Comunicare con il pubblico, una fatica d’amore
Le parole alla radio
«Sono le 8, buon giorno a tutti gli ascoltatori. È Sara Deganello che vi parla». È lei che vi offre la sua voce, nient’altro che quella. Non un volto, non un profumo, un contatto, un sapore. Dice parole, tace, si ferma, riprende, allunga un silenzio, aspetta che arrivi il momento giusto, crea l’attesa, modula una domanda, si risponde. Racconta. Pronuncia ogni singola sillaba con chiarezza, a ognuna dà un’importanza vitale, un’estensione: un carattere e un’intenzione. Sceglie i termini con cura, scarta le parole difficili. Medita all’interno. Respira con il diaframma, che è un posto molto più profondo dei polmoni, appena poggiato sopra le viscere. Da lì lascia che esploda la voce. Modula i toni. Salite, discese, stacchi improvvisi. Attacchi bassi. Deglutisce. Attrice senza volto. Agita le mani, sorride, è tesa ma voi non lo vedrete mai. Eppure è nuda davanti a voi. Con la sua voce e basta. Uno squarcio nel silenzio. Una traccia che rimbomba nella cassa toracica e fende l’aria. Che stiate guidando, lavando i piatti o tagliando le zucchine. Il mezzo meno razionale che abbiamo: sensibile e vibrante a ogni impercettibile sussulto. Al punto che le emozioni diventano trasparenti, palpabili. Tracimano da ogni frase, scappano dai respiri, dalle pause. La voce tradisce, dicono. È vero. Ti ritrovi riflesso, senza via di scampo, visto fino in profondità, manifesto.
Non si vede, non si tocca. Passa attraverso i muri, le porte, la grande foresta. Entra nelle cucine, nelle automobili, nel ritmo della vita della gente di tutti i giorni. La radio. Una voce nell’etere, un luogo invisibile e liquido di comunicazione. Di incontro?
Rio Tapajos, Radio Rural: dare voce
Amazzonia. Santarém, capitale del Parà, Brasile. Sulla riva sinistra del Rio Tapajos, il fiume azzurro che da lì a qualche chilometro va a sciogliersi tra le acque rossastre del Rio Amazonas, la città sonnecchia nella calura del pomeriggio. Ultimo giorno di corso per collaboratori, reporter, speaker delle radio rurali locali della zona. Riuniti dietro i banchi di una scuola ascoltano in silenzio il direttore della Radio Rurale di Santarém parlare della differenza tra etica e morale. L’etica, a differenza della morale, è sociale, e deve essere aderente al bene pubblico. La comunicazione radiofonica stessa deve essere al servizio del bene pubblico. Cioè a servizio del popolo. E al popolo deve dare voce.
Io sono appena scesa dall’aereo. A sette fusi orari dall’Italia e dalla vita che mi aspetterà. A uno sputo dall’Equatore. Mi presento in portoghese stentato e i caboclos mi accolgono calorosamente. Sono reduci da tre giorni di formazione e confronto su come si fa comunicazione. In particolare come si fa una radio, una radio rurale. Hanno usato un libricino illustrato, che mi regalano. Sono i pesci del grande fiume che presentano la radio come «strumento di dialogo tra gli abitanti delle comunità dell’Amazzonia (dove per comunità si intende piccolo nucleo di famiglie che abita nella foresta) tramite una rete di reporter popolari». Il titolo è Comunicazione. Porre qualcosa in comune con l’altro. Comun-icazione,
come comun-ione, mettere in comune. Un processo per cui chi manda le informazioni, e chi le riceve, non può che entrare in un gioco di scambio e ascolto reciproco: un dialogo che mai si esaurisce. Ho studiato su questo libretto per l’esame di ammissione alla scuola di giornalismo. E mi hanno presa lo stesso.
Il coraggio della denuncia
Riunione locale del Fronte di difesa dell’Amazzonia. Uomini e donne dalla carnagione bronzea e dagli occhi verdi. Indios di oggi che si prendono cura della loro foresta. La lunga mano delle multinazionali avanza, infatti, sul polmone verde della terra: tagliano gli alberi e poi piantano soia, così il terreno diventa sterile e incapace di generare altre piante. Viene data la parola a un ragazzo e a una donna. Parlano sommessamente, capisco poco, ma respiro la gravità del momento. Sono infatti testimoni di alcune illegalità commesse dai signori della soia. Perché non denunciarli? «Perché abbiamo paura che ce la facciano pagare». Solo qualche mese prima una suora schierata contro di loro è stata ammazzata. Allora si decide: la loro testimonianza verrà passata alla radio. Che tutti sentano, e sappiano.
