Tra sicurezza e felicità
Scorrendo le pagine di Madrugada
Caro lettore, cara lettrice, trenta, quaranta, la pecora canta, cinquanta, cinquantuno, sei figlio di nessuno… e invece no.
La rivista al suo cinquantesimo gradino ha un padre, Macondo e ha una madre, Madrugada, perché si dilegua la notte e spunta il giorno. A colori l’ha voluta Francesco, che domani entra in sala di chirurgia: giallo, azzurro, verde e rosso come la passione, la speranza, lo slancio, il sentimento. Tra il bianco e il nero mi sposto, correndo in cerchio e tentando il volo.
E sbatto per forza centrifuga contro l’uomo con la barba, che tiene i capelli bianchi e una lunga lenza e pesca nel fiume controcorrente un’ampolla trasparente che recita: La liberazione dei deboli ha la precedenza sulla libertà dei forti ovvero delle condizioni primarie di un sentire libero. Ciao, Giuseppe.
Mi sciolgo da lui e sul limitare della scarpata quasi prendo il volo mentre scende dalle stelle il dottor Fabio Ciaramelli il quale, nel suo Il desiderio di sicurezza e gli scenari della paura, affrontando il rapporto tra sicurezza e felicità, afferma che la società attuale pone come obiettivo irrinunciabile la soddisfazione immediata del desiderio unito alla sicurezza; e, dunque, la soddisfazione totale, immediata, del desiderio individuale diviene un obiettivo sociale imprescindibile dalla prerogativa di una sicurezza assoluta, che però oggi sentiamo sempre più precaria: da qui un’angoscia collettiva.
Voi non ci crederete, ma ora volo sull’ippogrifo. Direte che è il caldo.
Mi serve una macchina aperta, che mi porti nella nuova abitazione del dottor Antonio Stivanello che, in Sicurezza e rapporti con gli altri, mi racconta come in ciascuno di noi ci sia un codice che proviene dal territorio e dalla storia individuale e abbiamo bisogno di trovare nel linguaggio dell’altro elementi comuni di comprensione. Ciascuno si fida delle sue esperienze precedenti e poco si fida del diverso, un mistero che suscita perplessità e paura.
Sulla porta di casa qualcuno suona, vogliono verificare l’abitabilità. Mi congedo e ti incontro sulla strada, per un raduno, Marco Baldini con un grande cartello che recita: Sicurezza e politiche sociali ovvero Del santissimo miracolo che fece santo Francesco quando convertì il ferocissimo lupo d’Agobbio. Accanto a lui un cieco mi spiega come la paura ha bisogno di trovare una rassicurazione in una soluzione politica che tenga comunque conto del lupo (l’ignoto, lo sconosciuto, lo straniero) e dei cittadini di Agobbio.
Al raduno incontro anche Ziad Elayyan, palestinese, che in Carceri: la lenta agonia di un mito. Inserimento sociale e tolleranza zero ricorda che il carcere, con la sua funzione punitiva e non educativa, è lo strumento di uno Stato che ha perso autorità, e supplisce allo sradicamento del cittadino con la coercizione, ma il carcere è anche il modo con cui ciascuno di noi rifiuta di guardarsi dentro, per non scoprire la zona di ombra che ci portiamo dentro.
Esco dal raduno e mi ritrovo con gli amici fedeli: dapprima Mario Bertin, che riprende la sua rubrica esodi, soffermandosi sulla figura di Charles de Foucauld, il piccolo fratello universale e sulla possibile, imminente sua beatificazione.
Si avvicina a noi il direttore Francesco Monini che ci porge il suo diario minimo, dal titolo Il rumore della risacca.
Ora mi sollevo leggermente e Giovanni Realdi mi accompagna con Un’angelo con le ali di cartone e introduce alcune riflessioni, elencando nomi vari di dio, di angeli e di uomini, tutti convergenti nella motivazione comune del prendersi cura dell’altro, che ci pone in essere.
Alessandro Bresolin, in Cassonetto napoletano, afferma che l’impegno della municipalità per la pulizia della città non è solo un obiettivo igienico, ma anche una lotta civile contro la malavita organizzata.
Segue la cronaca di Macondo e dintorni, di un osservatore distratto.
Conclude l’illustrazione delle immagini a colori di Adriano Boscato, nel commento tratto da un testo di Leo Beerot.