I passi leggeri del cammino interiore del viandante
Il viandante ci dona l’immagine del viaggio che abbiamo compiuto negli ultimi dieci anni, che hanno visto la crescita “triste” di un popolo che, per dedicarsi ad ingrassare il vitello d’oro, che è transeunte, ha dimenticato l’essere eterno divino che è in lui. Per questo oggi è triste e depresso. Non solo. È aggressivo perché ogni essere umano diventa tale nella misura in cui non riesce ad essere se stesso.
Il viandante ha abbandonato il campo della pura ascesi per guadagnarsi da vivere così come gli altri uomini, senza per questo rinunciare alla preghiera e ad una vita lavorativa morale. È più difficile, ma il viandante sa che l’antico “ora et labora” di San Benedetto non ha perso affatto il suo valore profetico del testimoniare nel “labora” di tutti i giorni lo spirito; e nell'”ora” la materia della vita. È in quel “et” che sta il segreto, mentre è più comodo stare tutti di qua o di là in gruppo, cioè dormienti.
Il viandante educa con la sua vita i giovani, in una società tecnologica che trasforma le pietre in pane, dove non solo sono scomparsi i mentori, ma dove si è ingigantito come non mai “il senso del vuoto”, dove sono debellate tante malattie fisiche ma sono cresciute quelle dell’anima perché smarrito il verbo che nutre la loro anima.
Egli propone la fratellanza, come un distribuire ai poveri quel di più che ahimè non fanno più neppure i ricchi, ma pratica anche la solidarietà, che è cosa diversa. È sviluppare giorno per giorno nella sofferenza del vivere quella purificazione che è diventare sempre più Essere Umano (con la maiuscola). Sviluppare cioè i propri talenti che è l’impegno primario nella vita e che costa più caro del fare carriera. Quando gli dicono di mettere “la testa a posto” il viandante sa che è sulla strada giusta.
Il viandante vive così con gioia la propria identità individuale e non ha bisogno di aggredire perché ama al contempo la diversità e l’unicità di ogni altro. La grande malattia dell’epoca moderna è l’aggressività che origina nella misura in cui non si riesce ad essere se stessi.
Il viandante vive con serenità in una fitta rete di relazioni che il destino gli fa accadere perché sa che il nuovo nasce… dall’incontro. La solitudine alimenta il pensiero intellettualistico, che può essere anche abile e astuto ma è sempre luciferico in quanto amante del sé; l’incontro desta l’ascolto dell’altro, il dialogo, il confronto e consente di sviluppare un pensiero nuovo, immaginativo, il pensiero d’oro del futuro.
Il viandante così nutre l’anima di chi incontra. Sa che l’anima è diversa dallo spirito, come già dicevano Platone e Paolo di Tarso. L’anima è il mondo interiore del sentire, unico in ciascun essere vivente (come tale presente anche nel sentire dell’animale), personale e soggettivo, in fondo non comunicabile, il mondo delle proprie emozioni e sentimenti. E se l’anima è il mondo interiore della passività, lo spirito è la capacità attiva di prendere coscienza di questo vissuto e di intervenirvi con la nostra libertà e volontà, con il nostro Io. Ciascuno di noi, se lo vuole e nella libertà, può ricorrere allo spirito che Cristo a tutti ha donato.
Il viandante ascolta e risponde alla morale che nasce dentro di sé e non la confonde con l’etica che risponde a norme dettate fuori di sé. Quando esse entrano in conflitto segue la morale anche se l’etica viene dalla Chiesa, che come tutte le istituzioni umane può sbagliare come quando non distingue più tra anima e spirito, come quando si fa sponsorizzare dalla Nestlé.
Il viandante cammina, è un ricercatore spirituale e non teme di essere vissuto come diverso dalle potenti istituzioni umane, seppure amiche, siano esse il sindacato dei lavoratori, i partiti amici, la Chiesa stessa. Ascolta e risponde alla sua morale, crede nello spirito, è attento ai moti della sua anima e si inginocchia più volentieri di fronte alle persone che nel chiuso di una cella.
Il viandante usa un linguaggio poetico perché sa che, come disse J.W.Goethe, «…il linguaggio comune è appena bastante nella vita per esprimere e comprendere, poiché con esso indichiamo soltanto rapporti superficiali. Non appena si parla di nessi più profondi ci si deve servire di un altro linguaggio: il linguaggio poetico…».
Il viandante non dimentica di criticare le scienze moderne e prima di tutto l’economia, perché sa che viviamo in una cultura profondamente materialista e si dà peso solo a ciò che appare, alla materia. In realtà il materialismo è un’astrazione e anche la fisica stessa comincia a dirci che la materia è il limite dell’esperibile umano e la cosiddetta materia è in realtà ciò che non è più esperibile. I pensieri, per esempio, non sono affatto materia ma sono da soli più esperibili di tanta materia ed hanno un impatto concreto sulla nostra vita. La vita interiore dell’anima e la capacità di esprimere iniziativa e spirito sono dunque al fine più concreti di tanta materia esteriore. Il viandante ha visto non solo nei paesi poveri che l’applicazione reale delle teorie delle discipline accademiche economiche sono inique, materialistiche, astratte, pensate più per i morti che per i vivi.
Il viandante non teme la morte perché ha imparato a riconoscersi come Essere spirituale, perché veramente lo è e quando arriva l’ora della morte non può che gioire.
Lo fu anche per Socrate, nonostante avesse vissuto 500 anni prima dell’evento del Golgota.
Il viandante viaggia leggero perché ha poco bagaglio, perché ha imparato che chi dona ha e chi trattiene perde; pudicamente non dice che spesso ha sofferto e si è sentito abbandonato, ma non ha mai perso la fiducia rammentando a chi in croce già aveva vissuto questa esperienza.
Grazie caro viandante, finché puoi cammina ancora con amore e in libertà a lungo tra noi