La fine dell’Occidente

di Kupchan Charles A.

Il prossimo scontro tra le civiltà

L’era americana sembra essere viva e vegeta. L’economia statunitense è due volte superiore a quella della seconda maggiore potenza – il Giappone – e gli Stati Uniti per la difesa spendono più di tutte le altre grandi potenze messe assieme. La Cina è comunemente identificata come il prossimo avversario dell’America, ma è ancora lontana decine e decine di anni dall’essere ai primi posti. Gli attacchi terroristici su New York e Washington certamente hanno minato il senso di sicurezza emerso dopo la fine della guerra fredda e il trionfo dell’Occidente, ma hanno avuto poco effetto sull’egemonia statunitense. In realtà, essi hanno risvegliato le mire egemoniche dell’America. Almeno per il prossimo futuro, gli Stati Uniti continueranno a godersi la supremazia, tenendo a bada il terrorismo islamico e non perdendo di vista la Cina.

Confronto Europa USA

Questo è un luogo comune e, ahimè, non coglie nel segno. La supremazia americana non solo è molto meno durevole di quanto appaia, ma sta già diminuendo. E lo sfidante emergente non è la Cina, né il mondo islamico, ma l’Unione Europea, un blocco in ascesa che sta mobilitando le ingenti risorse e le storiche ambizioni dei singoli stati-nazione dell’Europa.
L’euro presto minaccerà il dominio globale del dollaro. L’Europa sta rafforzando la sua coscienza e il suo carattere collettivi per forgiare un senso più chiaro di interessi e valori che si distinguono chiaramente da quelli degli Stati Uniti. Gli Stati membri della UE dibattono per l’adozione di una costituzione comune europea (mossa appoggiata dai due terzi della popolazione dell’Unione), per la costruzione di forze armate comuni capaci di operare indipendentemente dall’esercito statunitense e per affermare un’unica e sola voce nell’arena diplomatica. Se da un lato rafforza le sue istituzioni governative e ammette nuovi membri (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e altri sette paesi si aggiungeranno nel 2004), la UE presto controbilancerà in modo formidabile gli Stati Uniti sulla scena mondiale. La rivalità transatlantica già cominciata presto si intensificherà inevitabilmente. I centri di potere, per loro natura, competono per la posizione, l’influenza e il prestigio.
Lo scontro prossimo tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea senza dubbio avrà poco in comune con la situazione di logorante stallo della guerra fredda. Sebbene lo scontro militare rimanga uno spettro del passato, la competizione tra Stati Uniti e Unione Europea si estenderà ben al di là del mondo del commercio.
La Federal Reserve degli Stati Uniti e la Banca Centrale Europea sono destinate a competere per il controllo del sistema monetario internazionale. Washington e Bruxelles con molta probabilità chiuderanno i battenti sul Medio Oriente. L’Europa preferirà resistere alla leadership statunitense piuttosto che arrestarla, paralizzando forse la Banca Mondiale, le Nazioni Unite e altre istituzioni che fin dalla Seconda Guerra Mondiale, per funzionare efficacemente, hanno contato sulla cooperazione transnazionale. Una UE in ascesa darà certamente prova della sua forza all’America, specialmente se la politica estera statunitense manterrà questa piega unilateralista. Un Occidente finora unito sembra così marciare verso una spaccatura che vede due parti in competizione.

USA-UE come Roma-Bisanzio?

Per il momento, l’America resta totalmente ignara della sfida lanciata dalla nascente Europa. I legislatori di Washington, nella migliore delle ipotesi, tendono a vedere la UE come un massiccio blocco commerciale e, nella peggiore, come una massa di alleati inetti che si lamentano continuamente della «mano pesante» dell’America, anche se poi non fanno quasi nulla per portare il peso della difesa comune. Inoltre, la maggior parte degli esperti americani di politica estera pensa che, se la UE si rendesse pienamente conto del suo potenziale politico ed economico, le conseguenze geopolitiche sarebbero minime: i rapporti amichevoli tra le democrazie dell’Atlantico sono un fatto assodato, un prodotto apparentemente inalterabile di condivisione di storia e valori. L’ipotesi che le strade della UE e degli Stati Uniti possano dividersi ha quasi dell’impensabile.
Queste congetture sono delle illusioni pericolose. È comunque certo che l’Europa non è una federazione centralizzata e che la sua integrazione procede in modo irregolare. Ma le entità politiche che prendono forma unendo stati precedentemente separati emergono sempre in via sperimentale. Nel 1781 gli Stati Uniti erano una confederazione aperta. Dopo che la formula si rivelò insufficiente a sostenere l’Unione, nel 1789 l’America optò per una federazione più chiusa. Ci vollero ben cento anni – per non parlare della sanguinosa guerra civile – perché l’Unione rafforzasse le organizzazioni al governo, alimentasse un’identità nazionale leale oltre i confini di ciascuno Stato e proiettasse una voce geopolitica per tutta la nazione. L’Europa ha lavorato duramente per circa cinquant’anni al fine di ottenere l’unione politica e dovrà affrontare molti ostacoli negli anni a venire. Ma la UE sta già diventando maggiorenne come forza collettiva: è al passo con il programma, se non avanti.
Anche la storia mette ampiamente in guardia sul pericolo che probabilmente accompagnerà una separazione come quella che l’Occidente comincia a sperimentare. Prendiamo in considerazione il destino dell’Impero Romano dopo la decisione di Diocleziano, alla fine del Terzo secolo, di dividere il regno nelle parti orientale e occidentale, portando alla creazione di una nuova capitale, Bisanzio, che Costantino rinominò Costantinopoli nel 324. Nonostante il loro patrimonio comune, Roma e Costantinopoli divennero rivali: l’esistenza di un’unica religione alimentò lunghe dispute sull’autorità e la dottrina e l’unità dell’Impero scatenò lotte sanguinose e la destituzione del governo di Roma.