La radio rurale non è una radio commerciale. Il lucro non è tra le sue finalità. Il suo scopo è essere un mezzo di incontro, di informazione e di educazione. È uno strumento di inclusione sociale, perché dà voce e volto a chi non li ha. In una terra in cui gli spostamenti si misurano in ore e giorni di barca, la radio rappresenta una rete che raggiunge tutti, immediatamente. Nelle comunità sperdute in mezzo alla foresta vengono distribuiti apparecchi radio a manovella, perché il segnale arrivi anche a chi non ha l’elettricità, e inneschi un ascolto partecipe e attivo. Perché la radio crea comunità, crea una coscienza condivisa. Quella del popolo dell’Amazzonia.
Tevere, Radio periferia: catturare, stupire
Roma. Prima periferia, un grande palazzo a specchi. È qui la sede di un’importante radio nazionale, una radio commerciale, che vive della raccolta pubblicitaria. Altre frequenze e altre spiagge rispetto a quelle del Rio Tapajos. Altri pure gli scopi. La nuova stagista è un po’ intimidita dalla confidenza spigliata del romanesco e dal metal detector all’ingresso.
«Boom di meduse in Liguria. Qualche turista ferito. Questo è il numero di un medusologo. Indaga. E portaci una voce». Così la mia collega illustra la consegna, mentre io mi tuffo nell’avventura. Chiaramente la prima domanda che faccio all’esperto è: «Si può parlare di allarme meduse?» «No. Non direi», risponde lui. Peccato, già mi sentivo in bocca la succosa notizia: LIGURIA, È ALLARME MEDUSE!
È la stampa, baby. La ricerca del sensazionale, per avere quello che le altre testate non hanno: il superlativo assoluto. Raccontare il primo caso, il più antico, il più grande d’Italia, d’Europa, del mondo. Catturare l’attenzione del lettore. Ma non solo questo, per fortuna. La radio è cronaca, che sfida l’aderenza delle parole ai fatti. È il grande modello del racconto orale, delle immagini dipinte dalla voce, dei grandi eventi «detti» e lasciati all’immaginazione senza foto.
E poi il ritmo. La radio vive sul fatto del momento: è capace di aggiornare le notizie quasi in tempo reale. Sta attaccata al presente, e lo fa sentire. Dichiarazioni, voci della strada, cori allo stadio, racconti soprattutto. Radiocronache, appunto. Frasi secche, semplici, senza troppe subordinate. Il giornalismo radiofonico vive sulla schematicità della lingua. E sul gioco delle pause. «Sono sbarcati gli alieni». Pausa. E Orson Welles scatenò il panico.
Scorre lontano il Rio Tapajos
Scorre l’elenco aggiornato delle notizie sul mio monitor. Le agenzie ne sfornano di nuove a ogni secondo. Sta a me scegliere quali entreranno nelle case di tutti e quali, invece, passeranno subito dimenticate. A questa idea ho brividi di onnipotenza. Quanta responsabilità nelle maniàdei giornalisti! Ogni giorno c’è un morto sul lavoro. Me ne accorgo tutte le mattine: lo dicono le agenzie. Ma noi non ne diamo mai notizia, non è nel nostro stile. A noi piacciono di più i fatti curiosi: il tizio che tenta di rapinare un ufficio dell’anagrafe pensando sia una banca o quelloàche si finge naufrago per mascherare una scappatella.
Un movimento univoco, questo flusso di notizie. Con poche possibilità di scambio tra mittente e ricevente, poco ascolto reciproco. Lanciamo nel laghetto comune un’informazione e nascondiamo la mano. La comunicazione di massa. L’opinione pubblica che cresce da sola come un fungo sulla corteccia dei media. Con pochi scambi e dibattiti tra le varie corporazioni della società civile, con buona pace del fu Antonio Gramsci. Certo, i politici dibattono tra loro nei salotti mediatici. Anche Maria De Filippi mette in onda un grande dibattito. Che non ha nulla, anzi è il contrario, del dialogo. Cioè dell’apertura all’ascolto dell’altro.
D’altra parte, quando si parla di mettersi all’ascolto dell’ascoltatore, cioè dell’utente, il più delle volte si parla di feedback (riscontro), di valutazione della soddisfazione, di previsione dei bisogni. In poche parole, di marketing. Il Rio delle Amazzoni scorre troppo lontano, laggiù nell’emisfero australe. La Radio rurale di Santarém non arriva da queste parti. E nemmeno ci insegnano che la comunicazione possa essere dialogo, perché sarebbe un modello debole che rifiuta ogni posizione di potere. Abbiamo fatto altre scelte, abbiamo deciso che la stampa è più autorità che interlocutore. Qui abbiamo trasformato la comunione in marketing.