Crisi di maturità

di Tonucci Paolo

Amici
che seguono da anni la vita delle comunità cristiane del Brasile,
che vedevano in questo nuovo modo di essere Chiesa una speranza non
solo per il nostro continente, ora ci chiedono se ancora si può
parlare di speranza. L’impressione immediata, visitando le
comunità, parlando con gli animatori dei gruppi di giovani, di
sindacalisti, di politici, degli impegnati in movimenti popolari è
che la situazione sia cambiata: c’è delusione e sfiducia.

Non
è facile riunire un gruppo di disoccupati per fare una dimostrazione
contro la recessione… Molti sacerdoti che si impegnavano per
costruire le comunità di base, ora si impegnano – un pò meno- per
mantenere la normale amministrazione ecclesiastica e magari per
seguire gruppi carismatici e come premio ricevono onori e cariche
ecclesiastiche.

Molti
sindacalisti, molti che si erano impegnati nei movimenti popolari e
politici di sinistra cominciano a preoccuparsi con la vita personale,
familiare – che era stata lasciata in secondo piano- abbandonando gli
ideali di cambiare il mondo.

Non
credo che il cambiamento di rotta sia dovuto solo alla sconfitta del
socialismo reale, alla pressione esercitata dal Vaticano sugli
esponenti della teologia della Liberazione ed alle difficoltà
economiche che fanno aumentare i disoccupati e la paura degli
impegnati di perdere il posto.

Questi
fattori possono aver aiutato il disimpegno, ma senz’altro c’è stato
una certa superficialità nell’affrontare i problemi i problemi.
Vivevamo di miti.

Noi
cristiani ci eravamo identificati con la storia degli Ebrei schiavi
in Egitto, avevamo pensato che la costruzione della nuova società –
senza schiavi e senza padroni- fosse automatica. Avevamo dimenticato
che per gli Ebrei erano stati necessari quaranta anni di permanenza
nel deserto per iniziare il progetto di una società, erano stati
necessari i profeti a criticare e ricordare la Parola liberatrice di
Dio.

TEMPI
LUNGHI, RISPOSTE TANTE

Abbiamo
così pensato che le CEB (comunità ecclesiali di base) erano l’unica
risposta alle sfide della realtà, che a livello politico c’era il
Partito dei Lavoratori per risolvere i problemi e che la teologia
della Liberazione era la nuova Summa Teologica…

Le
difficoltà che stiamo vivendo sono una grazia di Dio per
purificarci, per ricordarci che i tempi di Dio sono tempi lunghi, che
il regno di Dio è come un granello di senape e che i cambiamenti
sono lenti, e l’importante non è il risultato, ma il processo,
l’avanzata lenta del regno di Dio.

I
piccoli segni di speranza esistono: la gente povera che ha imparato a
leggere la Parola di Dio, a capirla a partire dalla propria realtà,
che si organizza pian piano, che vive la propria spiritualità.

Gesù
diceva che il grano per diventare spiga deve morire… forse il
popolo per diventare nuovo popolo di Dio deve morire per raggiungere
la propria maturità. Dovrei dire agli amici che guardavano con
simpatia al nostro modo di fare pastorale, alla lenta costruzione di
un nuovo modo di essere chiesa che il lavoro continua forse senza
tanto protagonismi, senza miti, ma con molta fede che aspetta dalle
chiese sorella fiducia, critica e scambio.

Rio
de Janeiro luglio 1992