La parola che diventa profezia
Turoldo e Testori: due lottatori nella Milano del boom
L’uso di celebrare le ricorrenze e gli anniversari ci ha riproposto recentemente due figure che, da diversi versanti, hanno animato il dibattito culturale nella Milano degli anni Sessanta, gli anni del boom economico, e nel periodo successivo, mettendone in luce, sotto l’ubriacatura del benessere, l’inquietudine esistenziale: David Maria Turoldo e Giovanni Testori. Turoldo, friulano, figlio di contadini, prete servita, arrivò a Milano nel 1943, dove avviò la notissima "Corsia dei Servi". A Milano ("mia ferita città", "mia povera patria") fece sempre riferimento, salvo per una breve parentesi a Firenze e a Nomadelfia. Nella periferia milanese, invece, era nato, da una famiglia agiata, Giovanni Testori. A Milano passò la vita intera, cantandone i "misteri", come Eugène Sue aveva scritto su quelli di Parigi. Ma i "segreti" di Milano sono ristretti all’ambito periferico della Ghisolfa, di Villapizzone, di Vialba ecc.
Turoldo e Testori appartenevano alla stessa generazione segnata dalla guerra. Erano nati rispettivamente nel 1916 e nel 1923. Furono ambedue poeti. Turoldo ha predicato l’avvento dell’umano attraverso l’incarnazione del Verbo. Testori ha narrato le tragedie del vivere nel tormento della carne che cerca di farsi verbo, senza riuscirci.
L’assillo religioso
In questo doppio movimento è racchiuso il loro assillo religioso. La proposta religiosa di Turoldo è una proposta evangelica. Essa gravita tutta attorno a un Dio considerato come il postulato della grandezza, della forza e della bellezza dell’uomo. Un Dio che si muove verso l’uomo, che cerca l’uomo per garantirgli libertà e dignità, proponendosi come suo destino.
Il Dio di Turoldo non è un Dio che vuole imporre la sua forza. Per questo «viene di notte ed in luogo inatteso, in grande silenzio». Dio è nella storia ed è nell’uomo. Mette in crisi la storia e rende inquieto l’uomo. Liberando l’uomo da ogni condizionamento disumano, lo salva. Dio non lo si può vedere da nessuna parte, se non nel volto dell’uomo.
Tutta la storia può essere letta come una grande, ininterrotta fatica di realizzare l’umanità dell’uomo. Ma l’uomo non può essere uomo se non cerca di realizzare l’umanità prefigurata nel Cristo, Verbo incarnato. "La sola umanità possibile, la sola degna di chiamarsi tale". "Una umanità che è il programma misterioso in atto in ogni parte del mondo", della quale però nessuna religione possiede il monopolio. Cristo è il Signore della Storia; e perciò trascende ogni cultura. Per il peccato dell’uomo, anche Dio può diventare fattore di divisione, di oppressione, di furore. Cristo, secondo Turoldo, ci consente invece di superare ogni integralismo religioso.
Anche per Testori, superato l’impatto quasi traumatico della preghiera che si fa bestemmia e della bestemmia che si fa preghiera, l’assillo religioso che pervade la sua opera non può essere considerato epidermico, superficiale o pretestuoso. È sporco di sangue e diventa spesso un urlo.
La crocifissione, cui Testori dedica un’ampia composizione poetica verso la metà degli anni Sessanta, è posta al centro della tensione tra individuo e società, tra passione e tecnica.
Quando parla di "passione", nei suoi molteplici significati, Testori pensa alla dimensione intima, carnale del sesso e quando parla di società vuole indicare la schiavitù collettiva al carro del progresso economico e tecnologico.
Questa tensione si risolve nell’aspirazione (insoddisfatta) ad un erotismo misticheggiante, nel quale l’esperienza amorosa assume valore totalizzante, fino a diventare ricerca dell’esperienza dell’assoluto:
Baciami ancora,
baciami con più gioia,
baciami finito ed infinito,
baciami infinitamente
e che si baci il mondo
nella pace dei martiri e dei santi,
nell’ansie,
nelle lotte crudeli, sanguinanti,
ma pure giuste,
necessarie, sante
nel riso dei miseri dolenti
e in quello più puro e sereno
dei dementi,
che si baci legandosi al tuo cuore
come un solo immenso ed infinito
caro amore.
(Per sempre)
La poesia di Turoldo, ha detto Ungaretti, "scaturisce da maceramento per l’assenza – presenza dell’Eterno, presenza in tortura di desiderio, assenza poiché dall’Eterno ci separa l’effimero nostro terreno, al quale tiene tanto la nostra stoltezza".
Di macerazione si può parlare anche in Testori, nel senso che egli si sente sopraffatto dalla fatiscenza del mondo e incapace di risolvere la tensione tra amore e morte, di arrestare la continua ricaduta nel proprio fango costitutivo, tenebroso e cieco.
La parola che va "oltre"
Per Turoldo e per Testori, la scrittura è contrassegnata da un’ansia quasi febbrile di dire, di "verbalizzare" (Testori) una realtà irraggiungibile, che per il primo è il Dio "respirato con il vento", amato nella poesia delle Sacre Scritture, e che per il secondo è invece lo stesso significato del vivere.
In questo senso, la parola non può essere soltanto – e soprattutto – l’espressione dell’attività della mente. Non basta. E perciò in Turoldo la parola cerca di riaccendere il respiro dell’emozione, di farsi presagio, simbolo d’altro, parola profetica. Ma si scontra contro la sua intrinseca inadeguatezza. E allora Turoldo si arrende al mistero, accoglie l’indicibile come luce della mente e del cuore, come silenzio. Si leggano i suoi ultimi scritti (Nel lucido buio) per cogliere la sublime profondità di una visione che assume dentro di sé il dramma terribile della morte, che sa essere imminente. Dice: «Viviamo insieme il dramma, Signore». E ancora: «Dio non è una risposta, è la Domanda».
Per Testori, all’opposto, l’impossibilità di "verbalizzare" il "grumo" dell’esistenza, si traduce in una allucinata coscienza della portata tragica della vicenda umana, di cui il cristianesimo (nel quale Testori era radicato per la sua stessa educazione) è la più disperata rappresentazione. Testori rifiuta il carattere "obiettivo" e "letterario" della parola. La parola testoriana tenta di esprimere la pulsione emozionale, la volontà di andare oltre, di spaccare la crosta dell’io. Sarà «una parola masturbata, una parola infangata».
Il Dio di Testori è il Cristo crocifisso, incombente, ma incomprensibile, un Uomo che non si fa Verbo:
Ti ho amato con pietà,
con furia ti ho adorato.
T’ho violato, sconciato,
bestemmiato.
Tutto puoi dire di me
Tranne che t’ho esiliato.
(Nel tuo sangue)
Turoldo e Testori: due voci di anni intensi della storia culturale di una città e di tutto il nostro paese. Due uomini che, assillati dalla stessa urgenza, finirono per trovarsi schierati su fronti opposti. Turoldo, per sua scelta consapevole, fu sensibile al mutamento sociale e ai nuovi movimenti culturali; Testori, quasi per una fatalità, fu accolto come voce critica dalla "destra" politica.