L’altra verità
L’avventura poetica di Alda Merini
Nel n. 51 di Madrugada abbiamo presentato due scrittori, Turoldo e Testori, che hanno animato il dibattito culturale a Milano nella seconda metà del secolo passato, del quale hanno saputo interpretare le ansie e le lacerazioni, rivelando la realtà umana e sociale nascosta dietro la facciata piena di luci della crescita economica. Ci vorremmo occupare ora di una poetessa, che si è mossa nello stesso ambiente e nello stesso tempo, sia pure con passo più leggero e quasi intimidito, e che di quel contesto è stata protagonista più in qualità di vittima che di coscienza critica. Parlo di Alda Merini, amica di David Maria Turoldo e, come lui, cantatrice di una realtà proiettata dentro i vasti orizzonti dello spirito.
L’anima innamorata
Alla memoria di Turoldo, ancora di recente Alda Merini ha dedicato il suo libro L’anima innamorata (quattro edizioni in due anni), che nei due termini del titolo sembra racchiudere la sua intera visione della vita. Infatti l’esperienza che Alda Merini di continuo canta con infinite modulazioni è quella dell’innamoramento che deflagra spesso in una visione mistica, fino al colloquio con Dio. Perché, se l’infinito ha saputo raccogliersi in un corpo, nel corpo di Cristo – afferma Alda Merini – anche dal corpo si può sprigionare l’infinito. Nella sua poesia passione carnale e tensione religiosa convivono, come spesso avviene nel misticismo femminile occidentale. Perché, scrive, Cristo è venuto per «dimostrare la fusione della passione con l’evoluzione spirituale»; il cristianesimo è per lei «passione continua».
Alda Merini nasce a Milano «insieme alla primavera», come lei stessa ha scritto, il 21 marzo 1931 in una tranquilla famiglia borghese dove il «padre lavorava alle Assicurazioni Generali, la madre casalinga, un fratello minore e una sorella maggiore che compaiono qua e là nella speciale lucidità del suo teatro della mente» (M. Corti).
Da ragazza frequenta le scuole professionali e insieme si dà allo studio del pianoforte. La sua vita è povera di eventi particolari, salvo quello centrale di un ricovero lungo dieci anni in manicomio, che sarà costantemente presente con la sua ombra luminosa nel resto della sua esistenza e nella sua creazione poetica. E sarà proprio quest’ultima, alla fine, e scandire la prima, dandole figura e guidandone le scelte.
Diario di una diversa
È nel 1965 che la Merini viene internata al manicomio Paolo Pini, dove è indotta ad elaborare un nuovo rapporto umano tra il sapere e il sentire, a trovare la bellezza nell’umanità spogliata da tutto ciò di cui la rivestono i modelli di vita che si impongono al di là dei cancelli. Varrebbe qui la pena di riflettere sulla realtà che viene definita come «pazzia» e, per converso, su ciò che viene definito come «normalità», ma valga quanto Giorgio Manganelli meravigliosamente ha scritto come prefazione a L’altra verità. Diario di una diversa, stupendo commento della Merini alla propria esperienza manicomiale. «Nello spazio che gli uomini sentenziano “malato” – dice Manganelli – nulla accade che non sia apparizione, che non porti seco una dimensione enorme di bagliore. Questo libro, nato da una esperienza da cui non pare lecito salvarsi (.), ininterrottamente propone un disegno di gioia, una nitidezza amorosa. che sembra scegliere lo spazio infernale come luogo fatale della propria nascita e letizia,. quale è possibile solo nel luogo retto e posseduto dalle parole». Manganelli, in questo brano mette in luce il procedimento poetico che riguarda l’intera opera della Merini e l’intenzione che la anima.
La poesia come voce del corpo
La poesia di Alda Merini non nasce da esigenze estetiche, da riferimenti a scuole e a correnti letterarie. Nasce dentro l’esperienza esistenziale, storica. Per lei la letteratura è voce del corpo, perché corpo e anima fanno tutt’uno. (La carne degli angeli è il titolo del suo ultimo libro). Scrive:
«Si è fatta troppa confusione tra la mia poesia
e la mia vita, anzi direi tra la poesia e la malattia.
La poesia, semmai è la liberazione dal male,
come la preghiera è la liberazione dal peccato».
La scelta della poesia è per sopperire al dolore. È possibilità di riscatto. E, in questo senso, diventa ragione di vita. «Io vivo all’aperto dell’Anima» esclama.
Insomma, è come se il poeta vivesse due volte. Prima nella realtà, davanti ad altari vuoti, dove viene sconfitto, e poi nella proiezione fantastica creata dagli «agenti della divina follia», che rappresenta il luogo del suo riscatto.
Il nuovo Monte Sinai
Il manicomio, nuovo monte Sinai maledetto, è per la Merini rivelazione di una realtà più vasta che riguarda il rapporto tra gli umani e, in particolare, il rapporto tra uomo e donna che, a sua volta, è anche immagine del rapporto tra l’aspetto creatore, poetico e quello regolatore della vita, che convivono in ogni persona.
Riflettendo sulla sua personale esperienza, Alda Merini, afferma che la donna non trova mai nell’uomo una risposta corrispondente alla sua dedizione. Quando viene rifiutata, misura la sua sconfitta e diviene una «donna perduta». Ma questa realtà tragica può essere proiettata in una visione che conduce alla creazione poetica, dove a vincere è colui che prima sembrava il perdente-perduto.
Tale processo dà luogo a quella caratteristica tipica della poesia meriniana, che Maria Corti ha definito come la sua dimensione ossimorica, in cui convivono grazia e dolore, impulsi religiosi ed erotici, veemenza e dolcezza. Alda Merini vive, attraverso la sua poesia, di un continuo, inesausto innamoramento, fatto di tenerezza e follia, passione e castità. Esso è gemito, malattia, sogno, struggimento. È generosità totale fino alla dissipazione. La poesia diviene allora la sostanza della relazione e si confonde della vita.
C’è un fatto narrato da Maria Corti con cui mi sembra bello concludere. Al caffè-libreria Chimera, nell’area dei Navigli, agli amici e agli avventori del caffè Alda Merini offriva le sue poesie scritte su una vecchia macchina da scrivere priva di nastro. Le poesie, battute direttamente sulla carta carbone, si presentavano anche fisicamente come proiezioni di momenti di vita, che sola manteneva la natura di «originale».