Alla ricerca dell’infanzia perduta

di Alves Rubem

L’amore si rivela attraverso gli occhi

Il suo nome era Janusz Korczak; era un educatore che amava i bambini. Polacco, aveva creato a Varsavia un orfanotrofio per accogliere i bambini abbandonati, di strada, figli di prostitute e orfani. Quando la Polonia fu invasa dai nazisti e prese inizio il programma di eliminazione dei giudei, Korczak e i suoi bambini furono passati per le camere a gas. Dicono le testimonianze che li preparò per la morte come se stessero entrando in una foresta misteriosa, perché i bambini non avessero paura.

Due dei suoi libri mi hanno commosso in maniera particolare, e io li ho amati prima di leggerli, solo per i titoli. Il titolo del primo è Come amare il bambino. E il titolo del secondo è Quando ridiventerò bambino. Il titolo del primo libro indica un’arte che non si trova nei programmi delle scuole di formazione dei professori: la pedagogia dell’amore.

Se io dovessi scrivere un libro sulla pedagogia dell’amore il primo capitolo sarebbe: «Lo sguardo del professore…». È necessario saper volgere lo sguardo a un bambino. È attraverso gli occhi che l’amore si rivela in prima istanza.

Gli occhi hanno un potere magico. Uno sguardo può tranquillizzare o spaventare anche se la bocca non pronuncia parola. La serenità stimola l’intelligenza. La paura paralizza l’intelligenza. Un bambino spaventato non può apprendere…

Le mamme sanno insegnare

Roland Barthes, altro educatore appassionato per i bambini, dava lezione a un pubblico erudito del collegio di Francia. In quella lezione egli spiegava come si imposta una lezione, anche se la lezione è per un corso di dottorato. La lezione si deve ispirare alla relazione che c’è tra la madre e suo figlio che gioca attorno a lei. «Che meravigliosi pedagoghi eravamo noi quando non ci preoccupavamo della pedagogia», diceva Pennac. Le mamme non si danno pensiero per la pedagogia. In verità, non sanno nulla in proposito. Ma sanno insegnare…

«Quando una bambina impara a camminare, la madre non sta ad analizzare e neppure a dimostrare: insegna a camminare… Lei la sostiene, l’incoraggia, la chiama, la incita e la protegge: una bambina cerca sua madre e la madre desidera che la bambina cammini…». «Mi piacerebbe poi che la parola e l’ascolto si intrecciassero qui (nella lezione) e fossero come l’andare e il venire di una bambina che gioca con sua madre, che si allontana, e poi torna per portarle un sassolino o un filo di lana, disegnando così, attorno a un centro sereno, tutta una sua area di gioco, all’interno della quale ilàsasso, la lana importano meno del dono carico d’amore e di zelo che prende spunto dagli oggetti».

Il flusso di relazione con il centro sereno che è l’occhio della madre verso la sua bambina, verso il suo bambino, intesse, allo stesso modo che fa il ragno, una rete, un tessuto di conoscenze e saperi…

Cosa viene per prima cosa? In primo luogo è necessario insegnare a vedere. Così la pensava Nietzsche. Ma io chiedo il permesso di fare una piccola correzione: «Il primo compito della educazione è re-insegnare a vedere». Re-insegnare perché vedere è quanto abbiamo fatto già quando eravamo bambini e che abbiamo perso nel tragitto della scuola. La scolarizzazione si realizza al costo di una serie di perdite imposte ai bambini perché, nello spazio vuoto che essi lasciano, si collochi l’essere dell’adulto.

Pinocchio alla rovescia

Uno dei libri che mi hanno dato maggior piacere quando ero bambino è stato Pinocchio. Ma quando sono diventato vecchio ho imparato a diffidare. Ho diffidato della sua pedagogia: i bambini nascono di legno ma, se saranno obbedienti ai loro genitori, se non diserteranno le lezioni e non si lasceranno sedurre dalle tentazioni delle arti, potranno trasformarsi in bambini in carne e ossa. Penso che l’opposto stia più vicino alla verità. Ho scritto pure un libretto cui ho dato il titolo di Pinocchio alla rovescia. Riguarda un bambino che è nato in carne e ossa, e che, al momento del diploma, stava trasformandosi in un computer.

Mi permetto di suggerire agli educatori e ai genitori di leggere il meraviglioso capitolo I sogni e le fantasie che tornano all’infanzia dal libro di Gaston Bachelard La poetica del capriccio della fantasia. Non conosco opera alcuna nella quale sia rappresentata con maggior bellezza l’anima del bambino. Vorrei qui citare alcune delle sue frasi che possono essere assaporate con piacere nella speranza che esse possano diventare l’inizio di una grande lettura.

«Un eccesso di infanzia è un germe di poesia. Il bambino sa che la luna, questo grande uccello biondo, custodisce il suo piccolo in qualche parte della foresta».

