Fiat Uno, strade del Veneto, anni ’90
Il vero ufficio dell’operatore sindacale: l’automobile. Facilmente una Fiat Uno, modello base ma con l’autoradio, di solito bianca, una botta sul fianco che già si sta arrugginendo (non c’è mai il tempo per portarla dal carrozziere). Dentro regna l’ordine, naturalmente il tipo di ordine che si genera nel depositarsi in strati geologici successivi di giornali, appunti, contratti, volantini, disegni della figlia, bollette da pagare, biglietti della lotteria di Macondo, un libro di Manghi, copie della relazione del segretario all’ultimo esecutivo, ricevute dell’autostrada (che sono poi il fattore che ogni sei mesi, all’ultimo momento utile per chiedere il rimborso dell’auto, determina un rimescolamento generale della massa di materiale, nella ricerca affannosa e mai completa dei fatidici tagliandini rettangolari). Tutta questa carta segue un ciclo vitale abbastanza regolare: inizia dal sedile davanti, dove viene frettolosamente abbandonata ad ogni avvio del mezzo e si accumula fino a quando cade addosso al guidatore alla prima curva brusca. Al che viene trasferita nel sedile posteriore dove, frenata dopo frenata, si assesta e cementa con il materiale già deposto. Finché non viene il giorno in cui il sedile posteriore serve per trasportare qualcuno e allora il tutto finisce a larghe manate in uno scatolone del garage di casa. Di lì in avanti è un’altra storia ancora (i richiami via via più decisi a «mettere a posto quel casino del garage», «tu e il tuo lavoro»; l’esito, l’archivio definitivo, è la raccolta differenziata).
Si può tentare una suddivisione tipologica del materiale in questione: per primi, i contratti che inquadrano con determinazione la grande molteplicità del lavoro umano. Agricoltura (operai e florovivaisti); Consorzi di bonifica; Chimica, gomma, plastica e vetro (aziende artigiane); Ceramica e abrasivi; Lampade e valvole termojoniche; Metalmeccanica (Industrie); Orafi, argentieri; Odontotecnici; Tessili cotone, canapa, lino; Tessili lana: feltro, articoli da caccia; Giocattoli, Modellismo; Penne spazzole; Retifici da pesca; Panificazione (artigiane); Olearia e margarineria; Laterizi e manufatti in cemento; Lapidei; Cemento, calce, gesso; Cartarie e cartotecniche; Giornalisti: RAI; Cinema: doppiaggio; Teatri: personale artistico; Ippica: scuderie cavalli da corsa al trotto; Aziende termali; Viaggiatori e piazzisti; Fiori; Vigilanza privata; Autostrade e trafori; Marittimi: Capitani Lungo Corso Armamento Libero; Funivie portuali; Pompe funebri: agenzie pubbliche; Bancari: Casse Rurali e artigiane; Acquedotti e Gas; Sanità: comparto pubblico area non medica; EUR; Registro navale italiano; Sacristi e dipendenti da parrocchie; Basi NATO. Breve e parziale selezione dal magnifico elenco dei contratti attraverso cui è possibile osservare vita, lavoro, storia che si dispiegano nella quotidianità di tutti, elenco che si scorre sempre con un brivido di vertigine per i tanti modi diversi di stare al mondo, i tanti luoghi, i tanti saperi. Ovvio che nella nostra Fiat Uno ci saranno solo i contratti della categoria, più un qualche manuale che spiega come interpretarli (arte difficile, per iniziati). Altro materiale “tecnico” si trova nel mucchio: i volantini (vertenze, scioperi, elezioni delle Rappresentanze Sindacali Unitarie, informazioni sulle dichiarazioni dei redditi), i volantoni (il progetto del sindacato per il Veneto, l’elenco dei corsi di aggiornamento professionale, i fondi pensione, l’Ente bilaterale per l’artigianato…), i libretti sulla 626 o sulla storia del movimento dei lavoratori, i manifesti da appendere nelle bacheche e, più ingombranti, i cartoni da attaccare sui cancelli… Infine, inesorabilmente intrecciati con il resto, brani di vita privata: un elenco della spesa, un depliant di un’agenzia di viaggi per il decimo anniversario di matrimonio.
Così equipaggiata, la Fiat Uno gira per le strade rettilinee ed uguali delle zone industriali, parcheggia davanti ad una fabbrica o ad un bar dove si possono trovare i delegati della zona, cerca tortuose scorciatoie attraverso i resti della campagna tra una statale intasata ed una provinciale che scoppia. A volte esce dai soliti itinerari per portare i delegati ad un corso di formazione sulla lettura della busta paga o sulla comunicazione, in una villa antica con un parco dove passeggiare dopo pranzo. E poi si incontra con le altre, si intende le altre auto dei sindacalisti: fuori dai consigli generali o dagli esecutivi, con una frequenza di molto accelerata nella stagione dei congressi. Lì il gioco si fa sottile e complicato: vicino a chi hai parcheggiato? Sulle linee gialle o su quelle blu? Con chi stai? Quanti voti hai preso, più o meno di quelli previsti? Il “messaggio” sarà arrivato? L’alleanza reggerà? Calcoli alle volte tanto raffinati per la Fiat Uno che, se ancora ne afferra il senso a livello provinciale, già si perde al regionale, per non parlare di quel mondo strano e distante del nazionale (ogni tanto però arriva qualcuno, e scrivono anche su Conquiste). Insomma, non è semplice orientarsi nelle articolate divisioni tra destra e sinistra, ultimi carnitiani e perenni dantoniani, giovani leoni e vecchie guardie, operaisti e post-fordisti, attivi e pensionati, industria e servizi e via frammentandosi per genere merceologico. Senza dimenticarsi le «imprescindibili differenze» con le altre “sigle” sindacali: «l’identità nostra che vogliamo tutelare, una storia diversa, di autonomia…». Forse, in uno slancio di creatività, si potrebbe tentare con nuove suddivisioni: metallizzate o no, con o senza ABS, Super o benzina verde.
C’è poi l’evoluzione della specie. D’accordo, non bisogna generalizzare, l’auto è uno strumento, sono più sicure quelle grosse, attenti al pauperismo, viva la soggettività, certo che la nostra FIAT Uno è un po’ intimidita ad accostarsi a ben altre macchine, dal nome così importante: Volvo, Mercedes, Audi… Estere, spesso estere: anche su questo si dirà «c’è il mercato globale, l’Euro, non bisogna avere un’ottica nazionalista», ma i nostri lavoratori? Poi ti spiegano che la FIAT è già in parte americana, e allora va bene, non è più il mondo di una volta, tutto cambia.
Rimane più rassicurante la cittadina di provincia, la piccola sede decentrata, la geografia abituale delle strade conosciute e delle relazioni consolidate, dove la tua ammaccatura sulla fiancata e quel modo di parcheggiare ti fanno riconoscere, dove si litiga ma poi ci si spiega. Dove, in fin dei conti, fare sindacato è incontrare persone e situazioni concrete, che pur negli inevitabili, continui mutamenti restano facce e luoghi di un paesaggio immediato, reale, vissuto. Dove probabilmente può essere rinnovato il senso di una storia importante che nei corridoi di grandi organizzazioni diventate istituzioni rischia di smarrirsi.
Andrea Pase
geografo,
università studi Padova