L’Occidente e le anime belle
Lo scandalo della guerra
Un supposto dualismo
Una formulazione curiosa, questa del titolo: Un Occidente, due Occidenti?.
Ma, a rifletterci un momento, mica poi tanto: i “due Occidenti” sarebbero – udite, udite! – l’Europa, da un lato, e gli Stati Uniti d’America, dall’altro. Figlia di Venere, l’una, e di Marte, gli altri, ha detto di recente qualche notista politico. Noi a fare l’amore, loro la guerra; noi terrestri, carichi di cultura e pacata saggezza; loro marziani, esaltati, alieni. Dico subito che è una (falsa) opposizione da radical chic europei, impotenti, supponenti e un po’ cialtroni.
E mentre fino a qualche anno fa il problema di tale supposto dualismo si risolveva in termini di snobismo europeo nei confronti degli USA e della cultura americana, oggi si pone invece come pensosa interrogazione perché c’è una pietra di inciampo inaggirabile, uno skàndalon: la guerra! Guerra che la pacifica e pacifista Europa (due guerre mondiali nel giro di 30 anni!) scopre nel DNA dell’America, nella sua rapacità, nel suo “imperialismo”, nel suo presidente “cow boy”, ecc. Gli intellettuali europei, salvo poche robuste voci di combattenti (Revel, Finkielkraut, Glucksmann, Ferrara), alzano il sopracciglio sarcastico, come di consueto, nei confronti della rozzezza americana, della “muscolarità” della sua politica estera, della volgarità degli “interessi” ecc. Non si continua forse a dire, senza pudore, che la guerra in Iraq si fa per il petrolio? Anzi, che anche quella in Afghanistan, a pensarci bene, è stata fatta per lo stesso motivo?
Ebbene, è ora di rispondere con chiarezza e anche al costo di una certa rozzezza. E, fra l’esiguità dello spazio e l’immensità del tema, occorre farlo per punti essenziali, per tesi.
Scontro di civiltà
La guerra c’è. E, piaccia o meno, sia o meno diplomaticamente opportuno dirlo apertis verbis, concerne la civiltà. Essa ci obbliga, sotto il maglio del terrorismo, a interrogarci sulla sua natura e le sue attuali condizioni. E pare che non a molti interessi difenderla, in Occidente. In questo senso è preciso parlare di “scontro di civiltà”: opporsi a quanto sostenuto con un decennio di anticipo da Samuel P. Huntington significa semplicemente non averlo letto (come ho spesso verificato di recente). Ed è bene che le anime belle della guerra si accorgano. Non è la rivolta delle masse povere, sfruttate dall’Occidente: la gran parte dei guai di quelle masse (che abitano in paesi ricchissimi) è venuta dai loro dittatori e da un abbandono precoce dell’Occidente travolto dal senso di colpa chiamato “decolonizzazione”. In Algeria, per fare un esempio, i poveri sono sgozzati (250.000!) da confratelli islamici, ma fondamentalisti; in Afghanistan gli affamatori erano i taliban; in Irak, Saddam Hussein, che spendeva il 60% del PIL in armamenti e il resto per garantire ai tikriti (la sua tribù) il controllo del paese e livelli di vita privilegiati. E anche i cosiddetti “paesi arabi moderati” altro non sono che dittature rette da varianti più presentabili del tribalismo, che hanno perso il treno della modernizzazione (problema generale della reazione islamica e jihadista).
Gli Stati Uniti, cuore dell’Occidente
La guerra non l’ha dichiarata l’America: è stata portata al cuore degli Stati Uniti per una lettura coerente, molto più coerente di quella dei grilli parlanti con le mani pulite, da parte dei jihadisti della posizione degli Stati Uniti in seno all’Occidente: perché gli Stati Uniti sono il cuore dell’Occidente. La cecità e l’infamia dei grilli parlanti, dopo i primi momenti di cordoglio rituale, è arrivata a sostenere che “se l’erano cercata” o, peggio, che gli attacchi a New York e al Pentagono erano stati organizzati dagli americani stessi, secondo il copione paranoico della desinformacija tipico dell’azione del KGB negli anni della Guerra Fredda.
La nostra mitologia della pace
La guerra è scandalo: non dà alternative (l’alternativa del “dibbattito” è per chi ha il culo al caldo). Lo skàndalon ci ha svegliato bruscamente, ricordandoci su che cosa riposa (è il caso di dirlo) la nostra pace, il nostro benessere, la nostra possibilità di fare “dibbattiti” e manifestazioni: l’irenismo delle colombe europee sta seduto da decenni sulle spalle dei contribuenti americani e delle migliaia e migliaia di soldati americani che difendono l’Occidente, anche quell’Occidente che, in piena legittimità democratica, li svillaneggia. Questo scandalo, in America molto avvertito, ci porta a interrogarci sulla nostra mitologia della pace: come ha ben mostrato la Spagna, la pace dev’essere qualcosa di diverso dal “lasciateci continuare a farci i c.i nostri”. “Pace”, nelle società europee, è l’altro nome dell’indifferenza e della delega a chi (per natura?) deve o può sporcarsi le mani così noi possiamo continuare ad attribuirci l’anima bella. Abbiamo la memoria corta: nessuno – tranne gli ebrei – ricorda lo “spirito di Monaco” (1938), quando le ondate di pacifismo consegnarono l’Europa e poi il mondo a Hitler.
