Il caso Messico
«La povertà non è solo una condizione economica
che si manifesta con entrate inferiori
ad un programma definito di risorse.
È anche la assenza nella società di opportunità in grado
di cambiare le condizioni di povertà».
[Lo sviluppo sociale e la donna, di Clara Jusidman]
I processi di democratizzazione sono profondamente legati allo sviluppo e alla qualità di vita della popolazione. La democrazia è il risultato della giustizia, delle pari opportunità, della partecipazione di tutte e di tutti al governo del paese e ad una vita dignitosa.
La situazione economica della maggior parte della popolazione messicana è grave, sopra tutto tra i contadini e la popolazione indigena legata alla terra. Questi emigrano, abbandonano la propria terra e dipendono sempre più dagli introiti che ricevono dal lavoro nelle piantagioni, nei servizi e in qualsiasi tipo di processo di produzione e commercializzazione che si attua fuori dal proprio paese, nel Nord e nei centri di sviluppo turistico.
Juan Balboa corrispondente del giornale La Jornada (Chiapas) scrive che le rimesse dei messicani che lavorano negli Stati Uniti per l’anno 2004 saranno di circa 15 mila milioni di dollari.
Le rimesse degli emigranti fanno fronte soprattutto alle necessità primarie; in Chiapas si calcola in 500 milioni di dollari l’ammontare delle rimesse degli emigranti e questa cifra eguaglia in valore la produzione totale di mais, fagioli, banane e mango dell’interno.
Siamo davanti ad un nuovo paese che dipende dalle multinazionali e dagli interessi della economia neo-liberista fin dal 1982.
La strategia del modello neo-liberista sulle risorse che esistono nel pianeta è l’appropriazione, l’uso fino all’esaurimento delle stesse. L’ accentramento del potere comporta l’esercizio di una strategia che implica l’uso delle armi, la pressione politica, il controllo della informazione sui territori. Si tratta quindi
Di un controllo economico, politico, sociale e culturale.
Il risultato di questa violenza è la disintegrazione del paese, i conflitti all’interno delle comunità, lo scontro tra i ceti sociali, gli assassini, la perdita dei valori, il controllo del territorio e delle sue risorse da parte di gruppi armati, mafie, l’abuso di potere in un processo di militarizzazione e paramilitarizzazione; insomma un clima poliziesco e la perdita di ogni sicurezza.
Democrazia e legalità, quando?
Lo scontro degli interessi economici e politici avviene in tutti gli spazi e si manifesta nella formazione ed applicazione delle leggi, nella camera dei deputati e dei senatori, nei tribunali, nei mezzi di comunicazione, per le strade e si nota nella angoscia crescente della popolazione che vive fra questi fuochi.
Le elezioni si attuano in mezzo a questa violenza. I dibattiti elettorali ricorrono all’inganno, alla aggressione e alla denigrazione dell’avversario.
Il risultato della lotta per il potere è la delegittimazione dei partiti politici e un ritorno ai notabili, ai gruppi di potere che si sono incuneati nel sistema da sempre. Il potere economico, il potere politico, il potere militare e il potere dei mezzi di comunicazione sono d’accordo nella stessa dinamica di rafforzare le proprie fazioni e di creare nuclei potenti, che siano in grado di controllare le istituzioni.
Non si vede come possa iniziare un dialogo serio fra i tre poteri: il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario; non si intravede dove trovare alternative a questa lotta campale che è nata in assenza di un Progetto di Nazione, con un modello di sviluppo sostenibile. Il processo di democratizzazione è rinchiuso in questo labirinto.
Scrittori, poeti, giornalisti, intellettuali, artisti, sindacalisti, operatori sociali e maestri denunciano il deterioramento delle istituzioni e la ingovernabilità.
Le mobilitazioni di contadini, maestri, sindacalisti, indigeni, casalinghe, e abitanti dei quartieri e delle zone popolari non riescono ancora ad aprire il dialogo con i governanti.
Ciononostante ci sono espressioni di una lotta ampia, popolare, capace di alternative economiche, politiche, sociali e culturali. Donne che vogliono prendere coscienza di sé e del loro ruolo. Donne che assumono la responsabilità di difendere i propri diritti, che si espongono pubblicamente e corrono il rischio di scontrarsi con il potere. Ci sono giovani che stanno camminando in nuovi sentieri. Vivono cambiamenti radicali per il desiderio di trovare risposte nuove.
La energia che nasce dal basso è creativa e costituisce una forza vitale capace di stimolare alternative al modello neo-liberista. La democrazia è un esercizio di autogestione e autonomia, è un modo di governare in modo alternativo con la convinzione che l’autorità è tale nella misura in cui risponde agli interessi della comunità, al diritto di tutte e di tutti, alla responsabilità comune.
Per questo uomini e donne esplorano nuovi territori e condividono sogni: perché un nuovo mondo sia possibile.
Traduzione di Valter Cavina