La terra si è fatta amara
I figli si nutrono dei nostri veleni
«Bisogna camminare tanto
per raggiungere quello
che ci sta vicino».
[José Saramago]
«Cosa resta quando non resta più nulla?
Questo: che siamo umani
verso gli esseri umani,
che tra di noi rimanga
quel relazionarci
che ci rende uomini».
[Maurice Bellet]
Mesé Figueredo
Era un mago dell’arpa. Nelle pianure della Colombia non c’era festa senza di lui.
Perché la festa fosse tale, doveva esserci Mesé Figueredo, con le sue dita danzanti che rallegravano l’aria e facevano agitare le gambe.
Una notte, in un sentiero sperduto, lo assalirono dei banditi. Mesé Figueredo stava andando ad un matrimonio, a dorso di mulo: su un mulo lui, sull’altro l’arpa, quando alcuni banditi gli saltarono addosso e lo riempirono di botte.
Il giorno dopo qualcuno lo trovò.
Era per terra sulla strada, uno straccio sporco di sangue, più morto che vivo.
Ed allora quel rottame disse con un filo di voce: «Si sono portati via i muli». E aggiunse: «E si son portati via l’arpa». E prese fiato e si mise a ridere: «Ma non si sono portati via la musica» (da un racconto di E. Galeano, A testa in giù).
Passione civile e rigore analitico
Sono stato formato a coniugare la passione civile con il rigore analitico, la condivisione umana con il distacco metodologico, l’empatia con l’obiettività. Una sintesi delicata, difficile, dettata sempre da un profondo bisogno interiore: il bisogno di capire il mio tempo.
Sono convinto che capire come qualcosa succede, sia il solo modo di farci fronte, mentre il rifiuto di farsi una ragione degli avvenimenti è il solo modo di non venirne a capo.
Credo proprio che sia questa naturale capacità di osservare ed indagare i fatti, di smascherare i pregiudizi e luoghi comuni, di far parlare i dati prima di esprimere giudizi e prendere posizione, di comprendere prima di criticare, la cifra esistenziale, religiosa e politica della mia vita.
La mia seconda nascita è stata segnata dalla scoperta della sofferenza personale e collettiva, dall’impatto violento, duro, con il male che si è materializzato in tutta la sua crudeltà, ma anche dalla volontà tenace di non lasciarmi sopraffare, di capirlo, denunciarlo, combatterlo, esorcizzarlo con l’analisi teorica (psicologica, sociologica, storica), con l’impegno politico, con la scelta di farmi prete, schierandomi con gli “ultimi”.
Conflitto fra generazioni
Innervando la vita in questa prospettiva etica della comprensione e del superamento del male in tutte le sue forme, in questa ricerca di uno stato di grazia e di felicità, non posso sottrarmi oggi dal problema che puntualmente si ripropone: quello del conflitto o del dialogo fra generazioni.
«Voi adulti avete perso il vostro sapore e anche il vostro chiarore. Lasciate noi giovani insipidi e tenebrosi. Vi consiglio di nascondere la vostra inutile mole per evitare gli scandali.
Un giorno vi metteremo la macina da molino al collo per affogarvi».
Un giudizio terribile, quello di Paolo, un giovane di 22 anni, morto nel 1999, per overdose di eroina.
Certamente Paolo ci butta in faccia tutta la sua rabbia ed i suoi risentimenti. Quanti altri, però, tentano di dirci quello che pensano e non ce la fanno? Scriveva F. Kafka: «La vecchiaia è l’avvenire della giovinezza, la quale presto o tardi la dovrà raggiungere.
Perché dunque lottare? Per invecchiare più rapidamente?».
Il conflitto fra le generazioni è il più curioso di tutti: si svolge fra disertori attuali e futuri disertori di uno dei due campi, dal quale tutti partiamo e usciamo; tra reclute presenti e future dell’altro schieramento. Gli uni combattono il loro futuro, gli altri il loro passato. È una delle manifestazioni maggiori dell’umana follia, o semplicemente della nostra limitatezza? Sapessimo essere tutti un po’ più saggi e magnanimi, da reggere dalle due sponde un ponte di pace, su cui potesse scorrere il tempo della vita!
I mostri abitano tra noi
È in corso, in Europa e anche in Italia, una deformazione mostruosa dell’anima. I mostri abitano tra noi; quando il male esplode dentro le “nostre” villette color salmone e i “nostri” ragazzi passano con facilità dal telefonino al coltello, un’arma primitiva che resiste all’evoluzione della specie.
Anche ai tempi di Voltaire non si sapeva bene cosa fare per mettere insieme l’ottimismo del progresso ed il terremoto di Lisbona, e si decise perciò che era più conveniente per tutti nasconderlo.
Come possiamo oggi tentare di rimuovere il matricidio ed il fratricidio di Novi Ligure? confinandolo, magari, in un horror poliziesco, come se non ci riguardasse? Quelle coltellate perbene colpiscono in realtà la coscienza di noi occidentali, quelli che abitano nel nord del mondo.
Esse segnano una devianza, ma non ci sono estranee. Esse rivelano a noi stessi un altro mondo, che in realtà è figlio di questo mondo, del “nostro” mondo. Quei ragazzi sono anche nostri figli. Non occorre certo essere dei luminari della psiche giovanile per vedere che queste ferite non insanguinano solo le loro famiglie, ma i rapporti fra le generazioni, fra soggetti ed istituzioni, fra coscienze e tradizioni.
Un tessuto è lacerato profondamente.