Due modelli divergenti

Proprio come fece Bisanzio con Roma quando si separò dai suoi ex sorveglianti, la UE sta cercando di «sorpassare» gli Stati Uniti. E proprio come le strade dei bizantini e dei romani si divisero sui valori e gli interessi, così sta accadendo tra europei e americani. I due lati dell’Atlantico seguono modelli sociali diversi. Nonostante la deregolamentazione che sta attraversando l’Europa, il capitalismo laissez-faire americano contrasta ancora duramente con l’approccio più centralizzato dell’Europa. Mentre gli americani denunciano i limiti posti alla crescita scaturenti dal modello europeo, gli europei non vedono di buon occhio le disparità di reddito dell’America, il suo estremo consumismo e la sua prontezza nel sacrificare il capitale umano per ottenere un guadagno materiale.
Le due metà si sono divise anche su questioni di organizzazione statale. Gli americani vivono ancora sotto i regolamenti della RealPolitik e vedono quindi la minaccia militare, la coercizione e la guerra come strumenti essenziali della diplomazia. Per contro, gli europei hanno trascorso gli ultimi cinquant’anni cercando di domare la politica internazionale, mettendo da parte le armi per dare spazio al governo delle leggi. Il 1° luglio, mentre la UE inaugurava la Corte Penale Internazionale, l’amministrazione Bush annunciava l’intenzione di ritirare il suo esercito dalla Bosnia se a esso non fosse stata concessa l’immunità dalle decisioni prese dalla stessa corte. La fiducia nell’uso della forza da parte degli americani è vista dagli europei come semplicistica, egoistica e derivante da un eccesso di potere. Il forte attaccamento degli europei alle istituzioni multilaterali, d’altra parte, è visto dagli americani come naìïf, moralistico e derivante da un corpo militare debole.
Americani ed europei godono ancora di una certa affinità derivante dai vincoli storici e dalle tradizioni democratiche. Ma anche questa si sta logorando. In quanto nazione multietnica di immigrati, l’America ha cominciato a dubitare di un’Europa che resta ostile agli immigrati nonostante la sua popolazione stia diminuendo e sia vittima di continui scontri di intolleranza e antisemitismo. Gli europei, a loro volta, sono pessimisti nei confronti di un’America votata alla supremazia delle armi e alla pena capitale. L’America e l’Europa sono guidate da culture politiche diverse già alle radici. E la distanza culturale sembra allargarsi, non restringersi, mettendo i due lati dell’Atlantico su percorsi sociali divergenti.

