Frate Elia: elogio del tradimento
Nei mesi trascorsi si è celebrata, un po’ in sordina, una particolare ricorrenza: la consacrazione della basilica di San Francesco in Assisi. I giornali ne hanno parlato. Contemporaneamente si ricordava anche – ma nessuno se ne è occupato – il 750° anniversario della morte di frate Elia, amico di Francesco e primo ministro generale dell’ordine francescano, che della basilica di Assisi, assieme al Papa Gregorio IX, fu il principale artefice.
Una figura controversa
Elia è una figura tra le più controverse del primo francescanesimo. Di lui se ne sono dette di tutti i colori. Solo gli studi più recenti lo hanno in gran parte riabilitato. Secondo la cronaca partigiana di Salimbene De Adam, lo stesso san Francesco lo avrebbe tacciato di «bastardo dell’ordine». Ma ciò non è credibile. In realtà, Elia fu una persona d’intelligenza acuta, la quale comprese che, come spesso avviene per le grandi avventure dello spirito, l’ideale di san Francesco per sopravvivere doveva essere, in qualche modo, tradito. Come ha messo in evidenza Bonder in un suo saggio molto stimolante, esistono fedeltà che si rivelano perverse e, all’opposto, tradimenti che nascono da un grande lealtà. A questi ultimi appartiene il tradimento di frate Elia. I suoi tempi furono ingiusti verso di lui: venne destituito d’autorità dalla carica di ministro generale con l’accusa di cupidigia nella raccolta del denaro necessario per l’opera grandiosa che aveva intrapresa; venne espulso dall’ordine per complicità con Federico II nella lotta contro il Pontefice; venne denigrato in modo infamante dalla corrente integralista del suo ordine per aver dato spazio a persone indegne a discapito degli osservanti. Nella realtà, con il grandioso progetto della basilica di Assisi, egli intese fare risplendere, attraverso l’arte, il messaggio francescano, favorendone una lettura che si imporrà fino ai giorni nostri. D’altronde, anche su sollecitazione di Ugolino da Ostia (il futuro Gregorio IX), egli si adoperato per spingere Francesco riluttante a scrivere una regola che garantisse l’identità e la continuità della comunità di uomini riunitasi attorno a lui. Rispetto a Federico II, non si trattò di uno schieramento a fianco degli Hohenstaufen, ma di un tentativo illuminato di mediazione tra il potere imperiale e quello pontificio. Infine, lungi dall’anacquare il messaggio di Francesco, si oppose alla clericalizzazione dell’ordine nascente e alla mitigazione delle norme sulla povertà, tanto che, anche dopo il suo allontanamento, rimase un punto di riferimento vitale per Chiara.
Francesco e il suo tempo
Insomma, frate Elia aveva compreso che Francesco, al di là del modo in cui egli porgeva il suo messaggio, riassumeva lo sforzo collettivo dell’intera sua epoca e ne rappresentava la coscienza più alta. Questa fu la sua vera genialità e grandezza, che non sarebbero morte con lui.
Elia aveva capito che Francesco costituiva il culmine e l’interprete di un possente movimento che, lungi dal limitarsi all’ambito religioso, si espandeva potentemente nel mondo della cultura, delle trasformazione degli equilibri politici, di una nuova organizzazione sociale e che era impossibile che a questi aspetti Francesco restasse estraneo. Forse era quello che Giuda, ad un altro e più importante livello, aveva intravisto in Gesù e nel suo messaggio. Elia è riuscito dove Giuda ha fallito, di dare consistenza storica ad un messaggio spirituale.
Che cosa è stato davvero Francesco per il suo tempo? È successo questo: il giovane Francesco dà vita ad un movimento che prende avvio dai poveri, dai deboli, dagli esclusi e rivendica per essi uno spazio nella Chiesa fino ad allora inesistente. Prima di Francesco nei confronti dei poveri la Chiesa aveva esercitato la benevolentia, la carità e l’assistenza, contribuendo a confinarli stabilmente nella loro condizione di poveri e di esclusi. Francesco invece scrive nella Regola che i suoi frati non sono chiamati a fare nulla di particolare per questa gente, ma ad «essere lieti di stare tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra mendicanti lungo la strada». Approvando il modo di vita di Francesco e dei suoi seguaci, Innocenzo III recupererà alla Chiesa una realtà popolare che le era originariamente ostile. Fu questa una decisione dalle conseguenze incalcolabili perché diede alla Chiesa l’opportunità di recuperare la sua dimensione popolare che aveva da molto tempo perduto.