«È nell’ultimo quarto della vita che comprendiamo la solitudine del primo quarto, quando la solitudine dell’età avanzata riflette sulla solitudine dimenticata dell’infanzia». Forse questa è la spiegazione del fatto che i nonni comprendono più dei genitori i loro nipoti. I genitori vogliono amministrare la vita dei figli: «I bambini che giocano devono essere trasformati in adulti che lavorano». I nonni, dato che il tempo che loro rimane è poco, non intendono trasformare i nipoti in cosa alcuna. Essi desiderano solo goderseli…

«L’infanzia vede il mondo illustrato, il mondo coi suoi primi colori, i suoi colori veri». Oliver Sacks, neurologo, riferisce di un pittore che, dopo un incidente, si ridusse a vedere il mondo in bianco e nero. Forse questo a noi succede quando diventiamo adulti: cominciamo a dipingere l’arcobaleno con il colore della cenere…

«L’inquietudine che abbiamo per l’infanzia alimenta un coraggio invincibile…». L’inquietudine. Leggo questa parola lentamente. Mai avevo posto attenzione a essa! Non mi riesce di dormire. Mi giro e rigiro nel letto. Sono inquieto. C’è un bambino che dipende da me… Forse una dose di inquietudine per un bambino nel cuore di un professore può essere sufficiente a trasformarlo in educatore!

I greci dicevano che quando lo sguardo si incanta davanti al mondo, comincia a pensare. Lo sguardo dei bambini è uno sguardo incantato. Stanno vedendo il mondo per la prima volta.

Mariana

Era il compleanno della mia nipotina Mariana. Due anni. Sua madre, come ogni mamma, aveva preparato una festa con i palloncini colorati, le figure di Walt Disney e il dolce. Gli amichetti stavano riuniti allegri nella casa. Ma Mariana dove stava? Era sparita. Sono andato a cercarla. L’ho trovata seduta sull’erba bagnata dalla pioggia. La posizione del suo volto rivelava una grande concentrazione. C’era qualcosa che l’affascinava. Mi sono avvicinato. L’oggetto del suo fascino era un lombrico che era sbucato fuori dal terreno per non affogare. Per Mariana il verme era più affascinante dei palloncini colorati, delle figure di Walt Disney e della torta. Quelle cose le aveva viste già varie volte. Ma il lombrico, era la prima volta che lo stava vedendo…

Alberto Caeiro aveva il presentimento che sarebbe morto giovane. Se la cosa fosse avvenuta, egli scriveva ai suoi lettori perché sapessero che «non sono mai stato altro che un bambino che giocava…».

I poeti sanno che i bambini conoscono cose che noi non sappiamo. Ma nelle misura che crescono essi le dimenticano. Sarà l’educazione che farà questo?

Groddeck, un poeta che aveva scoperto la psicanalisi assieme a Freud, egli non aveva dubbi. Diceva senza spiegare: «L’obiettivo della vita è essere bambino». Così dicendo egli si separava da Freud che pensava che l’obiettivo della vita era quello di lasciarsi l’infanzia alle spalle…

Segue la saggezza millenaria di Tao TeChing: «Il saggio è timido e umile – il mondo non lo capisce. Egli si comporta come una piccola creatura».

Bernardo Soares, uno degli pseudonimi di Fernando Pessoa, è stato più duro. «Sì, a volte giudico, considerando la differenza orribile tra l’intelligenza dei bambini e la stupidità degli adulti, che noi siamo accompagnati nell’infanzia da un angelo custode, che ci presta la sua intelligenza astrale, e che poi, forse con pena, ma per una legge superiore, ci abbandona, come le madri degli animali abbandonano le loro creature cresciute…».

Infine di nuovo Korczak, rivolgendosi ai professori: «Voi dite: «Ci stanca il fatto di dover convivere con i bambini». E avete ragione. Voi dite ancora: «Ci stancano perché dobbiamo scendere al loro livello di comprensione». Scendere. Abbassarsi, inchinarsi, curvarsi. In questo voi errate. Non è questo che ci stanca, bensì il fatto di dovere elevarci fino a raggiungere il livello dei sentimenti dei bambini. Elevarci, salire, stare sulla punta dei piedi, tendere la mano. Per non fare loro male».

Infine, resta una domanda: non sarebbe opportuno creare una nuova pedagogia il cui obiettivo fosse il recupero dell’infanzia che abbiamo perso nel diventare adulti? Parafrasando Proust, l’emblema di questa nuova pedagogia dovrebbe essere Alla ricerca della infanzia perduta. Ferdinando Pessoa si rallegrerebbe perché ha scritto in una delle sue poesie che è necessario vivere «tenendo i bambini come nostri maestri e con gli occhi ricolmi, inondati dalla natura…».