La democrazia è l’unica forma della politica?
Colloquio con Pietro Barcellona
Ho raggiunto al telefono il professor Pietro Barcellona, che risiede a Catania, impegnato nella pubblicazione della sua attività di ricerca e nel rapporto coi suoi allievi. Nell’emozione dell’incontro ho avviato la registrazione solo a metà, per recuperare il resto nella pazienza dell’intervistato.
D. Io credo che l’assunto: «Se la democrazia sia l’unica forma della politica», nasca dalla contrapposizione tra l’occidente che presume di avere un modello perfetto di democrazia e i regimi in cui manca la libertà di autodeterminazione politica, compresi quelli che garantiscono alcuni diritti importanti: la salute, il lavoro, l’educazione, ecc. e non la libertà politica.
Tu cosa pensi?
R. Questa contrapposizione è schematica, perché la democrazia bisogna guardarla nel suo versante sostanziale e nella sua caratteristica di fondo che è l’invenzione della società greca di sottrarsi al principio di autorità extra sociali (ad esempio la religione, le istituzioni di un paese straniero), per determinare l’ordinamento politico e quello civile; e di assumere su di sé (la società greca) la responsabilità di darsi un ordine.
La caratteristica della società democratica è la lotta contro l’autorità extra sociale. Purtroppo tutte le società, quando sono colte da paura, tendono a non riconoscere che quello che accade in loro sia determinato dalle loro condotte, ma si rifugiano in immaginari deresponsabilizzanti, si affidano a salvatori, a fatti religiosi visti in modo superstizioso e attribuiscono a questi la fonte della legittimazione delle loro normative.
La società democratica fondata dai greci, invece , è una società in mutamento, che si autodetermina progressivamente, riflettendo sulle proprie pratiche vitali ed assumendo la responsabilità individuale e collettiva di darsi l’ordine in rapporto ai bisogni della comunità.
D. I regimi che fanno riferimento alla religione o ai principi della religione sono in contrasto con la democrazia?
R. Un regime rigidamente teocratico, in cui il principio di autorità che regola non la coscienza (perché la coscienza di ciascuno può essere regolata da principi religiosi, etici…) ma la vita collettiva, venga affidato all’autorità divina, toglie alla società il potere di governarsi e quindi impone un modello non democratico. Questo non significa che una società in cui ci sono regole “apparentemente” democratiche (esempio: si possono votare i partiti, si possono scegliere i rappresentanti del parlamento) realizzi la sostanza della democrazia.
Facciamo un esempio attuale: una società che ha la possibilità di eleggere i propri rappresentanti, è sempre una istituzione genericamente democratica, perché tende attraverso i propri rappresentanti a chiamare il popolo a governare. Ma se nel proprio immaginario è governata da principi opposti alla sua responsabilità e tende ad essere manipolata da massicci interventi mediatici (televisione, giornali…) e si lascia influenzare in modo profondo da essi, tale società cessa di essere democratica.
Stessa cosa avviene ad una società che stabilisce di costruire la famiglia, il rapporto coi figli, sulla base di un presunto modello scientifico, prodotto dagli USA o dalla Russia poco importa, perché è entrata in crisi di autostima e rinuncia a darsi regole proprie nei rapporti generazionali, che sono uno degli aspetti qualificanti del rapporto tra società e la sua forma democratica.
D. Nel tuo libro “L’individuo e la comunità” scrivi che la società si proietta nel suo immaginario, che poi traduce e realizza con delle regole ben definite, per costruirsi come società organizzata; in questo suo autocostituirsi, aggiungo io, non potrebbe nascere un ordinamento gerarchico, autoritario (vedi monarchia)?
R. Le società si autocostituiscono, praticamente, sotto la spinta dell’immaginario, nel senso che il loro immaginario opera nel profondo dello spirito collettivo, dell’anima popolare, l’immaginario collettivo è all’opera in molte situazioni, anche allo stadio per esempio; ma una società non può fermarsi solo a livello di immaginario, perché altrimenti non sopravviverebbe e deve dunque strutturarsi, organizzarsi, darsi delle regole. Queste regole se le dà in coerenza con una prassi; vedi per esempio quello di darsi la mano, di fare dei patti da rispettare, ecc. Le regole non sono garantite da un’autorità sottratta all’influsso di questo immaginario collettivo, e dunque una società può involvere, regredire ad un livello di rinuncia inconsapevole a questo potere di governo e di creazione di significati ed affidarsi ad un salvatore, ad un tiranno, a un dittatore, cui dare anche il potere di fare cose terribili.
D. Chi afferma che la democrazia è in crisi perché incompiuta, fa un’affermazione erronea in quanto non abbiamo un modello di democrazia. È una considerazione che leggo nel tuo testo: da che cosa nasce questa tua riflessione?
R. Non ha senso parlare di democrazia incompiuta. Io penso che una società o è democratica o non lo è; ed è democratica se partecipa collettivamente del processo educativo di se stessa, se si educa al principio dell’autonomia, dell’autogoverno.Una società, invece, anche se pratica una forma di elezione del governo, non è una società democratica (anche se va a votare), si è sostanzialmente eterodiretta. Democrazia è questa sostanza di autogoverno collettivo delle istanze fondamentali di un gruppo umano.
D. Leggo ancora nel tuo testo che la politica, in quanto riflessione della società su di sé, diviene partecipazione, autodeterminazione, democrazia; fino a che punto questo è una considerazione di metodo, o non invece una affermazione astratta?
R. Non è una considerazione di metodo e neppure astratta. Le società democratiche sono società a rischio, perché essendo mutevole l’umore del popolo, essendo possibile che i popoli vengano presi da improvvise spinte emotive, irrazionali e pure negative, può nascere nel popolo l’idea che c’è un nemico persecutore e quindi bisogna farlo fuori. Questo trasforma la società stessa, che cessa di essere democratica, proprio perché la democrazia è il fatto che gli uomini di un gruppo umano sono consapevoli che stanno dando ordine al loro tempo, ordine al loro spazio; mentre invece quando lo spazio e il tempo della vita, e quindi la rappresentazione dei membri del gruppo, degli individui che stanno dentro questo spazio, e questo tempo viene data dall’esterno, allora cessa il motore della democrazia; cessa quindi la necessità vitale di essere partecipi di “fatti” che li riguardano.
Se la democrazia viene considerata solo un apparato giuridico, che garantisce il fatto che in certi anni si va a votare, tale considerazione è fuorviante; non voglio dire con ciò che tale regime non sia democratico, ma non è certo questa la sua garanzia.
Se per esempio il principio educativo è determinato dalla imitazione servile di un paese straniero, in questo caso il paese perde la sua autonomia.
Se la società è fortemente influenzata dai media (stampa, televisione) che possono manipolare l’immaginario, questa società perde la democrazia; quindi parliamo di una democrazia quando siamo noi i custodi e non gli apparati normativi. Questo non significa che gli apparati normativi siano insignificanti, ma lo sguardo deve essere rovesciato; vale a dire che si parte dalla società verso le istituzioni e non dalle istituzioni verso la formazione della società.
D. Che pensi del fatto che i paesi occidentali pongono ai paesi del terzo e quarto mondo le condizioni di adottare il regime democratico per ottenere aiuti e finanziamenti?
R. Dalle cose che abbiamo detto si ricava implicitamente che la democrazia non può essere imposta senza contraddire la stessa idea di autonomia che la ispira e che ne costituisce la sostanza. Non può esserci democrazia senza un processo educativo che consente di interiorizzare la democrazia come stile di vita fondato sul rispetto dell’altro come “con-cittadino”.