Famiglia e adolescenti

di Rossi Achille

Punto di rottura

Ci sono nella storia delle società umane momenti in cui il contrasto fra generazioni si fa più vivace e sbocca in contestazione aperta, altri in cui il mondo giovanile sembra entrare in una specie di silenzio: non ha più niente da dire agli adulti che l’hanno preceduto. Se questa rottura si consumasse completamente sarebbe una catastrofe; i giovani perderebbero il sostegno per il futuro, gli adulti la fiducia nella vita. Probabilmente ci troviamo in questo tornante delicato in cui gli adulti hanno bisogno di ascoltare con maggior attenzione la condizione giovanile e i giovani di gridare con forza le loro angosce e le loro speranze.

Solitudine affettiva
Si ha l’impressione, infatti, che i ragazzi e i giovani di oggi vivano una marcata solitudine relazionale, che siano troppo poco "pensati" dal mondo adulto e, in certo senso, abbandonati a se stessi. Come se lo spazio interiore dei genitori fosse troppo ingombro di preoccupazioni e di progetti per poter far posto alla presenza dei figli. L’adolescente di oggi è il bambino cresciuto ieri come figlio unico, senza fratelli con cui giocare, affidato alla Tv, sommerso da un mare di giocattoli e di regali, che sono l’espressione tangibile dell’assenza dell’adulto. Ho in mente la noia dei bambini piccoli che si rivolgono alla mamma per chiederle: «Cosa faccio, con chi gioco?».
Una solitudine che nasce da lontano e che gli strumenti tecnologici non valgono a colmare. Secondo le statistiche, il 60% dei giovani ha in camera computer, playstation, cellulare, ma il tempo della conversazione con gli adulti si riduce a meno di un quarto d’ora al giorno. E spesso si tratta di una conversazione stereotipata e povera, limitata a saggiare l’andamento scolastico e incapace di toccare le corde profonde dei sentimenti. È rivelativa la battuta di alcuni adolescenti quando parlano dei loro genitori: «Di me non gliene importa niente. Vogliono solo sapere come vado a scuola!».
Non fa meraviglia che gli analisti più attenti scoprano "l’analfabetismo affettivo" dei giovani di oggi, che non sono abituati a percepire e a coltivare la loro dimensione emotiva. D’altra parte, in una società concepita come un agglomerato di atomi che si incontrano e si scontrano casualmente fra loro, dove potrebbero imparare i giovani a scambiarsi emozioni, a intessere relazioni amichevoli, a creare legami che superino l’interesse immediato? Non certo nella scuola, che si preoccupa quasi esclusivamente di coltivare la loro dimensione intellettuale (quando ci riesce), né tantomeno all’interno della società, travagliata da un individualismo forsennato che accresce la solitudine. Non fa meraviglia che cerchino un po’ di calore nella sessualità, vissuta spesso precocemente e talvolta in maniera deludente.

Additare ai giovani l’impossibile
Ma c’è un aspetto ancora più preoccupante nella condizione giovanile odierna; si direbbe che i ragazzi di oggi siano defraudati dei sogni e che non riescano a costruire una base sufficientemente solida da cui partire per il viaggio della vita. Privati di fede, di ideali, di utopia, sembrano condannati a vivere di niente, a campare alla giornata e dunque a volare raso terra. E qui le responsabilità degli adulti sono pesanti: si vive di denaro, di consumo, di competitività e ci si meraviglia che i giovani abbiano imparato la lezione. Sarebbe molto più serio esaminare quello che siamo diventati e renderci conto che in realtà stiamo educando al vuoto, al culto della competizione e dunque alla violenza. «Deve imparare ad aguzzare i denti fin da piccolo per sopravvivere in un mondo come questo», diceva una gentile signora commentando la prestazione sportiva del suo pargolo.
Non siamo più capaci di additare ai giovani l’impossibile, che è l’unico terreno dove sarebbero capaci di seguirci. Non è un caso che in tutte le situazioni di pericolo siano sempre i giovani a rischiare. Ricordo ancora con commozione l’esperienza della spedizione Mir Sada nel 1993 per raggiungere Sarajevo e portare alla popolazione assediata il sostegno morale della società civile europea. Erano stati quasi esclusivamente i giovani a mettersi in cammino. Se proponessimo uno stile di vita più umano, che privilegi la relazione e il dono di sé, la gioventù farebbe meno fatica a cogliere l’essenziale della vita.