Ma poiché potere spirituale e potere temporale erano allora tanto fusi che un colpo inferto ad uno non poteva non ripercuotersi sull’altro, il francescanesimo finì per favorire anche il moto di emancipazione popolare dal potere imperiale e il nascere e il consolidarsi dei comuni. Del resto, bisogna ricordare che Francesco, prima della sua conversione religiosa, prese parte attiva alla lotta contro i rappresentanti imperiali e l’aristocrazia.
Elia capì qual era l’incrocio in cui si insediava l’avventura del suo amico Francesco, alla quale aveva aderito fin dagli inizi, e cercò di farla diventare ciò che intrinsecamente era: una cultura e una politica. Francesco è stato un uomo di sentimento, in cui dominava la passione e la logica del cuore. Elia si è sforzato di razionalizzare questa intuizione per garantirle il futuro. Egli amava profondamente Francesco e la sua idea. Il primo storico francescano, Tommaso da Celano, scrive di lui: «Fu una madre per Francesco e un padre per gli altri frati», ma dice contemporaneamente che era molto considerato sia dal Papa che dall’imperatore.
Francesco, Elia e l’Umanesimo
Fu un vero genio. Ma come poteva non tradire Francesco? Come può, infatti, una regola farsi pienamente carico della passione del cuore?
Secondo Thode, il francescanesimo rappresentò l’inizio di un «movimento del senso dell’umanità», cioè di un nuovo umanesimo che portava alla ribalta l’individuo e ne affermava il primato. Le prime espressioni di questo nuovo umanesimo sono state, nell’arte, Nicola Pisano, Giotto e Petrarca. Con il francescanesimo entra nell’arte la natura, lo studio della realtà e quindi una nuova forma di bellezza, un nuovo modo di sentire, che abbandona definitivamente la lontana ieraticità dell’arte precedente. Il Crocifisso di San Damiano, che parlò al cuore tormentato del giovane Francesco, è un Cristo vivo, che ha gli occhi aperti. Una delle prime rappresentazioni del Crocifisso come Cristo morto è quello di Cimabue nella basilica superiore di Assisi. In mezzo c’è tutta la storia del Poverello.
Elia è, tra i compagni di Francesco, quello che capì con maggiore lucidità le implicazioni delle sue scelte spirituali e che seppe collocarle dentro le movimentate dinamiche del tempo, rivendicando per esse lo spazio che loro spettava, sia nella Chiesa che nella società civile e politica. Egli comprese bene che Francesco era l’interprete e il portavoce non solo di una intuizione religiosa, ma di un’idea generale e ne trasse le logiche conseguenze.
In questo non è stato capito e per questo è stato accusato di tradimento. Egli superò l’illusione di Francesco che una vita ancorata alla sua visone radicale e alla sua passione potesse diventare una esperienza comune di un grande gruppo di seguaci.
Elia si fece carico di questa aspirazione di Francesco e la rese concretamente attuabile nell’unica maniera possibile: codificandola.
Uno dei passaggi di questo processo è stata la mitizzazione del fondatore (c’è addirittura chi sostiene che le stimmate siano state una invenzione di frate Elia per accreditare l’immagine di Francesco come «alter Christus») e la costruzione della grande basilica assisiana, che costituisce un’immagine plastica della dialettica e delle contraddizioni dell’ordine francescano e di queste un magnifico monumento. È lo splendore della povertà, la stupenda espressione dell’arte sgorgata dal francescanesimo, dove si fondono in un’unica idea armonica religione e natura, ispirazione colta e narrazione popolare. In fondo, la basilica di Assisi è il Cantico di frate Sole riscritto con la pietra e con i colori.
Nel 1230, le spoglie di Francesco, canonizzato due anni prima, vennero trasportate nella basilica inferiore, terminata a tempo di record. La basilica diventò così, secondo la felice espressione di Ozanam, la tomba del Poverello e la culla del Rinascimento. Basti pensare ai cicli pittorici di Giotto, di Simone Martini, di Cimabue, che essa accoglie.
Ciò è stato reso possibile dall’unione inscindibile di tradimento e di fedeltà di frate Elia, dal genio di colui che ha saputo pagare il prezzo amaro della trasgressione per rimanere fedele all’amico.