Delle rotture si stanno consumando nella continuità dei valori di fondo, per le quali non disponiamo di criteri di comprensione sufficienti.
Sappiamo bene che la nostra società occidentale non ha perduto la memoria attiva dei valori generati dall’ispirazione cristiana, oppure da quelli ispirati dalla laicità, non ha perduto la memoria della dignità umana, della solidarietà o della preferenza per i deboli, per i poveri.
Ma le cose non sono così scontate.
Dal grembo stesso della sua progenie escono frutti maligni e pervertiti, dei veri mostri, che divorano i suoi figli o ne uccidono la loro stessa anima. La coppia di Novi Ligure, come tanti altri ragazzi, ha mangiato quei frutti avvelenati ed è rimasta intossicata.
La libertà corrotta in liberalismo
L’idea della libertà corrotta in liberalismo esasperato, l’idea di persona in individualismo distruttivo, l’accoglienza dell’Altro, rovesciata in rifiuto, la solidarietà negata, le correnti razziste e xenofobe di una destra insepolta, che propaga i suoi miasmi dai cadaveri di due guerre mondiali, il primato del denaro e delle cose sull’interesse della persona, l’interesse individuale sull’interesse collettivo, le pressioni del “pensiero unico”: i mostri sono tra noi. Essi danno corpo, con la potenza irresistibile dei media, ad un processo totalitario che sega sotto i nostri occhi, resi ciechi, stupidi e perfino allegri dal consumismo, il ramo sul quale stiamo seduti.
Ciò che mi appare è la realtà di un Occidente interiormente dissociato e che si sta separando da se stesso.
Quando parliamo di figli mostruosi dell’Occidente, parliamo di una degenerazione della sua forma, di un abbassamento della sua identità: siamo all’Occidente deformato e deforme, si tratti di coltellate in famiglia, ma anche di uranio impoverito, di mucca pazza o di informazione deformata dalla menzogna.
Come potremmo inorridire dei coltelli casalinghi e meno delle bombe occidentali, cioè nostre, che hanno squarciato i Balcani e continuano ad uccidere in Iraq? Cosa dire della violenza economica che produciamo in Africa? Non siamo anche noi fratricidi? Non stiamo spargendo sangue e facendo vuoto?
Invasi da detriti linguistici
Tutto viene messo in atto per ricreare un essere decurtato della sua coscienza e di qualsiasi spiritualità, manipolato nella sua memoria, plasmato dallo zapping televisivo, concentrato sul proprio io, invaso da detriti linguistici, da comportamenti preoccupati quasi solo della cosmesi, dell’apparenza, di avere soldi e sesso da spendere, con una vita senza senso, senza simboli.
Non è questo, in fondo, il ritratto di una generazione che si sbarazza a coltellate dei padri e delle madri, e che vive un’esistenza quasi totalmente segreta, cioè sottratta alle norme? Eppure continuiamo a conclamare i valori della sacra famiglia, come se altri poteri non la destabilizzassero dall’interno, all’apparenza incontenibili ed inodori, come l’ossido di carbonio.
Con tutto questo, ritengo che non dobbiamo rassegnarci passivamente al collasso dello spirito dell’Occidente e alla riduzione della democrazia ad una finzione. Forse l’Occidente potrà ritrovare un giorno l’equilibrio tra verità e potere e riconciliarsi con se stesso, gettando una sonda sui giacimenti più profondi della sua memoria. O forse è più saggio prevedere che i valori della sua eredità troveranno altrove la terra, più adatta della nostra, divenuta troppo arida, dove reincarnarsi e riprodursi sotto altra forma?
La libertà non è una concessione, ma una conquista
Solo un coerente discorso e una pratica della libertà può far breccia sulla cultura giovanile attuale. In effetti, non è stato un gruppuscolo di discepoli a spingere l’utopia cristiana fuori dalla forma giudaizzante? «La libertà non è una concessione, ma una conquista» diceva Kropotkin. Va perciò esercitata. Non può sedersi ad aspettare… ed è un po’ la caratteristica dei nostri giorni: «La libertà è qualcosa che va difeso dal governo, dalla polizia». No, la libertà è qualcosa che va difeso soprattutto e personalmente da ognuno di noi. Va conquistata.
Nessuno fa di noi un uomo libero, se non lo siamo e non vogliamo esserlo.
È ovvio che ognuno deve lottare perché il governo difenda la nostra libertà, ma non può aspettare che piova dal cielo. Si può vivere in una società più che libera ed essere schiavi dei propri rancori e delle proprie paure.
Alcuni amici critici, che sono gli amici migliori (i meno amici tacciono, usano la tattica del muro di gomma) ci dicono che dovremmo dare più segni di speranza, insieme alla critica. Hanno ragione. Che dire? Se non avessimo speranza, non avremmo preso questo impegno. Ma è vero che la speranza va coltivata, sostenuta ed espressa. Diceva David M. Turoldo che la speranza sta in fondo alla disperazione: cioè sorge dopo la distruzione di tutti gli idoli consolanti che sono le illusioni e gli inganni. Lavoro assai duro e lungo il nostro, ma è un lavoro mosso dalla speranza.
Spesso abbiamo l’impressione di remare controcorrente, in un mare di tempesta, ma, senza accorgercene, ci troviamo dentro il canale della storia.
Prendendoci gioco della serietà di banchieri, di impresari, di pensatori e di pastori del popolo, laici e religiosi, siamo convinti di avere fra le mani il timone della Terra… stiamo marciando coi piccoli.
Pove del Grappa, maggio 2001