Risvegli d’assenza

di Serato Stefano

Stare al greve dono dei desideri

«La terra ha desiderio
d’altezza, di cielo».
[Erri De Luca]

Esilio

Ho abitato deserti, luoghi d’appello e d’invocazione. Ho dato parole goffe a scampoli di una viandanza troppo spesso costretta a impreviste battute d’arresto. Ho dato una flebile voce a solitudini e dolori abituati mio malgrado all’erranza fatta destino. Ho atteso cenni, soprattutto dal cielo. Ho raccolto solo tremendi silenzi. Il cielo tace, la rabbia prorompe in bestemmia e i pianti soffocati mi esplodono in petto.
Non mi rimane che un faticoso stato di esilio al quale in parte mi costringo per malcelato e rovinoso orgoglio di creatura caduta. In parte, solo in parte, perché il cielo ha le sue mancanze e io rivendico le mie.

La violenta grazia dei volti

Uomo. Humus, terra vivificata da soffio divino. Maschio e femmina li creò, a sua immagine.
È il paradosso del niente divino che siamo, polvere d’infinito.
Sono questi i versetti di Genesi che da mesi mi scavano il cranio. Per mia natura anche le parole che hanno la pretesa del sacro mi attraversano prima il cervello che la carne. Forse per questo sono meglio abituato al rassicurante della teodicea che al duro della saggezza. Eppure, mio malgrado, quelle parole mi violentano. Non ha i modi della tenerezza il sacro; vincola per destino agli incontri, alle facce, linguaggio divino che sfugge per timore.
I volti mi risvegliano desideri. Non sono mai riuscito a indurmi un desiderio, ne sono sempre stato sorpreso come da novità antiche. Novità antica è il desiderio di trascendenza che la morte giovane di Alberto mi ha agitato in ventre, inquietudine d’ignoto. Per sensazione di nausea diserto i templi e nei giorni di domenica frequento il cimitero ritrovandovi volti noti e meno noti, comunque cari. Il bianco e nero delle foto è la mia preghiera. Novità antica è il desiderio d’amare: un sogno di maggio si è fatto poi invadere d’occhi e mi ha accarezzato il cuore indurito da ferite trascorse. Gli affetti veri sono il pieno d’arte che un delicato lavoro di scalpello libera da ciò che chiude e illude e cade ai colpi della mano.
A fatica sostengo il peso d’assenza che il desiderio rinnova. Distimia la chiamano i tecnici dell’anima dall’occhio clinico. Se l’occhio non si meraviglia dell’evento del vedere, porta su ciò che vede la violenza di un sequestro. Se sono volti, soprattutto se sono volti, è profanare interiorità.

Rimediata promessa

In deserto si fa silenzio e s’attende. In esilio s’impreca e si spera.
Chi attende ha la grazia della leggerezza, ha il cuore sollevato come l’amante sulla soglia. Chi spera ha il corpo appesantito dalle assenze e rivendica promessa di pienezza: a sua immagine li creò
Rimedio estremo di temporanea leggerezza, la chimica dei nervi fornisce il minimo di contegno per continuare lo sforzo d’essere colto a sorpresa. Non so se questo è saggio. Dio tace.
Il mio silenzio si salda a quello divino e l’esilio si converte in esodo necessario. Sto in queste parole per esigenza d’impronta nel mentre del cammino.

La notte dei silenzi
di Roberta Gianesin

Il lento sospiro della notte
schiude l’uscio per l’eterno
verso una stellata tempesta di blu
che accoglie riso e pianto.
Silenzio.
Vani cicalare, rimprovero, invettiva,
denuncia, scherno, altera derisione.
Tutto inghiottito e smorzato al di là
di quel mare ancora brillante.
Ed ancora l’intenso blu, nonostante
il catramoso asfalto dell’imbroglio
e del tradimento a lui asceso.
Tutto è inghiottito e smorzato
da un’ovattata barriera che assorbe,
filtra risana.
Oltre l’esterrefatto silenzio del contraccolpo
oltre i notturni fuochi
solo voci di bimbi
il fruscio di un bacio tra i capelli
e poi il canto vibrante e bello del giusto
che accorda preghiere mai pronunciate
parole, sofferenze, emozioni
inespresse lacrime sospese.
Con amorosa violenza un signore
delle stelle squarcia e ribalta la
notte
in un’accecante luce.
Echeggiano ancora voci,
rimbombano silenzi,
resta vivo e vero solo
l’ascolto.