Ascesa economica e politica della UE

Mentre la UE continua la sua ascesa, i suoi interessi economici e politici con molta probabilità andranno in collisione con quelli degli Stati Uniti, alimentando le ostilità. Di recente l’Airbus ha superato la Boeing come migliore compagnia di voli commerciali del mondo e la Nokia è il produttore principale di telefoni cellulari: sono soltanto due delle tante società europee che hanno superato i rivali statunitensi. Nel 2000 l’Inghilterra e la Francia, rispetto agli Stati Uniti, erano più in alto nella classifica delle acquisizioni commerciali internazionali. Anche le società tedesche si sono allargate: nel 1998 la Bertelsmann ha acquistato la Random House e la Daimler-Benz ha acquistato la Chrysler. Buona parte del capitale di investimento che ha sostenuto l’economia degli Stati Uniti negli anni Novanta di recente è stata spostata verso l’altro lato dell’Atlantico, permettendo così all’euro di guadagnare terreno nei confronti del dollaro e di aumentare la probabilità che la UE presto godrà di un sostanziale aumento di produttività e di crescita.
Questo successo economico è di per sé notevole, ma c’è più di quello che salta all’occhio. Fin dall’inizio l’integrazione economica europea si è presentata come un esperimento audace con l’obiettivo di legare politicamente le nazioni del Continente che per lungo tempo sono state belligeranti. E gli effetti voluti sono ora visibili. Attraversare in macchina il confine tra la Germania e la Francia è come andare dalla Virginia al Maryland: non c’è il controllo dei passaporti, non c’è la dogana, non bisogna cambiare la moneta. Nel 1999 la UE ha nominato il suo primo ministro di politica estera, il quale è stato impegnato a sorvegliare la creazione della nuova forza militare dell’Unione, anche se persegue programmi diplomatici nei Balcani, nel Medio Oriente e in altre zone calde. E l’Unione, all’inizio di quest’anno, ha deciso di costruire il suo network satellitare – Galileo -, una mossa che ridurrà la dipendenza dell’Europa dalla tecnologia statunitense. Tutte queste iniziative godono di un forte appoggio pubblico: più del 70% dei cittadini dell’Europa, ad esempio, è favorevole a una politica comune sulla sicurezza per l’intera Unione Europea.
Anche se la UE tiene fede ai suoi piani militari, le sue capacità difensive rimangono modeste rispetto a quelle degli Stati Uniti. Ai membri dell’Unione, infatti, non interessa proiettare il potere militare in modo globale (non da ultimo per i costi che ciò comporterebbe). Di conseguenza, sta emergendo una divisione del lavoro in cui la UE gestisce la sicurezza dell’Europa e le forze statunitensi si concentrano sul resto del mondo. Non si tratta di una ricetta per un confronto fra titani, ma prelude alla fine della deferenza dell’Europa di fronte al suo protettore americano e al potenziale scioglimento della Nato.
La decisione dell’Inghilterra di rafforzare la sua leadership in Europa sta rendendo la UE sempre più fiduciosa. Londra per anni ha mantenuto le distanze dal Continente, ma il primo ministro Tony Blair ha alterato il corso delle cose, orchestrando la spinta della UE sul fronte della difesa e lavorando per far entrare il suo paese nell’area dell’euro. «Dobbiamo essere partner europei cordiali e aperti, non apatici e indifferenti» – ha detto Blair agli inglesi alla fine dello scorso anno -, precisando che «l’Inghilterra non ha futuro economico al di fuori dell’Europa». Allo stesso modo, la crescente competenza della leadership tedesca sta rafforzando la volontà politica dell’Unione. Come parte della politica postbellica tesa alla rassicurazione e alla riconciliazione, per decenni Bonn è stata molto cauta sulla diplomazia e la difesa. Fin dal 1999, comunque, quando la sede del governo si è spostata a Berlino – cosa che ha rappresentato una rinnovata fiducia – la Germania ha guidato attivamente l’evoluzione della UE, tracciando un cammino per la costruzione di un’Europa federale.
Questo rinnovato entusiasmo per l’avventura collettiva europea è per certi versi il risultato delle politiche nazionali. Per buona parte del periodo postbellico, i politici hanno «svenduto» l’integrazione alle varie componenti, sostenendo che quello era l’unico modo perché l’Europa potesse sfuggire al suo sanguinoso passato. Ma le generazioni più giovani dell’Europa non hanno vissuto né la Seconda Guerra Mondiale né la Guerra Fredda e, quindi, non hanno un passato da cui fuggire. Di conseguenza sta emergendo un nuovo discorso politico, un discorso che vede l’integrazione come mezzo per rafforzare il potere dell’Europa e soddisfare, piuttosto che verificare, le ambizioni internazionali.
I francesi in passato sono stati i soli a guardare alla UE come contrappeso all’America, ma ora si sono uniti a essi anche gli altri membri. Tony Blair ha affermato: «Qualunque sia la sua origine, l’Europa oggi non è più soltanto una questione di pace. Si tratta piuttosto di proiettare il potere in modo collettivo». Il cancelliere tedesco Gerhard Schrìöder ha lanciato un appello: «Un’Europa più integrata e allargata» per spiazzare l’egemonia statunitense. Secondo Romano Prodi, presidente della Commissione Europea (l’organismo esecutivo della UE), uno degli obiettivi primari dell’Unione è la creazione di una «superpotenza sul continente europeo che possa eguagliare gli Stati Uniti». Gìöran Persson, il Primo Ministro della Svezia, un paese che molto tempo fa ha rinunciato alla politica egemonica, recentemente ha rimarcato il fatto che la UE è «una delle poche istituzioni che siamo in grado di sviluppare per poter contrastare la dominazione mondiale degli Stati Uniti».

