La gestione dei conflitti

di Ripamonti Ennio

Una competenza delle relazioni

È difficile riflettere sul tema del conflitto evitando di slittare verso due opposte ( e frequenti) derive: la sua "demonizzazione" da un lato e la sua "normalizzazione" dall’altro. Far identificare il conflitto con il male assoluto impedisce di scorgervi gli aspetti generativi e positivi. Sul lato opposto il piegarsi alla ineluttabilità di ogni conflitto può indicare la supina accettazione delle logiche del potere e della forza dietro cui si scorge l’insorgere della violenza.
Nella sua essenza più intima il conflitto è uno scontro tra forze opposte (idee, interessi, capacità, desideri o bisogni) che si tendono ad annullare reciprocamente o che non possono essere soddisfatte contemporaneamente.
Definito in questi termini il conflitto è un fenomeno ricorrente e fisiologico nelle relazioni sociali.
Sebbene con frequenze e intensità differenti l’emergere di conflitti è quindi osservabile nelle relazioni fra persone che condividono qualcosa: un’appartenenza, un lavoro, un progetto, un’ideale. Questo fatto non deve, di per sé, allarmare o spaventare.
Non è una anomalia di cui preoccuparsi quanto una normalità di cui occuparsi.

Le due facce del conflitto

La situazione conflittuale è un fenomeno vitale nell’esperienza esistenziale degli esseri umani. Visto da questa angolatura la dimensione conflittuale porta con sé la "potenzialità del cambiamento": lo stato germinale di una nuova idea (in contrasto con le vecchie idee), lo stimolo creativo di una nuova soluzione ai problemi (in alternativa con le ipotesi provate) o la fase rinnovatrice di un’inedita appartenenza (incompatibile con l’assetto del momento).
L’emergere dei conflitti nelle relazioni può aiutare a chiarire i motivi di una crisi; ridefinire il senso e le regole dello stare insieme; svelare quello che in realtà ciascuno si aspetta dagli altri e che fino ad ora non era stato detto e altro ancora.
La presenza di una certa dose di conflittualità può addirittura essere visto come un segnale del livello di maturità e di profondità di una relazione umana. In un gruppo, ad esempio, i conflitti, tendono ad emergere quando si sono sviluppate delle relazioni sufficientemente "forti", quando, cioè, ciascuno sente di aver bisogno degli altri per realizzare gli scopi e le persone hanno trovato un equilibrio significativo nel loro stare insieme.
Tutto questo non significa che il conflitto è solo positivo (come non è solo negativo). Ogni processo conflittuale ha dei costi, a volte molto alti, sia per le singole persone che vi sono coinvolte che per l’organizzazione in cui si manifestano.
Il conflitto porta con sé un’ineludibile dimensione di dolore e di distruzione.
Spesso nelle situazioni conflittuali si profila la necessità di una decisione (continuare o meno in una relazione, prolungare o meno un impegno, accettare o no delle condizioni, rinunciare o no a un progetto), una dimensione che ha molto a che fare con la morte.
Qualcosa deve morire per dare vita a una nuova possibilità.

La vera questione

La vera questione non sta quindi nel cercare o meno i conflitti (spesso sono loro che trovano noi senza che li cerchiamo) o essere d’accordo o meno sulla loro esistenza, ma nel ricercare e costruire le capacità di gestirli in modo non violento.
A ognuno di noi è capitato di essere sorpreso di fronte a un conflitto o di provare sentimenti di disorientamento, se non di angoscia.
Il senso di spaesamento che molti conflitti determinano mettono a dura prova la nostra capacità relazionale, i nostri affetti, i nostri valori di riferimento.
La paura del cambiamento, dovuta al fatto che il "nuovo" è incerto e sconosciuto, può bloccare la nostra capacità di decidere, fino a quando i costi diventano insopportabili.
Alcuni conflitti vengono affrontati solo quando "non se ne può più fare a meno".
Un contesto relazionale particolarmente incandescente dal punto di vista dei conflitti è il piccolo gruppo.
A livello micro-sociale nei gruppi abbiamo infatti l’opportunità di osservare e sperimentare il manifestarsi di conflitti. I gruppi sono inoltre uno dei luoghi più interessanti per sviluppare una cultura non-violenta nella elaborazione e gestione dei conflitti stessi.
In particolare sono rintracciabili due tipologie conflittuali ricorrenti: i "conflitti di interesse" e i "conflitti di idee":

Conflitto di interesse

I conflitti di interesse (visti in termini psicosociali e non legali) sorgono quando alcuni membri di un gruppo vogliono svolgere attività che sono in contrasto e incompatibili con i desideri di un’altra parte del gruppo stesso.
Le azioni degli uni bloccano e rendono meno efficaci quelle degli altri. Si tratta di un fenomeno che sorge con maggiore frequenza quando ci sono differenze profonde sul piano dei bisogni, dei valori, e degli ideali di riferimento.
Altre cause scatenanti sono la scarsità delle risorse (denaro, tempo, spazio, potere) o l’alto grado di competizione e rivalità tra i componenti. La gestione di questo tipo di conflitti richiede un alto investimento e una notevole intelligenza relazionale.
A volte l’emergere di questi conflitti provoca la necessità di rinegoziare alle fondamenta il patto costitutivo di un gruppo. Richiede un ritorno alle radici, alla ricerca di un consenso di fondo, sulle questioni essenziali.
Altre volte, invece, il conflitto delinea un cambiamento di appartenenze o di cultura. Negoziare questi conflitti può significare arrivare a decidere una separazione, un’uscita dal gruppo o una significativa mutazione di identità o di attività.
Evitare questi conflitti ( o rimuoverli) non significa "vivere in pace" ma, spesso, sopravvivere in una sorta di microconflittualità permanente e logorante.

