Cogliere l’aspetto positivo che c’è in tutte le cose, anche nella riduzione dei consumi
Il 1993 e anche il 1994 sarà ricordato (assieme ad altri e importanti avvenimenti politico-economici) come i primi anni del dopoguerra in cui i consumi degli italiani sono diminuiti. La gente ha consumato meno per almeno 4 ragioni:
a) da 18 mesi stanno calando tutti i salari reali;
b) in due anni l’Italia ha perso 700 mila occupati;
c) con l’inflazione sono calati anche i tassi reali dei Bot;
d) sono cresciute le incognite sul futuro.
Tuttavia poiché bisogna saper vedere l’aspetto positivo che c’è in tutte le cose (un esercizio che dovremmo sempre fare per migliorare la nostra vita e le nostre relazioni), questa restrizione può portare con sé aspetti positivi. Innanzitutto i consumatori diventano più attenti e puntigliosi rispetto a ciò che si acquista (e a volte non si usa). Non dimentichiamo che gli italiani sono, tra gli europei, quelli che sono diventati benestanti solo molto recentemente e in tempi molto più rapidi, e ciò ha prodotto una spinta consumistica comprensibile ma anche da neofiti, specialmente in quelle fasce di piccola borghesia e di lavoro autonomo che hanno potuto evadere il fisco per 20 anni e ritrarre redditi decisamente elevati (non dimentichiamo che anche per questa ragione l’Italia è diventata negli anni ’80 il paese d’Europa con la maggiore disuguaglianza sociale).
Un secondo aspetto positivo è che siamo costretti (almeno in parte) a ricercare delle soddisfazioni ai nostri bisogni che non passano necessariamente per il mercato. La pubblicità è una forma moderna di magia nera e infiniti sono gli stratagemmi, valga per tutti la carta di credito che consente di comprare ogniqualvolta vediamo una cosa che ci piace, a differenza di un tempo quando bisognava pagare in monete contanti e sonanti. Queste forme moderne di pagamento sono certo più comode ma anche più costose (con la carta di credito si paga, come servizio, una percentuale sul prezzo della merce), ed accentuano la spinta consumistica: pensate solo all’effetto che ha sulle persone depresse in giro per la città (è noto che il consumo è una risposta di corto respiro, ma una risposta a quando siamo un po’ giù).
Secondo Maslow, il noto psicologo che ha elaborato la famosa scala dei bisogni, 5 sono gli stadi dei bisogni che possono essere soddisfatti e lo possono essere solo se ci compie di seguito tutta la scala. Dallo schema appare evidente che i bisogni più ricchi e che danno più gratificazione sono anche quelli più profondi che ciascuno di noi ha e che può scoprire solo se realizza al proprio interno un processo di ricerca e di individualizzazione che comporta più tempo e più impegno, ma meno soldi e meno consumi di quanto si creda. Per avviare questo processo la spinta consumistica è fuorviante e allunga il cammino per arrivare a dare una risposta soddisfacente ai bisogni più ricchi e profondi, che sono quelli di essere amato, di essere riconosciuto nella comunità in cui si vive o si opera ed infine di realizzare quegli aspetti che ci interessano più profondamente e che non siamo certi di poter sviluppare quando andremo in pensione.
Vorrei che fosse chiaro che non ho alcun atteggiamento fustigatorio nei confronti dei consumi, che sono per un gran tratto un aspetto anche liberante della vita, ma come essi, superata una certa soglia, possano diventare fuorvianti.
In tal senso la riduzione dei consumi può essere una spinta a ricercare una risposta a dei bisogni più profondi che non siano quelli di circondarci di merci che poi usiamo pochissimo.
Scala dei bisogni delle persone
1. Bisogni di sopravvivenza: mangiare, scaldarsi, vestirsi, dormire, ecc.
2. Bisogni di sicurezza: casa, lavoro
3. Bisogni di essere amati: affetto, amore
4. Bisogni di status di essere riconosciuti all’interno della comunità
5. Bisogni di autorealizzazione di realizzare le cose che sentiamo profondamente
Fonte: Maslow
Riflettevo sul fatto che fino a 30 anni fa anche nei paesi ricchi i lavoratori davano quasi 3 mila ore all’anno del proprio tempo per faticare nel lavoro e che solo da pochi anni si lavora sotto le 2 mila ore annue avendo in cambio (per esempio per l’Italia) l’equivalente di 6 volte le merci di 40 anni fa. È molto probabile che in futuro (tra 20-30 anni) si lavorerà solo 3 giorni alla settimana (o 30 ore), avendo in cambio il triplo delle merci attuali. Ma se questa è la inconfutabile tendenza storica appare evidente che sin d’ora conviene assegnare un grande rilievo alla soddisfazione di quei bisogni che non appartengono alla sfera del lavoro salariato e delle relazioni (pur importanti) sul lavoro, ma a ciò che sta fuori: amici, affetto, amore, proprie inclinazioni e hobby, convivialità senza potere, ricerca interiore, volontariato, ecc.
Auguri quindi di buon anno a tutti, in particolare a coloro che compiono 35, 38, 42, 49, 56 anni: sono momenti di svolta importanti, da non perdere.
Andrea Gandini, Ricercatore ISFEL (Istituto studi e formazione nel campo dell’economia e del lavoro)