Centralismo o pluralismo? Il cammino creativo della Comunità Ecclesiale di base
Nella ricerca di un mondo più pluralista e democratico, le CEBs rappresentano, nella chiesa cattolica, la strada che settori crescenti della società percorrono per passare dal centralismo autoritario del potere e delle organizzazioni burocratiche alle diramazioni flessibili della intercomunicazione e della diversità.
Crisi dei modelli sociali
Accanto allo Stato sono sorte organizzazioni non governative (ONGs) che in modo più flessibile ed attuale sono presenti nella trasformazione della società. I movimenti sociali, fino a poco tempo fa, erano considerati inferiori ai partiti politici, dal momento che non avevano la visione globale come questi e molti volevano che fossero subordinati e pure strumentalizzati dai partiti. Oggi noi ci domandiamo se il carattere parziale dei movimenti, lungi dall’essere un difetto, non possa essere un vantaggio, rendendoli più inventivi e meno rigidi. E c’è tutta una difesa dell’autonomia dei movimenti, per permettere che sviluppino meglio la loro creatività. Invece di legarli ad un’organizzazione centrale, dovrebbero comunicare tra loro per diramazioni, con articolazioni e rapporti flessibili. Non è un caso che si dia ogni volta di più attenzione ai movimenti sociali e che i nuovi movimenti alternativi (di donne, di ecologisti, di negri, ecc.) siano dei laboratori di intensa sperimentazione, forse più innovativi dei programmi e delle proposte ideologiche dei partiti.
Le piccole strutture della partecipazione
Inoltre come difesa a fronte dell’anonimato delle grandi città – quella che Riesman chiama la moltitudine solitaria – ed alla perdita delle identità originarie, la sensibilità post ’68 esige la creazione di piccole strutture di integrazione e solidarietà. La stessa parola solidarietà acquista un contenuto valoriale sempre più contagioso, accanto all’idea di partecipazione ed alla possibilità di iniziativa a partire da basi locali. Il “basismo” tanto criticato, viene riscoperto come vantaggioso rispetto alle proposte che giungono dall’alto. Così a livello della produzione, della organizzazione sociale e politica, della conoscenza scientifica e della nuova sensibilità, c’è una ricerca di decentramento, di diversificazione e di autonomia, che corrisponde ad una maggior partecipazione nelle decisioni, ad un’aspirazione alla democrazia e al pluralismo.
La nostalgia del gigantismo
Questo non vuol dire che le tendenze al centralismo stiano sparendo dal nostro orizzonte storico immediato. In alcune aree, al contrario, esse si rafforzano (vedi la concentrazione dei mezzi di comunicazione di massa). Quello che desidero indicare qui è che emerge con forza storica una tendenza nuova e promettente, che si scontra con la tendenza tradizionale al gigantismo. Richiamo l’attenzione ad un processo di lungo termine e fino ad un certo punto ancora indeterminato. Il futuro è ancora aperto e non ha un risultato già definito. Sta nelle nostre mani far tutto il possibile perché una tendenza superi l’altra. Penso che la tendenza al decentramento sia più in accordo con i progressi a livello delle forze produttive e, se ci sarà impegno, sforzo sociale e volontà politica, può essere che quella disegni lo scenario del mondo nel prossimo millennio.
La Chiesa Cattolica e le Comunità ecclesiali di base
Le trasformazioni dentro una istituzione socialmente importante come la Chiesa Cattolica non possono sottrarsi al processo che stiamo descrivendo.
Un buon esempio è la storia delle Comunità ecclesiali di Base, che sono sorte nelle ultime decadi un po’ per volta, nelle varie regioni del paese, in forma diversa e a partire da problemi specifici. Esse crebbero, nella varietà, senza ricette previste nei manuali, senza una struttura tradizionale, legate alla storia delle chiese locali. Abbiamo scoperto intanto l’attualità e la potenzialità di questo modo d’essere Chiesa e i rischi di un ritorno indietro, ai vecchi modelli di organizzazione e di struttura propri di un tempo antecedente la modernizzazione e il centralismo.