Conflitto di idee

I conflitti di idee e opinioni (le "controversie") possono aiutare a trovare soluzioni più efficaci ai problemi. In un gruppo che lavora in maniera produttiva, è fondamentale che i membri siano diversi l’uno dall’altro, che essi esprimano critiche e si oppongano l’un l’altro. Le controversie, infatti, offrono molti benefici: favoriscono la creatività e l’alta qualità delle decisioni, l’impegno e il coinvolgimento, il miglioramento della capacità di risolvere problemi; incoraggiano i membri del gruppo a cercare nuove alternative e a unire le proposte in decisioni più soddisfacenti; aumentano la motivazione dei membri a eseguire il compito del gruppo e a trovare nuovi argomenti che sostengano le proprie proposte; stimolano le persone a diventare più consapevoli di ciò che è importante per loro. Inoltre, i gruppi che usano la controversia per prendere decisioni producono soluzioni più creative rispetto a gruppi meno conflittuali (dato che hanno a disposizione molte più idee) e i loro membri sono più soddisfatti delle decisioni prese. Tendono a sentirsi più ascoltati e compresi nonchè ad approfondire di più i problemi e a cercarne le cause reali, senza limitarsi a quelle superficiali. In questi gruppi aumenta la coesione la stima e la fiducia reciproca tra i membri, e diminuisce la tensione, dato che si esprimono liberamente i sentimenti.
La qualità delle nostre relazioni e della vita dei gruppi in un contesto ad alta complessità come quello in cui viviamo può essere molto arricchita da una più matura capacità di riconoscimento e gestione dei conflitti. L’attraversamento di una fase conflittuale è a volte il percorso obbligato per approdare ad una maggiore collaborazione. La paura dei conflitti, la loro negazione a priori, il loro offuscamento o mascheramento, rischiano infatti di alimentare una visone ingenuamente (o deliberatamente) a-conflittuale delle relazioni umane e, alla lunga, "portare acqua al mulino" di una cultura conformista e poco capace di cambiamento.
Le competenze relazionali nella gestione dei conflitti sono prima di tutto un’area di ricerca e di costruzione sociale (dei gruppi, delle organizzazioni e delle comunità) oltrechè un fattore di educazione alla cittadinanza attiva e consapevole.

Suggerimenti ed esempi

Di seguito ci permettiamo di suggerire alcune piste di questa ricerca e alcune coordinate per questa sperimentazione:
– privilegiare l’analisi delle cause di un conflitto ("perché è successo") all a produzione di un giudizio di responsabilità ( "di chi è la colpa");
– sviluppare strategie di negoziazione piuttosto che aut-aut (il mio "o" il tuo)
– accorgersi quando ci sono segnali di disagio, senza lasciar correre. Il conflitto è più gestibile se attuale, se riguarda l’oggi;
– mettere in luce le differenze. Evitare di "far finta di niente";
– cercare attivamente le somiglianze tra le diverse proposte e i differenti punti di vista (analogie, sovrapposizioni, coincidenze anche marginali);
– mettere le proposte in relazione con l’obiettivo e non in concorrenza tra loro ("si è insieme per raggiungere l’obiettivo del gruppo, non per vincere sull’altra parte");
– vedere e far vedere il conflitto come un problema reciproco e comune alle persone coinvolte, non come una "colpa" di "qualcuno";
– mirare e presidiare il raggiungimento degli obiettivi comuni;
– manifestare e far manifestare apertamente e con chiarezza al gruppo i propri bisogni, obiettivi e posizioni (chiarezza e trasparenza);
– comunicare la disponibilità a modificare le proprie posizioni;
– tentare di pareggiare il potere sottolineando che si dipende gli uni dagli altri per il raggiungimento dell’obiettivo del gruppo;
– stimolare la partecipazione di tutti i membri del gruppo, anche delle persone meno direttamente coinvolte nel conflitto (triangolazione);
– sollecitare le persone ad esprimere apertamente sia le idee (opinioni) che i sentimenti (emozioni) connessi alla situazione;
– invitare a non considerare il disaccordo come un rifiuto personale;
– sollecitare ad esprimere e discutere i quadri di riferimento e ciò che si dà per scontato e che invece non lo è (informazioni precedenti, concetti, dati significativi, leggi, vincoli e altro ancora);
– comprendere chiaramente gli aspetti simili tra le diverse posizioni e tentare una sintesi creativa (metterli insieme in modo nuovo, facendo nascere una nuova posizione comune);
– ricercare assiduamente le soluzioni che soddisfino in maniera accettabile tutte le parti in causa.

Ennio Ripamonti
psicosociologo e formatore,
ripamonti@metodi2000.it