Concilio Vaticano II: e adesso?

di Comblin Josí©

Il Concilio Vaticano Secondo appartiene alla storia. È arrivato molto tardi, con un ritardo di almeno un secolo. È arrivato al termine dell’epoca della modernità con il proposito di rispondere alle sfide della modernità. Adesso la modernità è passata e la Chiesa rimane senza risposte. La gerarchia ha avuto paura delle conseguenze del Vaticano Secondo ed è indietreggiata verso un’epoca pre-moderna. Per questo non ha ancora capito che il mondo sta già in una fase più avanzata. Non importa adesso che la liturgia si faccia in latino o nelle lingue locali o in cinese. La gioventù non intende più queste chiacchiere.

Documento di Aparecida: teoria e realtà

Il documento finale della Quinta Conferenza del CELAM in Aparecida è molto significativo. Afferma che seguirà lo schema dell’Azione Cattolica: vedere-giudicare-agire. Di fatto il documento è diviso in tre parti. La prima parte offre una ragionevole descrizione delle sfide della situazione sociale ed economica, si sofferma meno sulla situazione politica e meno ancora sulla situazione culturale. Ma la seconda parte, quella teologica, non ha nessuna relazione con la prima. La terza parte propone un piano pastorale senza relazione con la situazione descritta nella prima parte. La Chiesa può ricorrere ad alcuni bravi specialisti di scienze umane, ma non tiene conto di quello che dicono.

La parte teologica non tiene conto degli studi biblici degli ultimi 50 anni. Che cosa significa la Dei Verbum, se nella pratica i documenti ufficiali della Chiesa ignorano la Bibbia? Che significato potrà avere la collegialità episcopale se il sistema è ben più centralizzato di una volta? Che significa la collegialità episcopale se il documento prodotto in Aparecida da parte di 160 vescovi ha meritato 200 correzioni da parte di funzionari clandestini della Curia romana? Non si poteva dire più chiaramente che non è possibile aver fiducia nei vescovi? Che fiducia possiamo avere nei vescovi se i censori anonimi di Roma debbono correggere il loro documento? È come dire: non fidatevi di un documento pubblicato da un vescovo: è pieno di errori.

La riscossa della Curia di Roma

La Gaudium et Spes era basata sullo stato di benessere sociale che trionfava in Europa occidentale. Oggi questo Stato sociale viene sistematicamente distrutto dalla globalizzazione. C’era una grande coincidenza tra la dottrina sociale della Chiesa e la situazione sociale dell’Europa occidentale. Per questo motivo, c’era un clima di grande ottimismo. Si pensava che il modello europeo potesse essere trasferito in tutti i paesi. Oggi quell’ottimismo è morto, a eccezione dei grandi gruppi finanziari. La Chiesa ha perso la sua credibilità. Cosciente di ciò, adesso la Chiesa non parla.

Il Concilio Vaticano Secondo apparteneva ancora a un periodo ingenuo, senza malizia. I vescovi pensavano che rinnovando la dottrina avrebbero potuto mutare qualcosa della struttura della Chiesa. Immaginavano che la Curia romana sarebbe stata disposta a suicidarsi. Per questo non formularono nessuna disposizione pratica che facesse riferimento al diritto canonico. Pensavano che le idee avessero forza in se stesse. Non sapevano che i documenti della dottrina non hanno maggior valore delle costituzioni degli Stati latino-americani. Sono documenti interessanti, ma nella pratica sono ignorati.

Una volta il cardinal Suenens ci raccontava che subito dopo la conclusione del Vaticano Secondo, passando accanto alla statua di Costantino, aveva detto: «Il tuo regno è finito, Costantino!». Era un’illusione. Costantino è ancora ben presente e attivo. Roma cerca di rinnovare o creare le migliori relazioni possibili con tutti i governi, incluse le più perverse dittature del mondo. Tragica è stata, per esempio, l’operazione dell’attuale cardinal Sodano quando fu in Cile il difensore di Pinochet.