Breve panoramica storica
D’altronde, una rapida incursione nella storia della chiesa può essere illuminante. La organizzazione diocesana corrisponde ad una struttura feudale premoderna, di piccole unità territoriali quasi autosufficienti. Con il sorgere di stati-nazione, nella modernità, ci fu varie volte la tendenza alla creazione di chiese nazionali ( realismo in Francia, giuseppinismo in Austria, ecc.).
Infine oggi coesiste la diocesi locale articolata, per non dire subordinata con il centro che si trova in Roma. Più recentemente sono sorte le conferenze episcopali nazionali ed il Vaticano II ha introdotto l’idea della collegialità. Ma il processo di romanizzazione, alla fine del secolo XIX, fu il tentativo di adattare la Chiesa ai tempi moderni e centralizzatori.
Roma si modernizzò, con il rinnovamento della sua Curia, per diventare burocrazia internazionale di controllo. Attraverso nuove congregazioni religiose, si ebbe l’interferenza nelle pratiche della religiosità popolare ed uno sforzo di uniformare, a volte con violenza le devozioni e tradizioni locali. La stessa Azione Cattolica, iniziativa che parte da Roma, fu parte di questo processo centralizzatore e di modernizzazione.
Dopo il Vaticano II: il nuovo ed il vecchio
In questo senso, le CEBs sorgono nel nuovo clima post ’68, e potremmo dire dopo il Vaticano II, e rispondono a differenti situazioni locali, rurali ed urbane, preindustriali ed industriali, che vanno dal piccolo proprietario e dalle lavandaie dell’Acre, fino al piccolo agricoltore di Santa Catarina, all’operaio ed al sottoccupato della periferia di San Paolo, ecc.
Esse sono state più rispettose di questa diversità, permettendo che emergessero i problemi specifici di ciascuno, la sensibilità e la cultura particolari. La modernizzazione immediatamente posteriore al Vaticano II attaccò con frequenza la religiosità popolare. Gli stessi agenti di pastorale, formati in una cultura moderna e influenzati da ideologie politiche della sinistra tradizionale, pur moderna, molte volte ebbero la tendenza di portare dall’esterno e dall’alto le proprie soluzioni predeterminate, nel tentativo di essere avanguardie o “intellettuali organici” di un popolo che pensava senza una coscienza critica.
La crisi della modernità e del centralismo
Ma questo stesso popolo li ha coinvolti e formati, con la sua maniera di essere, i suoi valori, le sue celebrazioni e la sua diversità. E adesso che il mondo moderno entra in crisi, tanto nel nord industriale quanto nel sud che continua ad impoverirsi, questa diversità e queste radici locali sembrano molto più adatte sia al sud, che non è riuscito ad entrare con forza nel processo di industrializzazione e che deve scoprire nuove strade, sia ad una produzione postindustriale di punta, flessibile ed intercomunicativa che va espandendosi nel nord.
La crisi dei partiti tradizionali
Le organizzazioni politiche che abbiamo ricevuto dal secolo passato, i partiti, i movimenti e gli stessi sindacati, erano fortemente centralizzati, si sviluppavano attorno a programmi ben definiti, a strategie e tecniche prefissate e si prefiggevano come scopo di controllare lo stato per poi trasformare la società. La lotta per il potere consumava buona parte delle loro ambizioni.
Oggi abbiamo la coscienza che la crisi della civiltà è molto più profonda e che non si risolve solo con la conquista dei meccanismi di decisione, ma esige un processo di trasformazione a tutti i livelli della società. Quindi i movimenti sociali acquistano un rilievo particolare e resta chiara la necessità di preservare la loro autonomia e creatività davanti ai partiti politici ed ai programmi globali.
Il rigurgito della conservazione
Le CEBs, a livello ecclesiale, sono ugualmente movimenti di tipo sociale, tenuto conto la specificità della loro natura religiosa. Esse hanno un ruolo della massima importanza nel processo sociale multiforme e decentrato di trasformazione nella Chiesa e nella società.
