La strada ferrata del bene e del male
Il titolo che dà il nome a questa pagina è indebitamente sottratto ad Erri De Luca. È il nome che lo scrittore aveva pensato per una rubrica poi diversamente apparsa su di un quotidiano nazionale. Fedele alle sue intuizioni, Erri lo ha mantenuto per la raccolta di quegli articoli, edita anni fa da una piccola ma arrabbiata casa editrice marchigiana.
Ne recupero il suggerimento e tento, autorizzato dalla redazione di Madrugada, di saccheggiare il quotidiano, alla ricerca di qualche incontro. Un tentativo di cercare nell’ovvio, di rumare nella normalità, di ascoltarne le voci estranee.
Tra due esseri umani è infinito il grado di premure che possono offrirsi incontrandosi al piano terra di un marciapiede.
[Erri De Luca, Pianoterra, Quodlibet, Macerata 1995, p. 9]
Gaudeamus igitur?
Sabato 9 novembre. Mi accendo la pipa dall’angolo della piazza. Si incrociano due occasioni: da un lato i goliardi con i loro mantelli, dall’altro alcune donne con le bandiere della pace. Sono di stoffa diversa. Come ogni anno, in prossimità dell’otto novembre, per (non) ricordare la ribellione degli studenti dell’Ateneo patavino ai soldati austro-ungarici, gli ordini della Goliardia di Padova, capitanati dal Tribuno, organizzano bisbocce e bevute, in giro per la città, a sfottere le liceali che passeggiano sul Liston. Le cappe e i tabarri colorati, ornati dagli stemmi araldici, e le feluche grondanti di pendagli passano con l’occhio spento del buon vino accanto allo sparuto gruppo di persone che si è data appuntamento in piazza per la pace.
Obiettivo era quello di costruire una catena umana, un serpente di mani, per affermare, insieme a chi è andato a Firenze, l’incondizionata scelta della non-violenza per risolvere le controversie internazionali. E oltre.
La pace è solo quella internazionale? Un clochard, un barbone, adocchia, al manubrio della bici di una delle manifestanti, un bel sacchetto rosso, di plastica resistente. Ottimo per sostituire quello di carta che lo accompagna. Si avvicina, lo svuota e lo prende con sé. La scena è però registrata anche dalla proprietaria che, lasciata la catena, raggiunge il senzacasa. E adesso? Mi dico. Non si parlano: si guardano; la signora fruga nel sacchetto "rubato" e recupera il cappello del figlio, rimasto in fondo. Poi si lasciano. In pace.
Un sacchetto – si dirà – era solo un sacchetto. Mi chiedo quante persone, nella stessa situazione, avrebbero fatto del solo sacchetto l’occasione per sputar via tutto il disagio e la sofferenza che nella pancia ci creano le persone che stanno fuori, che non si adeguano, che sbandano.
Tra bufalo e locomotiva
La differenza salta agli occhi:
la locomotiva ha la strada segnata
il bufalo può scartare di lato e cadere.
[Francesco De Gregori, Buffalo Bill].
Rotaie
Il cosiddetto pensiero unico, l’appiattimento del sentire comune sul già detto, sul si dice, sul ragionevole buon senso dei più è realmente una cosa voluta, cercata e progettata da un ombroso Padrone che osserva il mondo come Cristof in The Truman Show? O non è piuttosto un nome che diamo al ritrarsi personale in cui ciascun uomo e ciascuna donna possono incorrere di fronte alla mancanza di strumenti sufficienti per capire il mondo? Più che un fatto, un dato positivo, mi sembra il risultato di un’assenza. Affidare la responsabilità del male a qualcuno, tirando in ballo il mistero, e individuare, a seconda dei casi, in George W. Bush o in Osama Bin Laden, nella globalizzazione o nel movimento, nel governo o nei girotondi, in Berlusconi o in Gino Strada, il Salvatore o il Nemico Pubblico Numero Uno, è operazione che facciamo – o che ci troviamo ad aver fatta – per poter dare un senso al reale e non lasciarci addosso le paure.
E pensavo, dondolato dal vagone,
cara amica il tempo prende e il tempo dà
noi corriamo sempre in una direzione
ma qual sia che senso abbia chi lo sa.
[Francesco Guccini, Incontro].
La soluzione unica, la strada ferrata del bene e del male, si fa sistema: si amplia, escogita nuovi linguaggi, elabora una dottrina e si dà una memoria storica e culturale, si amplifica con soluzioni e ipotesi ad hoc e diviene dogma. A questo punto decide chi sta dentro e chi sta fuori.
Bufali
I commenti del dopo Firenze rimbalzano tra sollievo e interrogativi. L’universo multiforme di quello che chiamano il movimento somiglia ad un mostro policefalo, un contenitore colorato che ospita di tutto: la vernice rossa dei disobbedienti, i tentativi dei gruppi di affinità, l’utopia dei non-violenti, la quotidianità degli operatori sociali, la memoria dolorosa dei missionari, i preti-coraggio, le kefiah, le bandiere di Che Guevara e dell’ENLZ, i consumatori critici, i bilanci di giustizia, l’equo-solidale, i girotondini e gli operai in sciopero, i comunisti, i leninisti, i cattolici di sinistra, i registi, i lillipuziani, i macondini, il formicaio dell’associazionismo e delle cooperative, gli extracomunitari…
Qual è la strada giusta, la via migliore? C’è qualcosa che unisce al di là dell’esser-contro?
Seconda classe
Linea Venezia-Padova. Pomeriggio umido di novembre. La città lagunare era sospesa tra il sole di San Martino e la nebbia che l’inverno reclama. Torno con un gruppo di amici, dopo aver sbrigato alcune formalità per la scuola. Mi trovo seduto davanti ad una persona conosciuta in un’altra occasione: pochi dati di entrambi ci accomunano, e la voglia di chiacchierare. Mi racconta di un furto subìto, di una casa rivoltata come un calzino, di un’auto trafugata e poi sfasciata: il ladro non ha resistito alla vista di una bella bottiglia di rosso e ha posto fine al colpo del secolo a pochi chilometri dal centro. Due le linee di pensiero, le rotaie, che il dirimpettaio ferroviario cercava di spiegarmi, a margine del fatto che il furfante si trova già in libertà. La prima: che io, che sono cittadino italiano, che pago le tasse e obbedisco ai doveri, non ho alcuna difesa contro questi, che vengono in Italia, non sono cittadini, non hanno alcun dovere, ma si ritrovano tutti i diritti. La seconda: che i magistrati per questi casi non fanno nulla, se la sbrigano con poco perché in realtà aspettano il pezzo grosso da incastrare, per leggere il proprio nome sui giornali.
Ad arginare la sua enorme delusione non ho avuto la risposta pronta. C’è quella che superficialmente potremmo chiamare una profonda esigenza di giustizia. E invece è solo una richiesta di ordine. Se è vero che non c’è pace senza giustizia e che non c’è giustizia senza perdono (e forse, per chi arriva sulle coste italiane, non c’è perdono senza pane) mi chiedo se il primo passo per la pace non sia davvero quello di disarmare le nostre categorie, di scendere dalle rotaie.
Chi e cosa sono questi? Chi e cosa sono i magistrati? Che cosa coprono quelle enormi bandiere che sono i nomi e che siamo pronti a sventolare quando sono le nostre viscere a chiedere tregua?
Così, quando Dio distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece fuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato [Genesi 19,29].