Eccessivamente protetti
Vorrei rimarcare un altro aspetto della condizione giovanile che a prima vista sembrerebbe in contraddizione con quanto ho affermato all’inizio sulla solitudine. I ragazzi di oggi mi sembrano eccessivamente protetti, fino a impedire loro di fare le proprie esperienze. Avere spazio interiore per i propri figli è indice di profondità e di rispetto per le persone, proteggere in maniera eccessiva è piuttosto un riflesso di paura e di possessività.
L’iperprotezione comincia dall’infanzia. Fanno tenerezza (e compassione) questi bambini che già nel periodo delle elementari si trovano la vita piena di impegni come se fossero dei piccoli manager: al mattino scuola, nel pomeriggio danza, nuoto o calcio (perché uno sport fa bene!), compiti… ed è subito sera. E il giorno dopo stessa musica. Non hanno tempo di giocare, di stare con gli amici, di sviluppare un approccio personale al mondo e alla conoscenza.
Mancano le esperienze libere che sono il motore della crescita. A furia di essere gestiti finiscono per diventare passivi. Da questo punto di vista appaiono patetiche le osservazioni degli adulti sulla mancanza di iniziativa dei ragazzi di oggi. Come non si rendessero conto che è il risultato non previsto di tutto uno stile educativo. E forse bisognerebbe aggiungere un’osservazione supplementare: quando si reagisce alla mancanza di esperienza si diventa violenti. Probabilmente si spiegano anche così certi atteggiamenti distruttivi del mondo giovanile.
I bambini iperprotetti di ieri sono gli adolescenti esigenti ed egocentrici di oggi, ai quali non sono stati detti i "no" decisivi per paura di far loro del male. In questo modo si è coltivata la loro onnipotenza, invece che far loro acquisire il senso del limite e della realtà. Non meraviglia che stentino a tagliare il cordone ombelicale con la famiglia e ad assumersi le proprie responsabilità. L’ultimo rapporto del Censis è edificante: il periodo di tempo trascorso in seno alla famiglia tende ad aumentare e l’età del matrimonio ad innalzarsi.

Coltivare una passione
Un’ultima notazione ancora: perché meravigliarsi se questi adolescenti, che ricevono proposte di vita così banali, si annoiano mortalmente e sentono la necessità della trasgressione per sentirsi vivi? Il fascino della notte, l’assoluta mancanza di contorni, l’ebbrezza della libertà sono ancora un modo per liberarsi dalla routine.
Se queste osservazioni hanno un qualche significato, è il mondo degli adulti ad essere sotto inchiesta. Troppo comodo fare diagnosi o addirittura criticare, come se i problemi dei giovani non ci riguardassero. Gli adolescenti hanno bisogno di adulti che vivano con loro, li prendano sul serio, li sappiano ascoltare, si lascino coinvolgere dalle loro problematiche. Ma soprattutto di adulti che credano in qualcosa, che coltivino una fede, una passione, un amore capace di riscaldare il cuore dei giovani. Non c’è di peggio che trasmettere rassegnazione, cinismo, avidità, questi frutti avvelenati dell’istinto di morte. Adulti maturi che non abbiano bisogno di risucchiare i giovani per vivere e che sappiano educare alla libertà, invece che alimentare la dipendenza. Adulti autorevoli che abbiamo fiducia nella propria esperienza e così diventino capaci di promuovere quella degli altri.
Siamo di fronte a una sfida radicale, che richiede una vera rivoluzione della cultura. Saremo capaci di metterci in cammino?