Per quel che riguarda la Chiesa Cattolica, il centralismo fa parte oggi di movimenti di restaurazione come Opus Dei e Comunione e Liberazione. Nel Sinodo sui Laici, i Cardinali Martini e Lordscheider, di Milano e Fortaleza, hanno criticato questi movimenti, che molte volte hanno interrotto il cammino delle chiese locali.
Dalla logica di potere al rinnovamento
C’è, d’altronde, nello spazio restauratore, un tentativo di centralismo e di controllo, proprio dello sforzo della modernizzazione. Entrare in questa stessa logica, o collocare la strategia nella disputa sul potere ecclesiastico, è doppiamente equivocato.
In primo luogo, le forze della conservazione sono molto più forti a breve termine, in una congiuntura sfavorevole per le pastorali di rinnovamento. Ma oltre ciò, questa strategia non appare come la più efficace in un processo di maggior durata e di maggior profondità. Le trasformazioni più decisive si fanno all’interno della società, nella sperimentazione di nuove pratiche e di nuovi comportamenti e non a partire dalle strutture di potere. Le analisi di congiuntura che si limitano a riflettere sopra le strutture di decisione – sociale o ecclesiale – avviano discussioni limitate al potere, senza illuminare le piste più efficaci dei mutamenti nella base sociale. Anche in una situazione sfavorevole dal punto di vista delle relazioni di forza, pensate in funzione dell’accesso ai meccanismi decisionali, il processo di rinnovamento può essere molto più efficace quando concentra la sua attenzione alla rete di comunità che, con stili diversificati e flessibili, sperimentano nella pratica una nuova maniera di essere Chiesa.
Creatività del popolo di Dio: le comunità ecclesiali
In questo senso, il cammino (caminhada) può considerarsi, a medio termine, irreversibile. Esso non si propone superficialmente di sostituire un tipo di potere con un altro, ma di far sorgere in un processo forse molto lungo, nuove pratiche ecclesiali e un nuovo clima di vivere la fede.
La struttura ecclesiale che abbiamo davanti a noi, articolata attorno ai chierici e abbastanza autoritaria, è sorta lentamente, negli anni che precedettero il secondo millennio e si consolidò nella riforma gregoriana del secolo XI e nella controriforma del Concilio di Trento. Preparare la Chiesa del terzo millennio non è proporre un nuovo modello già confezionato, ma confidare nella creatività del popolo di Dio, attraverso molteplici sperimentazioni.
E in questo senso le CEBs possono essere estremamente feconde e aprire nuovi cammini. La maggior flessibilità e la diversità di esse, in una sperimentazione pluralista e partecipativa, stanno ben più d’accordo con i nuovi tempi di quanto lo siano le pratiche centralizzatrici, in lotta per il potere e di efficacia a breve termine. Sono adeguate alle nuove situazioni materiali e sociali (forze produttive, organizzazione sociale) e pure mentali (ricerca di nuovi modelli di spiegazione, nuova sensibilità).
Verso un mondo pluralista e democratico
In un paese che si giudicava arretrato davanti alle nazioni del nord, la meta della modernizzazione sembrava un ideale da raggiungere. Oggi essa mostra le sue carenze ed il suo esaurimento. Il mondo che abbiamo di fronte, più diversificato e democratico, non si iscrive in un modello uniforme, ma possibilmente si sta ricreando a partire dalla molteplicità delle situazioni, con molta inventiva e nel rispetto della pluralità delle opzioni. Nella misura in cui le CEBs si iscrivono in questo ordine, esse saranno più attuali di quanto si immaginasse e dimostrano una capacità di trasformazione, quello che in termini ecclesiali potremmo chiamare un fecondo potenziale di evangelizzazione.
Luiz Alberto Gomez
sociologo e ricercatore del Centro João XXIII
Articolo tratto dalla rivista Mutaìçoes Sociais, anno I – n. 1, luglio-settembre 1992.
Traduzione di Gaetano Farinelli.
Riporta solo una parte dell’articolo, che resta a disposizione presso la redazione di Madrugada