Il precipizio del nulla
Scorrendo le pagine di Madrugada
Cara lettrice, caro lettore,
mi ami? quanto mi ami? quanto mi costi? Tutto ha un prezzo, anche l’amore. Io ho un prezzo, tu hai un prezzo. Quanto costo io? Spara una cifra! Come? No, no, troppo poco, non mi vendo per così poco. Certo anch’io ho un prezzo. Siamo al mercato, quello globale, rionale, quotidiano, non è uno scherzo, per questo al numero quarantotto si scrive sul denaro. E sarà un monografico che rispetta il numero: succederà un quarantotto.
Ma andiamo in ordine, rispettiamo le precedenze, coltiviamo la razionalità. Apre Giuseppe Stoppiglia con il controcorrente, riflessione filosofica, con animo compassionevole sulla fragilità, precarietà nostra e sui guasti della forza dei forti rispetto al senso della vita, e non so se mi spiego, diceva il nonno piegato sul bastone leggendo Se la fragilità è la nostra condizione, la forza della armi non sarà il nostro baluardo.
Ed entriamo nel guscio del monografico dove ad ogni capo di biancheria, ad ogni capo di merce, trovi il suo prezzo, anche gli uomini sono in vendita con un avvertimento che credo sia anche il titolo dell’articolo di Mario Bertin, Il denaro come inganno, cui segue un sottotitolo malizioso, un vero ossimoro, o contraddizione: (il denaro) l’unica forza che tiene insieme il mondo. Segue la riflessione di Domenico Canciani su Simone Weil. Il danaro, la povertà, la bellezza. Riflessioni su alcune note sparse del periodo londinese. Conclude il monografico sul denaro Ennio Ripamonti con l’articolo Elogio della gratuità, che mi rammenta l’elogio della pazzia, un libricino che tanti hanno e pochi leggono, di un certo Erasmo ed è un’alternativa (la gratuità) al denaro come divinità assoluta e propone uno scambio che modifica le relazioni.
Entriamo nel cuore della rivista. Non c’è l’inserto sulla globalizzazione, che speriamo di riprendere nel prossimo "se Deus quiser". Abbiamo perso un amico, ne facciamo memoria: apre Mario Bertin con Un uomo disarmato. Non si tratta naturalmente di Bush e neppure di Saddam. Enzo Demarchi ci ha lasciato il due di ottobre ultimo scorso, e ne abbiamo voluto tracciare alcune linee tenui, senza falsare le impronte del suo percorso: la responsabilità della relazione, il senso del limite e la serenità in prossimità della morte. Segue il ricordo di Gaetano Farinelli che trae spunto dall’ultima corrispondenza con Enzo, ne Il dono di sé nel rispetto dell’altro; abbiamo poi voluto aggiungere il diario minimo di Francesco Monini, che inizia con l’immagine di Enzo Demarchi e la sorpresa dell’incontro, che non segue schemi preordinati, ma succede e bisogna saperlo cogliere.
Ed entriamo nelle rubriche, che come ciascuno dei nostri lettori sa deriva da rubrum (rosso): il mar Rosso, la fuga e l’arresto. L’abbiamo fermato, chi? Giovanni Realdi al pianoterra, non stava fuggendo, stava viaggiando sul treno e guardava il bisonte che gli scalpitava accanto, ci guardava composti allo specchio e pensava all’umanità che vive giorno per giorno, arrancando, pensava all’ordine unico, e al disordine procurato dall’ordine del mondo rotondo e tracciava La strada ferrata del bene e del male.
Il piccolo principe ci invia un dettagliato approfondimento su Il Brasile di Lula. Passa il controllore (siamo sulla strada ferrata) mi buca il biglietto inciampa e impreca: «Razza Piave», una scusa, è la rubrica di Alessandro Bresolin: Il Piave oltre i suoi miti tra geografia, storia, antropologia ed un pizzico di pepe. E si cambia. Che cosa? La linea del treno, la strada ferrata, la storia infinita.
L’hai visto, le hai viste, che cosa? Quante domande: le foto, di chi? Di Paolo Arsie Pelanda, con Il mio Nepal, per che cosa, ma tu guarda, che dici, che pensi, tu pensa. Prima, come sempre, la cronaca del cronista-scrittore, che scrive di cose che altri cancella; se passa alla storia, hanno trafugato i documenti. E adesso si scende a meno che tu non abbia andata e ritorno, per andare dove e con chi?