La decisione è la mappa nel labirinto della complessità

di Tuggia Riccardo

«E noi che pensiamo la felicità
come un’ascesa,
ne avremmo l’emozione
quasi sconcertante
di quando, cosa ch’è felice, cade».
(R.M.Rilke)

Dove andremo? Cosa faremo? Che cosa ci capiterà domani? Questa forza originaria, senz’altro legittima, ci spinge a dimenticare spesso da dove veniamo: il tempo del passato si concentra, mentre il futuro e soprattutto il presente si dilatano a dismisura. Sono le piccole e grandi ansie quotidiane che ci strappano dalla nostra biografia e dalle nostre comunità, in favore di uno sguardo che, piuttosto che prospettico, si rende onnipotente, lamentoso ed esigentemente egoistico. Nella società della tecnica vengono enfatizzate le dimensioni quali la previsione e il controllo. Ogni nostro vissuto si concretizza più in un’agenda/ calendario che in una biografia e tutto ciò che non è sotteso a tali logiche viene percepito non tanto come sorpresa o dono, quanto come accidente, incidente se non addirittura complotto. Quando mi capita qualcosa di non previsto sono spesso portato a pensare che qualcuno ce l’abbia con me o che la sorte si stia ingiustamente accanendo contro i miei progetti… Cerco le novità spasmodicamente, ma non mi accorgo di ciò che effettivamente accade.

Nella rete della vita abitiamo tra la più angosciosa incertezza dei nostri tempi e la volontà di pianificare, ma oggi, più di ieri, educare alla scelta diventa fondamentale per crescere.

Decidere significa, primariamente, «uscire da noi stessi»: la decisione si alimenta da un bisogno, da una mancanza… forse per questo oggi non si decide volentieri, in una società in cui l’eccesso di opportunità paralizza perfino il sogno. Solo nella dimensione di questo decentramento si scopre che quando la scelta è stata compiuta è come se essa non fosse più solo nelle nostre mani; una decisione, laddove si concretizza, diventa un fatto pubblico e politico e ci ricorda che non tutto è in nostro potere.

Decidersi per stare nel complesso

Esistono molteplici modelli di decisione e per un’analisi più sofisticata dei processi cognitivi rimando alla lettura del testo di Rumiati, Giudizio e decisione (Il Mulino 1990); per una riflessione più strettamente educativa intendo sottolineare alcuni elementi:

il sé: ci si deve conoscere per decidere o, quantomeno, la decisione ti spinge drammaticamente a farlo. Ogni scelta compone o ricompone la nostra biografia: continuità e discontinuità, coerenza e tradimenti sono passaggi necessari di ogni vita;
la traiettoria: è la direzione della scelta, è la valutazione della direzione, la quantità delle nostre forze. Individuare una traiettoria significa anche fare i conti con i vincoli, gli attriti, le resistenze;
la progettazione: è la capacità di pensare e attuare un piano d’azione, facendosi carico della capacità di convivere con l’ambiguità e la complessità che abitano il nostro mondo, superando l’orizzonte spesso angusto dell’utilità soggettivamente attesa, di uno sguardo senza prospettiva.

Educare alla decisione presuppone oggi una percezione sofisticata delle sfumature, la consapevolezza della molteplicità delle prospettive, l’umiltà di muovere un passo senza la pretesa della definitività.

Il rischio della delega

Educare alla scelta significa attuare un’ermeneutica esistenziale come pratica quotidiana, tesa a interpretare segni e segnali, paure e invocazioni, sogni e progetti: il pericolo mortale oggi è quello di non scegliere mai o di lasciare che gli altri decidano per noi.

Riflettere sui processi decisionali ci porta comunque anche a farci carico della scelta mancata. Non si tratta tanto di quelle decisioni in progress che prendiamo lentamente in un approfondimento voluto e cercato, quanto piuttosto del fatto che il rifiuto è la non decisione (decido di non decidere), ed è spesso costitutivo di una mentalità chiusa, e di una scarsa responsabilità.

Il rinvio è così lo spostamento nel tempo della decisione (positivo perché aiuta a riflettere e per raccogliere informazioni utili, ma negativo se rispecchia un abdicare al compito). Nel passaggio di mano il soggetto lascia quindi la decisione ad altri e nella disattenzione non ci si accorge nemmeno della necessità di dovere scegliere.

La decisione può essere ardita o calcolata, crescente o ritardata, ma in ogni caso ci costruisce continuamente, perfino e anche nel rimpianto.

Quando decidere era una necessità vitale di sopravvivenza non si costruivano modelli teorici che comprendessero anche la «non scelta», quando invece la decisione vive nel limbo dell’imbarazzo o della stasi risulta urgente riscoprire la pedagogia della scelta.

Nell’epoca del navigatore satellitare può essere ancora vitale riscoprire la dimensione delle mappe, scrutate con trepidazione e provvisorietà; noi che pensavamo di costruire l’educazione come un’autostrada avremo la sensazione del labirinto, delle svolte e degli incroci, gli snodi che rendono autentico ogni istante del nostro viaggio.

Decidere non ci assolve dal guardare e dall’ascoltare: l’imprevisto non è ciò che si sottrae a ogni calcolo, ma ciò che accade.

Riccardo Tuggia
pedagogista e insegnante di filosofia
e scienze dell’educazione.
Si occupa di educazione degli adulti,
in particolare di formazione dei genitori.
tuggia.kairos@tin.it