Il risentimento europeo
per le scelte unilaterali USA

L’amministrazione Bush, come l’amministrazione Clinton che l’ha preceduta, non è mai stata troppo contenta della crescente fermezza dell’Europa, ma l’indifferenza di Washington nei confronti della UE fino a oggi ha soltanto rafforzato l’atteggiamento risoluto dell’Europa. In particolare, la predilezione di Bush per l’unilateralismo ha suscitato il risentimento europeo. Mentre Bush si ritira dal Protocollo di Kyoto sul surriscaldamento globale, retrocede dal Trattato antibalistico (ABM) e allontana gli Stati Uniti da una serie di istituzioni multilaterali, l’Europa cresce sempre più convinta di dover contrastare l’America e tracciare il proprio corso.
Dopo l’11 settembre, gli europei hanno sperato che un’America che doveva far fronte alla minaccia del terrorismo potesse riscoprire le virtù del multilateralismo. Ma ben presto Bush ha dichiarato unilateralmente che l’Iraq, l’Iran e la Corea del Nord sono «l’asse del male» e ha rovesciato Saddam Hussein senza l’approvazione degli alleati. Il ministro degli Esteri Joschka Fischer ha lanciato un monito a Washington: «I partner alleati non sono satelliti». Il Berliner Zeitung ha denunciato il fatto che gli Stati Uniti, ben lungi dal rinunciare ai loro modi «solitari», hanno «sfruttato l’opportunità di rafforzare la loro posizione egoistica di superpotenza». «Mai un presidente degli Stati Uniti per noi è stato così estraneo» – ha proclamato l’editoriale di un giornale – e «mai i cittadini tedeschi sono stati così scettici nei confronti delle politiche del più potente degli alleati». In un momento in cui l’America e l’Europa disputano sulle origini del terrorismo e sui modi di combatterlo, questa nuova minaccia promette di inasprire e non di porre rimedio alla divisione crescente tra i due lati dell’Atlantico.

Verso una frattura in Occidente?

Le conseguenze di questa frattura tra Stati Uniti ed Europa cominciano a essere visibili. C’è un aspro disaccordo sulla questione del Medio Oriente: la UE si oppone all’appoggio deciso dell’America a favore di Israele e alla sua insistenza nell’isolare piuttosto che integrare. Le dispute commerciali si stanno acuendo, specialmente sull’acciaio e l’agricoltura. Nonostante la defezione dell’America dal Protocollo di Kyoto, la UE è andata avanti con l’appoggio di oltre cento paesi, mentre Washington è rimasta un osservatore solitario e apparentemente irresponsabile dal punto di vista ambientale. L’anno scorso gli Stati membri dell’Unione hanno votato con successo l’esclusione degli Stati Uniti da due commissioni delle Nazioni Unite: una sconfitta per gli atteggiamenti unilateralistici.
Mentre l’Europa continua a tener duro e gli Stati Uniti cercano di svincolarsi dal compromesso, le istituzioni internazionali che dopo la seconda guerra mondiale hanno collaborato per promuovere la pace e la prosperità inevitabilmente incespicheranno. Allargandosi verso Est, la UE arriverà a dominare la geopolitica dell’Eurasia, sostituendosi gradualmente all’America nel ruolo di arbitro del nucleo strategico globale. Mentre i capitali affluiscono in Europa e un euro sempre più forte compete con il dollaro come valuta pregiata, la stabilità monetaria degli ultimi decenni lascerà il posto a truffe egoistiche simili a quelle degli anni Trenta. Al timone, quindi, non ci sarà più un solo capitano che detta gli ordini.
Il cerchio della storia si sta stringendo. Dopo la rottura con l’Impero britannico, gli Stati Uniti sono diventati una federazione unitaria, emergendo come nazione leader e lasciando in ombra le grandi potenze dell’Europa. Adesso tocca all’Europa ascendere e separarsi da un’America che rifiuta di rinunciare ai suoi privilegi di supremazia.
L’Europa inevitabilmente emergerà e diventerà l’avversario principale dell’America. Se Washington e Bruxelles cominciassero a riconoscere il pericolo che deriva dal crescente abisso tra le due parti, forse riuscirebbero a contenere questa rivalità ancora agli albori. Se però non saranno capaci di prepararsi alla vita dopo la Pax Americana, lo scontro in arrivo tra le civiltà non sarà tra l’Occidente e il resto del mondo ma all’interno dell’Occidente stesso, diviso contro se stesso.

 

Charles A. Kupchan
rivista Foreign Affairs
traduzione Rosy Di Giorgio