Il fascismo del terzo millennio
Il movimento jihadista e il suo terrorismo sono il nuovo fascismo del terzo millennio: il terrorismo non ha giustificazione, di nessun tipo, e chi lo combatte (non solo lo condanna, eh?) appartiene al fronte dei costruttori di pace. Nessuno dice a chiare lettere che si tratta di progetto totalitario, di fascismo, e che fascista, anzi nazista era Saddam e il suo partito Baath; nessuno dice che il nazismo governa la Siria: il nazismo è ormai roba da commozioni periodiche (25 aprile, 1° maggio e feste resistenziali comandate) buono per rompere le palle ai bambini delle scuole, con le gite e i filmini e i disegnini sui “campi di concentramento”: e le fosse comuni in Iraq cos’erano? E le migliaia di curdi asfissiati? E il compare siriano cosa sta facendo? E il dirimpettaio iraniano, che sta correndo verso la bomba atomica? Ma si preferisce cullarsi sulle distinzioni fra Islam estremista e moderato, la guerra israelo-palestinese come causa bla bla, le condizioni economiche delle vaste masse islamiche come giustificazione del terrorismo ecc. Tutte cose che Bin Laden e la sua cricca sanno non essere vere, ma funzionare perfettamente per gli allocchi.
L’odio ha di mira il cristianesimo
Gli Stati Uniti d’America sono odiati dello stesso odio dagli Europei e dagli islamici jihadisti. E, curiosamente, allo stesso modo e da parte di entrambi lo sono anche gli ebrei, nonostante le distinzioni buoniste, “de sinistra”, fra “ebrei” e “Stato di Israele” o addirittura, “la politica di Sharon”. Non a caso gli ebrei, soprattutto quelli di sinistra, non sono affatto d’accordo su questa distinzione: ribadiscono, anzi, che oggi più che mai la forma dell’antisemitismo è l’avversione allo stato degli ebrei, Israele. E, da moltissimi segnali, si comincia a intravedere che, dietro a ciò, questo odio ha di mira il cristianesimo. Che ormai è sulla difensiva in tutto il pianeta (70 milioni di martiri cristiani passati sotto silenzio innanzitutto nelle chiese cristiane e cattoliche, si veda la denuncia di Socci).
Ricominciare a pensare
L’antioccidentalismo è un male dell’Occidente, di cui il jihadismo è figlio e alleato. Non va dimenticato che l’Islam (620 d.C.) è una reazione tardiva al cristianesimo, che tende per sua natura a soppiantare aggressivamente. E questo è vero dal 638 d.C. (presa di Gerusalemme da parte dei mussulmani) al 11 settembre 2001.
L’antioccidentalismo è inscritto nel DNA dell’occidente, se con questo termine si intende essenzialmente il pensiero della crisi e le realizzazioni pratiche di questo pensiero: l’ossessione occidentale è il suo stesso nichilismo e contro questo ha buon gioco la rinascita religiosa islamica che ne teme il contagio.
È occidentale in senso letterale: pensiero del tramonto, fino al tramonto del pensiero. Che cosa, fin dal suo affacciarsi, per l’Occidente non è “in crisi”? Si parla forse in Occidente di qualcosa – della politica, della famiglia, dell’economia, del pianeta – in termini che non siano di “crisi”? Si può dire che da quando è sorta la famiglia, essa è per definizione, per il pensiero occidentale, in crisi, per non dire della società e della politica. Se con l’Illuminismo il male era Dio e si credette di averlo ucciso, con l’ecologismo si è venuto a scoprire che il male del pianeta (personificato paganamente in un’entità chiamata “Gaia”), la causa della sua “crisi”, è l’uomo: l’uomo è il male da togliere, capite?!, l’uomo è quella perniciosa patina microbica, velenosa, annidata sulla superficie di questo splendido organismo, saggio, autoequilibrantesi, sensibile che si chiama Gaia, che vivrebbe molto meglio senza questo parassita. Siamo alla morte dell’uomo, che fa da sfondo impercettibile (perchè sempre travestito da buonismo) a ogni programma totalitario, che è sempre fondato sul bene, sul pulito, sull’ecologico. Si tratta di purificare il mondo. dall’uomo.
Come mai sono così poche le voci che si interrogano sull’odio di sé in cui sembra ormai consistere la cosiddetta cultura occidentale? Come mai sembra di percepire, ora che l’Occidente è davvero minacciato, perfino un certo segreto compiacimento, non si sa se più stupido o più esaltato dal cupio dissolvi? È la cosa più macroscopica e la meno vista: nessuna civiltà in questo pianeta ha mai sviluppato né mostra oggi questo tratto peculiare – l’autodenigrazione – che, invece, ci distingue. Strano no? E, per altro verso, nessuna civiltà ha mai sviluppato quell’universalismo in cui riposa tutto il bene e tutto il male dell’attuale “scontro di civiltà”: si conoscono per caso missionari mussulmani o buddisti o indù? E si ciancia allegramente di “imperialismo” o “egemonia” (concetti della retorica comunista, terzinternazionalista, il primo, e gramsciano il secondo!): è pigrizia, questa, e, insieme, il modo in cui si avverte senza poterlo negare quell’universalismo e la contraddizione che esso porta con sé, che è in tutti noi, che ne siamo figli. Che facciamo, ci chiudiamo nel nostro “particulare” e che si fottano tutti? Questo sarebbe egoismo, non sarebbe da occidentali, no? Ma se ce ne occupiamo, anche difendendo i nostri valori, anche difendendo i più deboli (sì, anche con le armi, o vogliamo un altro po’ di Ruanda o di Darfur?), siamo ancora una volta egoisti e per giunta imperialisti: troppo facile, troppo stupido, troppo intellettualmente pigro.
Mai come ora occorre ricominciare a pensare, mai come oggi il pensiero – com’è sempre stato nella tradizione occidentale, in particolare nella pressione della guerra – è l’arma fondamentale, quella che fa la differenza: non se ne può più degli schemi. Chissà che Bin Laden non possa più di tanti cattivi maestri.