Da una civiltà che umilia ad un mondo che celebra le differenze

di Bordignon Alberto

È senza dubbio difficile fare un resoconto della festa di Macondo di maggio. é difficile per chi l’ha vissuta soprattutto sotto l’aspetto organizzativo e quindi corre il rischio di averne presenti i punti di sofferenza più che il significato che questo appuntamento ha trasmesso. Ma non si tratta qui di verificare se l’organizzazione del parcheggio abbia funzionato a dovere né se il complesso musicale sia arrivato puntuale. In queste righe anzi dovrebbe trovar posto un bilancio dell’esperienza umana che la festa ha rappresentato. Su questo vale proprio la pena di essere soddisfatti.
La preparazione della festa infatti ha coinvolto gruppi di persone che prima non conoscevano addirittura l’esistenza di Macondo e ha portato delle novità importanti. Il torneo di calcetto interaziendale intitolato all’associazione, o meglio, all’idea di Macondo e i “Giochi senza frontiere” di sabato 27 maggio sono stati il frutto originale del coinvolgimento dei gruppi del territorio, tra cui vale la pena di ricordare il Centro Giovanile, il Gruppo giovani SS. Trinità e la Bottega del Tempo. Ecco, un punto che la festa ha segnato a suo favore è un radicamento e un coinvolgimento più profondo nel territorio. Questo è avvenuto a partire da gruppi giovanili e pare che il risultato abbia provocato qualche conseguenza inaspettata se è vero che sia il torneo di calcetto interaziendale che l’esperienza dei “giochi” non abbiano la pazienza di attendere il maggio 1996 per proporsi di nuovo. E allora è vero che la famosa identità macondina ha ancora una volta offerto la libertà e la fantasia per costruire progetti che non si stancano di produrre idee e di farle lavorare.
Un’altra considerazione da fare è stata l’enorme presenza di persone alla domenica. Si è trattato di una presenza che ha per più punti fatto scricchiolare un’organizzazione preparata ai già straordinari numeri dell’anno scorso, ma non certo a quelli con cui si è avuto a che fare questa volta. é stata una felice sorpresa maturata nella consueta disattenzione dei media locali. E le persone hanno partecipato a tutto: al convegno della mattina, alla messa, al pranzo, alle danze del pomeriggio, agli stands delle associazioni. Proprio le associazioni di volontariato internazionale sono state poi l’evento e il messaggio della giornata. Era ora! Era ora che gruppi che lavorano con la stessa straordinaria passione, con le medesime carenze di mezzi e per gli stessi coraggiosi obiettivi si trovassero fianco a fianco per dare un segno forte alla città. Era ora che si trovasse un filo che raccogliesse in collana le perle che questi gruppi rappresentano. Era importante che questo filo fosse Macondo.
Il senso della festa alla fine sta tutto qui. é un risultato che potrebbe risvegliare una città che ormai si appassiona solo ai temi della viabilità urbana. é una miniera di idee e di progetti, ma soprattutto è una prospettiva per il futuro.
Da questo punto di vista la Festa di Macondo 1996 comincia ora. Perché ci piacerebbe arrivare l’anno prossimo con esperienze più ricche e con un messaggio più maturo, evitando la sensazione di un volontariato tutto impegnato nelle operazioni di vendita per trovare i mezzi con cui sostenersi. Ma anche perché, contandoci, quel giorno abbiamo visto che le forze ci sono, che non è vero che siamo solo una castigata minoranza munificata dal dono della profezia. Forse ci manca un po’ di coraggio, ma vale la pena di trovarlo. La Festa di quest’anno ci ha dato un po’ di consapevolezza in questo. Ora l’entusiasmo di quella domenica deve darci l’energia per continuare nel cammino. E se in qualche momento ci lasciamo persuadere che quest’esperienza sia stata comunque una piccola cosa è pur vero che anche questo segno ha la sua importanza. In fondo è sempre meglio accendere una candela piuttosto che maledire il buio.