(il Corano) Il corpo nella concezione islamica
Racconta la tradizione che Allah plasmò il simulacro di quello che doveva diventare il nostro padre Adamo con le Sue mani. Quando ogni altra creatura è stata creata a partire dall’imperativo «kun!» (sia!), questa particolare attenzione del Creatore rivela immediatamente una straordinaria attenzione per il genere umano, destinato come il Corano ci insegna, ad essere ‘khalifa fil ard’, luogotenente sulla terra.
Adamo ancora non è uomo, ma solo forma che si riconoscerà poi come umana, è cavo e la tradizione riferisce che, per dileggio, un dèmone vi si introduce entrandovi da una parte ed uscendo dall’altra.
Quando poi al Fatir, Colui Che dà inizio a tutte le cose, decide di completare questa parte del Suo progetto, allora «soffia in lui del Suo spirito» e man mano che esso pervade la forma, la riempie di carne e sangue e ossa e cartilagini e Adamo diventa uomo. Starnutisce e loda Dio, da Lui ispirato, e subito dopo sente fame e cerca di alzarsi per prendere uno dei frutti del Giardino ma ancora non ha gambe e rovina per terra ricevendo contestualmente il secondo insegnamento «non ti affrettare».
Questo racconto sulla maniera in cui il corpo è stato formato, sul come gli è stata data umanità e sulle prime azioni che lo hanno caratterizzato in tal senso, è particolarmente significativo della maniera in cui l’islam pensa il corpo: natura terrena, forma in un ‘manufatto’ divino, umanizzazione per via spirituale che si estrinseca nell’adorazione del Creatore e, infine permanere del fatto fisico con tutte le sue conseguenze.
Invero la rivelazione coranica è percorsa dal senso di una profonda unità dell’essere umano, non esiste un dualismo anima e corpo. L’uomo vi viene disegnato prima di tutto come colui che è tratto dalla terra, quindi corporeità, al pari degli altri esseri creati: «Chiedi loro se la loro natura è più forte di quella degli altri esseri che noi abbiamo creato: in verità li creammo di argilla impastata!» (XXXVII, 11), per vivere in una terra: «O Adamo abita il Giardino tu e la tua sposa» (II, 35) , in relazione con l’altro, di cui l’immagine più pregnante è il rapporto uomo-donna che ancora viene descritto in termini corporei: «esse sono una veste per voi e voi una veste per loro» (II, 187).
L’uomo nella sua interezza è segno di Dio, non solo nella ragione o nell’anima:
«Fa parte dei Suoi segni l’avervi creati dalla polvere ed eccovi uomini che si distribuiscono (sulla terra)» (Corano XXX, 20). A Dio dobbiamo tutto il nostro essere: « quindi gli ha dato forma e ha insufflato in lui del Suo Spirito. Vi ha dato l’udito, gli occhi e i cuori. Quanto poco siete riconoscenti!» (XXXII, 9).
L’essere umano è terra e spirito, tanto che anche le immagini della condizione finale non lo descrivono liberato dal corpo, al contrario proprio una corporeità rinnovata e pienamente soddisfatta nelle sue relazioni fondamentali è espressione della condizione paradisiaca, di cui abbiamo sentore nel nostro immaginario del desiderio e del piacere.
La nostra storia si gioca così, dall’inizio alla fine: «È Lui che vi ha dato la terra come culla Da essa vi abbiamo creati, in essa vi faremo ritornare e da essa vi trarremo un’altra volta» (XX, 53-55).
Allahumma,
tra le Tue creature ci hai scelto
come ricettacolo dello Spirito
che da Te proviene.
Questa presenza impone al nostro corpo una regola,
alla nostra mente una disciplina.
Entrambe sono foriere di sublimi soddisfazioni e aspre rinunce.
Le prime ci rendono possibile questa vita,
l’altre, l’Altra.
Tratto da Luci prima della Luce
H.R.Piccardo
Ed. Al Hikma, Imperia, 2006