Ricostruire la cristianità

La post-modernità è cominciata 40 anni fa nel 1967 e 1968, con le rivoluzioni studentesche di Berkeley e di Parigi. Nella Chiesa cattolica nessuno ancora percepiva il cambiamento.

Giovanni Paolo II pensava che i movimenti avessero la capacità di ricostruire una cristianità. Il suo successore sembra che pensi allo stesso modo: Opus Dei, Legionari di Cristo, Comunione e Liberazione, Schoenstatt, Focolarini, Neo-catecumenali e altri con minor visibilità dovevano essere i primi attori di una nuova evangelizzazione. Quel che riuscirono a fare, fu di offrire un’ideologia e una struttura a una borghesia cattolica che ha introdotto nella Chiesa il sistema neo-liberale, con la speranza di rifare una cristianità con l’aiuto delle grandi forze economiche attuali. L’ideologia di questi movimenti ha avuto una forte influenza nella stesura del documento di Aparecida.

Il Vaticano II avrebbe potuto essere l’inizio di una disposizione al dialogo con la società contemporanea. Dopo il concilio prevalse la paura. Davanti all’immensa rivoluzione culturale degli anni ’60 e ’70, la reazione della Chiesa fu di ritornare al passato, cercando di ritrovare un equilibrio nelle certezze di una volta.

A volte c’erano nelle parole di Giovanni Paolo II alcuni suggerimenti che lasciavano pensare come il Papa in qualche modo sentisse che il sistema non funzionava più. Ma non ha avuto l’energia per cambiare i quadri della Curia. Confidava nel suo carisma personale. Ma il suo carisma personale, per quanto forte potesse essere, non era sufficiente per compensare l’evoluzione storica. Negli ultimi anni del suo pontificato, il Papa dovette constatare che la Polonia non poteva certo essere il modello della Chiesa universale e che il cattolicesimo in Polonia avrebbe seguito con un po’ di ritardo lo stesso cammino degli altri paesi europei.

Chiesa romana e Terzo mondo

Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono stati e sono eurocentrici. Al posto di ascoltare e lasciar parlare le Chiese del terzo Mondo, sono confusi da quel che succede in Europa o in America del Nord. La soluzione non verrà da questa parte.

Le Chiese del Terzo Mondo muoiono di paura. Molti vescovi sono realmente preoccupati dell’indirizzo attuale della Chiesa cattolica, ma non si arrischiano a parlare. Sanno che quando, ogni cinque anni, fanno la loro visita canonica ad limina, saranno trattati da alunni cattivi che non applicano correttamente la pastorale della Curia. D’altra parte, le nomine episcopali sono fatte in modo tale che la paura supera il coraggio.

In America latina, il Vaticano II aveva aperto la porta per Medellin e aveva dato una conferma ai vescovi profeti di quegli anni. Furono loro che parteciparono in modo notevole al giuramento delle Catacombe, quando un gruppo si impegnò a cambiare l’orientamento delle loro Chiese nella direzione di una vera opzione per una Chiesa dei poveri. Nonostante una forte reazione romana, qualcosa sussiste di quest’epoca: non sarà possibile eliminare dalla storia la generazione dei vescovi profeti che c’è stata in quel tempo e della quale restano soltanto alcuni venerabili anziani.

Una consolazione può essere che le altre Chiese «storiche» non si sono comportate meglio di noi, e per questo soffrono le stesse conseguenze, a volte peggiori. Ma il prezzo è l’espansione di nuove denominazioni cristiane di tipo pentecostale e di innumerevoli sette che mettono assieme elementi di cristianesimo. Stiamo attraversando un tempo simile alla fine del secolo XII e inizio del XIII, ma con un vigore mille volte superiore.

Il Concilio Vaticano II non ci ha dato una risposta valida. Tutto è molto più complesso e carico di sfide. Quel che manca a noi non è una teologia, ma una pratica, una struttura molto più flessibile che permetta la creatività ed esperienze nuove.

José Comblin, teologo brasiliano