuba dall’embargo economico raggiungono i 40.000 milioni di dollari, ossia venti volte il valore delle partite correnti annuali del paese, dovute fondamentalmente a :
– perdita della quota e del prezzo preferenziale dell’esportazione dello zucchero al mercato nordamericano;
– necessità di pagare alti prezzi per l’acquisto, attraverso paesi terzi, dei pezzi di ricambio per la tecnologia nordamericana esistente sull’isola dal 1959;
– acquisto di merci in mercati molto più lontani, con il conseguente incremento delle spese di trasporto e a volte prezzi maggiori per la stessa merce;
– necessità di pagare dal 20 al 30% in più determinati prodotti nordamericani, considerati insostituibili e quindi comprati in paesi terzi;
– elevati investimenti in magazzini essendo le fonti di fornitura molto più lontane;
– necessità di inventari per 2-3 e più mesi quando anteriormente erano necessari soltanto 15 giorni;
– necessità di realizzare elevati investimenti nella flotta marittima per garantire il trasporto della merce, di fronte alla proibizione per le imbarcazioni che trasportano merce da-o per Cuba di toccare porti nordamericani;
– elevati investimenti nella sostituzione dei macchinari agricoli, di trasporto e costruzione con macchinari di altri paesi che in molte occasioni risultano molto meno efficienti nello sfruttamento, con il conseguente incremento di consumo di combustibile, lubrificanti e pezzi di ricambio;
– investimenti in tecnologie industriali più care e meno efficienti con il conseguente rincaro nei costi di gestione annuali per l’incremento di consumo di energia e di materie prime;
– sostituzione dei beni di consumo durevoli che possedeva la popolazione con altri a volte più costosi e meno efficienti.
Cuba, ma non solo
Appare particolarmente utile, ai fini di una maggior comprensione, inquadrare la politica contro la rivoluzione cubana all’interno delle relazioni intrattenute dagli Stati Uniti con il resto dei paesi latinoamericani. L’analisi della guerra sporca contro il Nicaragua, gli aiuti militari ed economici forniti al governo del Salvador, utilizzati contro la popolazione, gli interventi militari “contro il narcotraffico” in Colombia e Venezuela, l’invasione di Panama, la politica ambigua nei confronti di Haiti, fino agli ultimi aiuti forniti al Messico per reprimere la popolazione del Chiapas, così come molte altre situazioni potranno certamente soddisfare la curiosità dei dubbiosi purché non si facciano prendere la mano da facili semplificazioni o da slogan orecchiabili.